domenica 3 dicembre 2017

The Mask- Da Zero a Mito

The Mask- From Zero to Hero

di Chuck Russell.

con: Jim Carrey, Cameron Diaz, Peter Greene, Amy Yasbeck, Peter Riegert, Richard Jeni, Ben Stein.

Commedia/Fantastico

Usa 1994

















Ci sono film che sulla carta appaiono talmente bislacchi e folli da far credere, alle volte a ragione, di non poter mai funzionare una volta giunti su schermo; operazioni commerciali talmente fuori dagli schemi e lontane da ogni logica da sfidare la sorte come un eroe romantico, solo per poi rivelarsi, vuoi per fortuna, vuoi per il talento dei nomi coinvolti nella produzione, come pellicole riuscite, divertenti, talvolta persino memorabili. E nel mondo delle trasposizioni da fumetti, fenomeni del genere sembrano essere quasi all'ordine del giorno; basti pensare a film quali il "Flash Gordon" di De Laurentiis, a "Superman III" o, più recentemente, ai due exploit dei Marvel Studios sui Guardiani della Galassia. Ma, forse, nessun altro film merita di essere inserito in tale categoria più di "The Mask".
Piccola gemma del cinema commerciale americano degli anni '90 che oggi appare praticamente dimenticata, un pò come accaduto con il quasi coevo "Batman Il Ritorno": in Italia sembra sparito dai palinsesti televisivi, è apparso in una antica versione DVD oramai impossibile da reperire e mai tornato in catalogo; persino il mondo di Internet preferisce disquisire più del suo pessimo sequel.
Il che è semplicemente folle se si pensa all'enorme (e sorprendente) successo di cassetta che "The Mask" si rivelò nel '94: oltre 350 milioni di dollari sul mercato globale, a fronte di un budget di neanche 20; al quale vanno aggiunti anche i riconoscimenti da parte della critica, che si innamorò di questo strampalato ma convincente "Frankenstein" di generi ed intuizioni, divertente, colorato, ma anche cupo, adulto nell'immaginario e nei contenuti, folle eppure controllatissimo nella messa in scena; e dotato di effetti speciali che ancora oggi sono semplicemente perfetti.
Per comprendere appieno la caratura di "stramberia" del film di Chuck Russell, bisogna però partire dalla sua fonte di ispirazione, l'omonimo fumetto pubblicato dalla Dark Horse tra la fine degli anni'80 e gli anni '90; ed è già qui che cominciano le sorprese.




Chiunque abbia visto il film ha un'impressione tutto sommato precisa dei toni e della caratterizzazione del personaggio: Stanley Ipkiss è un umile impiegato di banca perennemente afflitto dalla sfortuna, quasi un Charlie Brown adulto, che grazie ai poteri di una misteriosa maschera si trasforma in un'eccentrica creatura cartoonesca a cui piace ballare e sedurre le belle ragazze.
La controparte cartacea non potrebbe essere più diversa, poichè l'albo originale è talmente cinico e violento da poter essere considerato come il fumetto più spiazzante e cattivo mai pubblicato, persino se confrontato con i recenti exploit della Avatar Press quali "Crossed" e "The Boys".
Il personaggio di The Mask appare per la prima volta nel 1989; creato da John Arcudi, compare dapprima in una serie antologica, in brevi ma incisivi episodi, per poi avere quasi subito un albo tutto suo, nel quale l'autore plasma una serie di story-arc semplici ma incredibilmente disturbanti.
Anche qui il protagonista è Stanley Ipkiss, ma il personaggio è totalmente diverso: nelle pagine dell'albo, Stanley è fidanzato con una bellissima donna chiamata Kathy, ma ciò non lo rende meno represso della sua controparte filmica; per puro caso, rinviene in un negozio di antiquariato una strana maschera verde; una volta indossata, Ipkiss si trasforma nella sua celebre controparte, che però non potrebbe essere più diversa da quella mostrata nel film. Nel fumetto, la maschera è infatti un folle psicopatico assassino, che si diverte a massacrare chiunque gli capiti a tiro.




La maschera porta a galla i pensieri più truci dell'ospite; Ipkiss la usa infatti dapprima per vendicarsi di chiunque lo abbia umiliato o molestato, a partire dalla sua maestra delle elementari per arrivare ai meccanici truffaldini visti anche nel film; ma al contempo, anche l'ospite viene influenzato dalla maschera: Ipkiss diviene cinico e violento anche quando non la indossa; nel frattempo, le gesta del suo alter ego cominciano ad avere risonanza pubblica, fino a portarlo a scontrarsi con la polizia, episodio che portare ad un massacro totale ed inarrestabile, tanto che lo strambo personaggio prenderà il nome di "assassino testone" ("Big Head Killer" in originale).
Caratteristica della Maschera è la capacità di trasformare chi la indossa in una sorta di cartone animato vivente; ma, sempre a differenza di quanto accade nel film, le sue azioni hanno conseguenze realistiche sulla realtà: laddove nei cartoni una martellata in testa porterebbe solo a vedere gli uccellini, in "The Mask" causa l'ovvio spappolamento del cranio della vittima, con successiva fuoriuscita della materia cerebrale, ritratto nei disegni di Doug Manhke con uno stile iperespressivo, dove lo splatter raggiunge vette ai limiti del parossistico.



Più disturbante della violenza grafica, è il cinismo feroce che sorregge le storie ideate da Arcudi; non c'è redenzione per i personaggi, nè una trama vera e propria; sopratutto il primo story-arc tra i vari che si sono succeduti nel tempo, altro non è se non una sarabanda di morte e distruzione, con l'Assassino Testone indaffarato a spiaccicare vittime e devastare gratuitamente la città. Massacro privo di senso e di fine, che si conclude nell'unico modo possibile: Kathy aspetta che Stanley si tolga la maschera e gli spara alle spalle, ammazzandolo sul colpo.
Tanto che nelle storie successive, in particolare nella run originale di Arcudi, ad indossare la maschera sarà sempre un ospite diverso, compresa Kathy e persino il tenente Kalloway, anch'egli nel film personaggio totalmente diverso. A fare da collante è unicamente il personaggio del Testone e le sue azioni spericolate, il tono freddo, la cattiveria e lo splatter gratuito.
"The Mask", sia inteso come personaggio che come pubblicazione, è in un certo senso la quintessenza della follia vista nei comic supereoistici a stelle e strisce; facile sarebbe fare un paragone con altri folli ultraviolenti dei fumetti, quali il Joker o Deadpool, ma il Testone è un personaggio diverso, in un certo senso più cupo: manca di qualsivoglia umanità, non ci sono praticamente mai giustificazioni per le sue azioni, nemmeno quella più basica data dalla demenza. Ed ovviamente è il tono delle storie a renderle ancora più spiazzanti: veri e propri horror narrati come commedie demenziali, dove tutto è sopra le righe, compresa la violenza, una sorta di cartoon iperviolento, quasi un "Grattachecca e Fichetto" ante literam e con personaggi umanoidi.
Già questo raffronto è illuminate per capire quanto bislacco sia stato il processo di adattamento verso il grande schermo; si potrebbe facilmente pensare ad un'opera di censura, di trasformazione di un personaggio pensato per un pubblico adulto in un beniamino dei bambini per poter meglio vendere un prodotto con protagonista una star come Jim Carrey; e non si potrebbe essere più lontani dalla verità.




Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la trasposizione del folle fumetto di Arcudi non nasce esclusivamente dalla volontà di replicare il successo di film quali "Batman" e "Dick Tracy"; la New Line Cinema all'epoca si trovava ad un passo dal divenire una major, ma contava ancora di poter avere facili introiti grazie a quel cinema horror low budget che le permise di aprire ufficialmente i battenti un decina di anni prima.
Tuttavia, nei primi anni '90 l'horror americano cominciava a vivere un periodo di stanca, dovuto alla sovraesposizione di pellicole slasher; a Bob Shaye serviva una nuova icona con cui rimpiazzare Freddy Krueger, un nuovo spauracchio in grado di catalizzare le paure e al contempo le simpatie del pubblico; e l'Assassino Testone sembrava perfetto, data la sua caratterizzazione, praticamente quella di un Krueger che infesta gli incubi di Chuck Jones o Tex Avery.
La vicinanza stilistica alla saga del demone artigliato porta la New Line ad assumere Chuck Russell, responsabile di quel "Nightmare 3- Dream Warriors" che, dopo "New Nightmare", è unanimamente considerato come il miglior sequel del cult di Wes Craven. Ed è qui che il progetto subisce una svolta improvvisa.



Russell non è di certo mai stato un autore nel senso pieno del termine, quanto un artigiano in grado di dirigere con pugno fermo pellicole commerciali. Ma con "The Mask" la sua indole personale prende il sopravvento: piuttosto che dirigere uno slasher derivativo, decide di declinare lo spunto di partenza (sfigato represso trova una maschera magica che ne tira fuori la vitalità sopita) come una commedia brillante, registro che secondo lui permetterebbe di sfruttare meglio le potenzialità del concept. E come protagonisti porta a bordo due sconosciuti, ossia Jim Carrey, ancora non divenuto una star e famoso solo per gli sketch al "Saturday Night Live" benchè già attivo come attore cinematografico da più di un lustro, nonchè la modella poco più che ventenne Cameron Diaz, priva di qualsivoglia esperienza come attrice. Il che, appaiato ad un budget di certo non irrisorio per l'epoca, all'uso di effetti in CGI al tempo pionieristici e all'allontanamento stilistico dalla controparte cartacea, rendeva questo adattamento come un vero e proprio rischio per i produttori. Rischio che per fortuna ha ripagato in pieno: il successo a sorpresa di "Ace Ventura- l'Acchiappanimali", uscito qualche mese prima, rese Carrey una star, permettendo a "The Mask" di avere dalla sua un nome di primo piano facilmente vendibile. Il resto è Storia: oltre 300 milioni di dollari di incasso, una nomination agli Oscar per gli effetti visivi, trampolino di lancio per Cameron Diaz nonchè nascita di un piccolo franchise che negli anni '90 avrebbe generato vari gadget, una serie a cartoni animati e persino una testata fumettistica per riprendeva i toni del film e del cartone, affiancandosi alla versione originaria.
Ma anche al di là dei paragoni con quest'ultima, il film di Chuck Russell risulta bislacco e spiazzante già se preso a sè, con il suo mix di toni e registri del tutto eterogenei che, miracolosamente, finisce per funzionare praticamente sempre.




Russell fonde in un unico calderone generi del tutto diversi: la commedia fantastica, quella slapstick e quella brillante, usando come palinsesto quello di una trama da crime drama, con una femme fatale bellissima (all'epoca, la Diaz aveva un corpo tutto curve, una bellezza dalla fisicità prorompente che purtroppo di lì a poco perderà, dimagrendo per omologarsi ai canoni hollywoodiani) ed un ganster come antagonista, adopera un registro adulto per le scene chiave, senza celare talvolta una carica di violenza esplicita, ma al contempo farcisce tutto con un umorismo demenziale e numeri musicali da antologia.
Il risultato è un vero e proprio "fritto misto" del cinema di intrattenimento, con i famosi "tre generi chiave del cinema americano classico" (tolto il western, ovviamente) che si alternano su schermo, incarnati sempre dal personaggio di The Mask.
Ed è inutile sottolineare le ovvie differenze con il suo alter ego fumettistico. Il Mask del film non è un assassino psicopatico, quanto un cartone a briglia sciolta, che cita l'amato Chuck Jones ed il Diavolo della Tazmania dei cartoni Warner, veste come Sammy Davis Jr. con colori sgargianti e si diverte a danzare. Un "pazzo scatenato per amore" irresistibile, che vive grazie all'istrionismo iperespressivo di un Jim Carrey semplicemente perfetto, la cui fisicità traborda in ogni sketch.
Diverso è anche il personaggio di Stanley Ipkiss, tanto che una lettura psicoanalitca della storia, per quanto pleonastica, resta comunque possibile.




La maschera metaforica evocata dall'incontro con lo psichiatra è la descrizione perfetta del personaggio di Ipkiss, sopratutto quando lo si contestualizza all'interno del pantheon di personaggi mostrati nel film. Tutti gli abitanti di Edge City sono egoisti, egocentrici e cinici, mancano di ogni forma di empatia: dalla bella collega per la quale Stanely spasima all'inizio, che lo bidona in pochi secondi, all'amico yuppie, che pur non essendo un personaggio negativo non ha mai un ruolo davvero attivo nella vicenda, passando per il capo corrotto, il poliziotto chiuso nella sua mentalità giustizialista, la giornalista interessata solo alla sua carriera ed ovviamente i gangster impegnati in una violenta lotta per il potere.
Stanley è l'unico personaggio che sembra provare emozioni verso altre creature, il che lo porta alla sofferenza, a schiacciare il proprio ego contro quello del prossimo. Ma la maschera gli permette di tirare fuori il suo carisma, il suo carattere solitamente sottomesso per divenire anch'egli un egocentrico. Se il Killer Testone è un villain vero e proprio, The Mask è un simpatico antieroe, un personaggio di certo non cattivo, ma che allo stesso modo non usa i suoi poteri per il bene in senso stretto, quanto per una forma di affermazione individuale.




Lettura fredudiana calzante, ma alla quale il film preferisce il gioco di generi. Perchè alla fine dei conti "The Mask" è una pellicola interessante proprio per il modo in cui questa amalgama riesce.
Il crime-drama, benchè non originale, convince, anche grazie alla bellissima fotografia, che passa dalle tonalità accese a quelle contrastate con nonchalance; i luoghi comuni del noir classico vengono persino ribaltati: la femme fatale bionda si scoprirà essere buona, mentre la ragazza più acqua e sapone (dai capelli rossi come la Tess Trueheart di "Dick Tracy") è la doppiogiochista. I numeri musicali sono perfetti, così come lo humor cartoonesco.
E' impossibile resistere a questo cartone animato recitato dal vivo, pregno di effetti speciali incredibili, i cui toni si incastrano alla perfezione persino quando si fanno insostenibilmente adulti. Il punto di riferimento, da questo punto di vista, è ovvio, ossia il "Batman" di Burton, richiamato talvolta anche nelle scenografie;, ma Russell riesce a non scadere nel puro manierismo e a dare al film una sua anima.




"The Mask" rimane tutt'oggi un bell'esempio di cinema disimpegnato: ameno quanto il suo protagonista ed allo stesso modo incredibilmente spassoso.
Quanto invece al fumetto di Arcudi, si tratta di una lettura non facile da consigliare: i gusti del singolo lettore, in tal caso, sono essenziali; a causa della sua ferocia e della mancanza di contenuti, lo si potrebbe considerare come una lettura inutile e volgare o, al contrario, amarlo per la sua indole anticonformista.

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