mercoledì 16 dicembre 2020

The Lobster

di Yorgos Lanthimos.

con: Colin Farrell, Rachel Weisz, Ben Winshaw, Léa Seydoux, John C.Reilly, Angeliki Papoulia, Ashley Jensen, Ariane Labed, Michael Smiley, Rosanna Hoult, Olivia Colman.

Grecia, Inghilterra, Irlanda, Usa, Francia, Paesi Bassi 2015















Ottenuta l'attenzione nei festival di mezzo mondo grazie a "Kinetta", "Dogtooth" e "Alps", per Yorgos Lanthimos arriva il fatidico momento di approcciarsi con il pubblico internazionale, ossia con un audience più "mainstream", per quanto possibile, rispetto ai soli frequentatori di rassegne. Il momento, in sostanza, di creare un'opera dagli echi mondiali, con un cast di richiamo e una distribuzione più ampia e capillare. Occasione che arriva nel 2015 con "The Lobster", primo film in lingua inglese ed ennesima conferma del talento del maestro greco.


Con il fido Efthymis Filippou, Lanthimos crea una nuova visione surrealista simile ad alcune intuizioni di Marco Ferreri ed Elio Petri, ossia un mondo dove l'accoppiamento è obbligatorio, pena la trasformazione in un animale a propria scelta. Il silenzioso protagonista (un Colin Farrell ingrassato e perfettamente calato nella parte) ha così 45 giorni di tempo per trovare un partner, o tra gli avventori del bizzarro hotel in cui è confinato o tra i "solitari", ribelli che vivono nei boschi e che rigettano l'obbligo relazionale.


Cos'è una relazione priva di affetto? Questo è il quesito alla base della metafora. In un mondo nel quale stare insieme è un obbligo, la pena è dividere la propria vita con una persona che non si ama. Il racconto viene così diviso in due parti. 
Nella prima, Lanthimos descrive l'horror vacui di un unione fredda. Dapprima i personaggi (oltre a quello di Farrell conosciamo anche un "brutto e impacciato" John C.Reilly ed un arrivista claudicante con il volto di Ben Winshaw) cercano un accoppiamento basato su caratteristiche fisiche comuni. Il sangue dal naso e il sangue in generale è qui un leitmotiv, con il personaggio di Winshaw che arriva a sbattere violentemente la testa pur di far colpo su di una ragazza a cui capita di perdere sangue dalle narici o con il freddo suicidio di una donna che preferisce gettarsi nel vuoto piuttosto che perdere la propria umanità. L'uinione forzosa viene così artatamente creata solo per non incappare nella punizione: la società obbliga gli individui ad unirsi anche quando questi sono diversi. E se la coppia formata dai  due strani "cuori solitari" (ossia lo zoppa e la ragazza con il sangue al naso) sembra funzionare, altrettanto non si può dire di quella formata dal protagonista con la "Donna senza Cuore".


Ruolo cucito sull'attrice feticcio Angeliki Papoulia, quello della Donna senza Cuore è il personaggio più disturbante di tutto il film, una sorta di "nuovo essere umano" riplasmato secondo i dettami imposti dall'alto; un essere privo di sentimenti e, ancora peggio, di ogni forma di empatia, che non ha remore nell'uccidere, né batte ciglio dinanzi alla morte altrui. Il protagonista David cerca di unirsi a lei, forse nell'illusione che un rapporto totalmente fisico possa funzionare, ma anche in un mondo del genere, per quanto degenerati e degeneranti, i rapporti devono essere basati sulla compatibilità: benché meccanici e svuotati di ogni contenuto sentimentale, le unioni devono sorgere su di un terreno comune, pena la dissoluzione violenta. Da qui, la rottura con il sistema e la fuga in seno a quei "ribelli" che si riveleranno crudeli quanto i padroni ai quali si oppongono.


Nella seconda parte del racconto, conosciamo i reietti della società, i quali non sono, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, dei liberi pensatori o fautori di un amore libero e sincero, come sarebbero stati probabilmente descritti in passato. Al contrario, anche la loro "tribù" è basata su regole di convivenza ferree, secondo le quali ogni forma di rapporto deve essere strettamente formale, privo di fisicità e categoricamente orfano di qualsiasi sentimento. Una "anti-società" che non ha valori che non siano la pura e semplice negazione di quelli imposti nella civiltà e che viene perfettamente incarnata da una Lèa Seydoux inquietantemente algida.
Facile sarebbe oggi fare un paragone tra costoro e gli InCel o le veterofemministe radicali, tanto che Lanthimos e Filippou sembrano aver anticipato tali categorizzazioni; ma il loro lavoro è più sottile e universale, andando ad abbracciare qualsiasi forma di irrigidimento e indottrinamento dei sentimenti.


La società dei solitari è basata su di una convivenza autonoma, dove ogni essere umano è del tutto indipende dal prossimo e che deve soddisfare da solo tutte le proprie necessità; se la masturbazione viene punita fisicamente nella società organizzata, in quella "libera" può essere tranquillamente praticata; è, d'altro canto, ogni contatto amoroso di tipo fisico con un partner che trova un castigo severo, dato dall'amputazione delle parti del corpo che si sono unite.
In questa contro-società, i rapporti sono anch'essi usati come pura apparenza; quando, per forza di cose, si deve tornare nel mondo civilizzato, i reietti si fingono cittadini modello e si "travestono" da coppie manifestando un'ipocrisia non del tutto diversa da quella di coloro che disprezzano.


Il sentimento amoroso, in un mondo del genere, può essere solo clandestino, illecito e spaventoso. Ma Lanthimos non contrappone la spontaneità dei sentimenti alla rigida etichetta culturale, come pure molti autori del XX secolo hanno o avrebbero potuto fare. La sua critica si rivolge alla natura umana e alla sua capacità di illudersi, tanto che quel finale sospeso e irrisolto, come da tradizione per l'autore, nega la consolazione data dalla certezza, positiva o negativa che sia, e spoglia il personaggio del protagonista da ogni possibile lettura eroistica. David, di fatto, non è un ribelle, non è un Winston Smith nonostante sia confinato nella stanza dal fatidico numero 101; David è un uomo comune sin nel midollo, un mediocre che forse non può essere salvato né redento, la quintessenza dell'essere umano con tutti i suoi difetti più banali e mortali.


La messa in scena si fa poi meno distaccata: le inquadrature sghembe e vuote diminuiscono sino quasi a scomparire e sono spesso intercalate ad un ritrovato gusto pittorico, nel quale personaggi e ambienti si fondono in forme armoniose, rese disturbanti per lo più tramite una colonna sonora basata eslusivamente su sonorità feroci.
Lanthimos riesce così a creare una perfetta metafora, iperbolica e distorta, sulla miseria umana, brillante nella sua cattiveria, efficace nella sua imparziale e marziale rappresentazione. 

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