lunedì 14 novembre 2022

Don't Worry Darling

di Olivia Wilde.

con: Florence Pugh, Harry Styles, Chris Pine, Olivia Wilde, KiKi Layne, Gemma Chan, Nick Kroll, Sydney Chandler, Kate Berlant.

Thriller

Usa 2022
















---CONTIENE SPOILER---


Chissà se senza tutte le polemiche, "Don't Worry Darling" avrebbe ottenuto le medesime attenzioni. Chissà se in assenza dello sputo dato o meno da Harry Styles a Chris Pine al Festival di Venezia la gente sarebbe corsa lo stesso in sala. Chissà se senza i botta e risposta tra Oliva Wilide e Shia LaBeuf, qualcuno avrebbe degnato di vera attenzione il film. E chissà se senza le storie delle scappatelle sul set tra la Wilde e il neopartner Styles qualcuno sarebbe stato davvero curioso di guardare la sua seconda prova da regista, anche al netto di una campagna pubblicitaria solida.
Perché nonostante la tematica dell'emancipazione femminile sia sempre attuale e lo stile visivo usato sia  a tratti ispirato, il thriller della Wilde è qualcosa di incredibilmente superficiale, facilone, derivativo e persino improbabile, che di certo non riesce a calamitare su di sé attenzioni che non siano di sufficienza, se non addirittura di disprezzo.




Dinanzi alle immagini e alla storia, nella prima parte, la mente corre inevitabilmente a "The Stepford Wives", sia l'originale del 1975 che il pallido remake del 2004; da un lato c'è l'eslusivo "club per soli maschi", dall'altro l'uso dell'estetica anni '50 per simboleggiare la perfezione civile americana e l'oppressione verso la donna, all'epoca, inutile persino dirlo, vista come semplice angelo del focolare e corpo da possedere. La poca originalità non si ferma però solo all'estetica e a qualche richiamo. La comunità isolata fuori dal mondo e ferma nel tempo richiama anche "Antebellum", ma il colpo di scena qui proposto è decisamente più assurdo: è tutto una simulazione, una realtà virtuale che ricrea un mondo perfetto, ossia una Matrix misogina. Ed è qui che ogni sospensione dell'incredulità a farsi benedire.
Non si capisce perché una persona che muoia in una simulazione condivisa dall'autente tramite un semplice impianto VR e non innestata direttamente nel tronco encefalico debba morire anche nella realtà, soprattutto quando si tratta di soggetti che sanno di vivere in un videogame; non si capisce perché la comunità sia sita in mezzo ad un deserto, visto che è già letteralmente tagliata fuori dal reale; non si sa perché ci siano dei glitch nel sistema, come l'aereo che si schianta inspiegabilmente o le uova vuote, forse colpa di un programmatore pigro, soprattutto isto sono eventi che vengono mostrati ma che alla fin fine non hanno un vero peso nella storia. Non si sa perché sia proprio Alice ad essere la sola (la seconda, per l'esattezza) a sospettare che sotto tutta questa perfezione ci sia qualcosa di losco, né perché il sistema cominci a collassare proprio quando decide di scappare. E quando riesce a scappare attraversando lo specchio, più che alla citazione carrolliana ricercata la mente corre a "Matrix Resurrection", oltre ovviamente al mai dimenticato "THX 1138".
E lo script non si risparmia certo in non sensi anche nell'esecuzione della storia vera e propria, come l'uccisione del demiurgo Frank nel finale, messa lì solo per creare un castigo verso il "big bad" del film o il fatto che molte delle donne prigioniere siano state dotate dello stesso antefatto per spiegare la loro presenza in una comunità in mezzo al deserto.




La poca originalità e i buchi di trama sono però un problema marginale laddove si tiene conto che questa metafora femminista alla fin fine funziona pochissimo e male. Le donne della comunità di Victory non sono davvero oppresse, non sono subordinate al maschio nel senso convenzionale del termine, non hanno vere aspirazioni castrate dai mariti, sono felici e spensierate e c'è persino qualcuna che si trova in questa falsa realtà di sua spontanea volontà. I maschi, anzi, amano profondamente le loro partner e le soddisfano in tutti i modi possibili, anche sul piano fisico (e si sorride se si pensa che secondo la Wilde gli spettatori del 2022 dovrebbero scandalizzarsi dinanzi ad una scena di sesso orale nella quale è la donna a godere). Come se non fosse abbastanza, in questo mondo altro esiste una forma di integrazione razziale che nei veri anni '50 era fantascienza e lo è persino oggi in alcuni angoli degli Stati Uniti.
Più che una prigione dorata, la simulazione è forse davvero un Eden, soprattutto quando si spiega come gli uomini debbano abbandonarla ogni giorno per tornare in una realtà difficile al fine di potersi permettere di vivere bene in un mondo di fiaba. Le vere vittime, paradossalmente, finiscono per essere loro senza che nessuno degli autori se ne renda conto (sarà un caso che gli autori del soggetto vengono dalla Asylum?).
La morale dovrebbe anche essere quella di "The Truman Show" (altra scopiazzatura) secondo la quale è pur sempre meglio vivere in un brutto mondo reale che in un perfetto mondo di finzione, ma ci si chiede quanto possa essere davvero brutto un mondo nel quale la protagonista, pur oberata dal lavoro, è un medico chirurgo con un posto fisso, una casa propria e un fidanzato bello e premuroso. 
Per di più, anche la metafora del balletto viene sprecata: una forma d'arte dove un gruppo di donne sono costrette a muoversi all'unisono, a seguire un ritmo prestabilito da qualcun altro e a ripetere infinite volte i medesimi gesti per il ludibrio del pubblico mentre vengono spesso abusate dietro le quinte ben avrebbe potuto rappresentare il perfetto simbolo dell'oppressione femminile, ma la Wilde lo getta su schermo senza mai dargli il giusto peso.




Viene poi davvero da ridere se poi pensa a come la Wilde abbia a sua detta ricalcato il personaggio di Frank su Jordan Peterson e i suoi tristemente famosi podcast e comizi contro l'emancipazione femminile e di come, sempre a sua detta, quella di Victory dovrebbe essere una forma di rappresentazione dell'ideale sociale degli incel. Si ride perché forse non ha sentito come Peterson, pur deprecabile per le sue posizioni, abbia spesso e volentieri preso le distanze dalla comunità incel e non abbia anzi perso occasione per biasimarli per i loro stessi fallimenti con le donne. Vien da ridere ancora di più laddove ci si rende conto di come secondo lei questi leoni da tastiera possano essere davvero in grado di creare una distopia retrograda.




Tra una metafora fallace e una sceneggiatura bacata, pigra e del tutto priva di spunti originali o anche solo davvero interessanti, "Don't Worry Darling" finisce inevitabilmente per tediare, quando non fa contorcere dalle risate o sbadigliare. 
Spiace davvero vedere un'attrice bella e brava come Florence Pugh invischiata in un progetto del genere, benché ne esca a testa alta con una performance di buon livello. E spiace ancora di più dover dismettere in tal modo un film femminista in un periodo nel quale determinati valori sono costantemente messi sulla graticola. Ma ad Hollywood, si sa, l'impegno si misura con le sole parole, non con i fatti, e che le intuizioni contano più dell'effettiva esecuzione.

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