martedì 24 settembre 2013

To the Wonder

di Terrence Malick

con: Olga Kurylenko, Ben Affleck, Javier Bardem, Rachel McAdams, Romina Mondello.

Usa (2012)


















Dai tempi del suo ritorno al cinema con "La Sottile Linea Rossa" (1999), Terrence Malick ha iniziato a sviluppare uno stile registico personalissimo e radicale che, sebbene presente in via seminale già nei suoi lavori degli anni '70, trova sviluppo e compimento definitivo solo con il recente "The Tree of Life" (2011); stile che porta l'autore a sovvertire ogni forma di schematismo nella narrazione e a bandire gradualmente l'uso dello script, con risultati a dir poco ammalianti: l'intera narrazione filmica diviene un ininterrotto flusso di coscienza, che prende vita esclusivamente tramite le immagini e la voce pensiero dei personaggi; i dialoghi sono striminziti, ridotti all'osso e le immagini prediligono campi lunghi, grandangoli enormi che pongono i soggetti in un perenne stato di tensione con gli sfondi, a rimarcare il confronto tra questi e la natura che li circonda; stile che, si diceva, con "The Tree of Life" trova la sua realizzazione definitiva e che porta l'autore anche a concludere la sua personale riflessione sul rapporto tra l'uomo e l'universo; "To the Wonder" rappresenta il primo passo di Malick verso un nuovo territorio, quello dei sentimenti e dei rapporti interpersonali, temi già presenti nel film precedenti ma che qui, per la prima volta, vengono declinati in toto ed chiave smaccatamente intimista; sfortunatamente, l'autore dimostra poca convinzione nell'affrontarli.



Nel ritrarre la storia d'amore tra Neil (Affleck) e la francese Marina (una splendida e bravissima Olga Kurylenko), Malick radicalizza ulteriormente la messa in scena: i dialoghi sono praticamente banditi dalla carta e lasciati alla libera interpretazione ed improvvisazione degli attori; la messa in scena si fa così più viva e pulsante: ogni schematismo viene abbandonato in favore di una libertà totale nella narrazione; persino la distinzione tra singole scene tende a scomparire: Malick, come da tradizione, gira lunghe sequenze seguendo gli attori con la stedycam per poi assemblare tutto il film direttamente nel montaggio; la pellicola diviene così un ininterrotto fluire di immagini poetiche e di pensieri in libertà, volti ad illustrare, questa volta, l'intimità di una coppia; il concetto di amore viene esplorato dall'autore senza manicheismi: i personaggi si inseguono e si lasciano costantemente, nessuna certezza viene data loro dai loro stessi sentimenti, che nascono e appassiscono di continuo; l'amore, per Malick, è un mistero universale: ci si interroga sul come nasca e sul perchè finisca, senza avere la pretesa di dare risposte certe; il mistero, in quanto tale, può solo essere contemplato al pari delle bellezze dalla natura, come avveniva in "The New World" (2004); la natura, in precedenza protagonista assoluta del cinema dell'autore americano, qui lascia spazio quasi totalmente ai sentimenti e ai misteri che essi celano; i paesaggi vivi e selvaggi vengono sostituiti da ambientazioni rurali o cittadine, che l'autore contempla con lo stesso sguardo carico di meraviglia; ogni immagine, dagli interni più striminziti agli esterni più spaziosi, diviene pro spettacolo per gli occhi; e la narrazione frammentata porta alla totale distruzione dei concetti di tempo e spazio, polverizzati da un montaggio non lineare che rilfette lo straniamento dei personaggi.


Nel seguire Marina, Neil, padre Quintana e Jane, Malick crea immagini potenti e visionarie; lo stato di alienazione di Marina, straniera in terra straniera, viene enfatizzato della camera a mano attaccata, letteralmente, al soggetto; lo stato di abbandono di Jane prende vita mediante luci ed ombre affastellate nella casa della donna, nella quale si perde riflettendo l'ideale perdizione interiore; i misteri della fede e il silenzio di Dio trovano corpo nei pensieri di padre Quintana, nei suoi interrogativi dalle risposte impossibili e nel dolore che esso prova venendo a contatto con i più poveri; le immagini si fanno così pura espressioni di stati d'animo alterati, volte ad esplorare la costante ricerca della meraviglia da parte dell'uomo, meraviglia intesa come "divino", divino in senso laico per il sentimento, ma anche in senso religioso come ricerca di un senso ultimo all'esistenza; il tutto viene declinato, si diceva, in chiave intimista, restando ancorati ai personaggi e alle loro sensazioni, senza mai cercare di darne un valenza universale.


Nel dar corpo ai sentimenti, all'affetto, alle paure e all'alienazione, Malick si riconferma esteta sublime e narratore anticonvenzionale e (per questo) interessante; sfortunatamente, alla fine dei conti non tutto torna; in due ore di pellicola non ci si sente mai coinvolti dagli eventi: a differenza di quanto accadeva nelle precedenti opere del grande regista, la storia di amore e abbandono di "To the Wonder" non convince, forse anche a causa della sua ovvietà; le immagini, per quanto evocative e poetiche, non graffiano, non restituiscono mai una drammaticità effettiva tale da poter colpire davvero nei sentimenti dello spettatore; lo spettacolo diviene così inesorabilmente freddo: si assiste alle peripezie dei protagonisti con un distacco totale, forse anche a causa dello stile frammentario e sperimentale che finisce per colpire solo i sensi, mai i sentimenti di chi osserva.


La freddezza è però il difetto minore dell'opera; come nelle sue precedenti opere, anche in "To the Wonder" Malick ha lasciato grandissimo spazio all'improvvisazione nella costruzione della vicenda; molto del materiale girato alla fine non è stato montato e dell'idea di partenza è rimasta solo una parte; alla storia di Neil e Marina l'autore affianca un ulteriore vicenda, quella di Padre Quintana (Bardem), prete che deve fronteggiare una terribile perdita di fede; tema scottante ed interessante, che però mal si concilia con la storia d'amore dei due protagonisti; la giustapposizione tra la fine del sentimento amoroso e il dissidio interiore di un uomo di chiesa rende la narrazione schizofrenica ed insicura: il mistero della fede e la contemplazione del male quotidiano che affligge le persone costituiscono temi ben più interessanti del solo sentimento amoroso, che avrebbero meritato più spazio e sopratutto maggiore approfondimento; Malick decide di inserirli per tentare una sorta di metafora a specchio tra le due storie, ma così facendo finisce solo per togliere spazio alla storia del padre, che risulta inevitabilmente pretenziosa.


A conti fatti, la contemplazione del mistero della vita e della sofferenza che con essa porta è il vero tema centrale dell'opera; la sua declinazione mediante una semplice storia d'amore risulta inadeguata e il film finisce così per essere, si, spettacolare, riuscito per quel che riguarda la messa in scena e l'eviscerazione dei sentimenti, ma del tutto inerte dal punto di vista strettamente filosofico; le tematiche scomodate non colpiscono, non stuzzicano nè curiosità intellettuale, nè la semplice riflessione; "To the Wonder" finisce così per essere una pellicola spettacolare ma inerte, visivamente pulsante ma fredda nei contenuti; un'opera sentita dal suo autore, ma sostanzialmente vuota; ed è un peccato visto l'indubbio talento di un regista mai troppo lodato.

Nessun commento:

Posta un commento