mercoledì 18 dicembre 2013

Maniac

di Franck Khalfoun

con: Elijah Wood, Nora Arnezeder, Genevieve Alexandra, America Olivo, Megan Duffy.

Thriller/Horror

Francia, Usa (2012)











Si è dibattuto a lungo sulla genuina inutilità dei remake dei classici dell'horror americano; rifare pellicole nate in un decennio scosso da sconvolgimenti politici e sociali che hanno reso la filmografia nazionale feconda ed irripetibile (il periodo che va dal 1968 al 1980) e rileggerle in chiave moderna porta quasi spempre alla totale snaturazione dell'opera d'origine; e, di fatto, pellicole quali "Non Aprite quella Porta" di Marcus Niespel (2003) o "L'Ultima Casa a Sinistra" di Dennis Iliadis (2009) altro non sono che delle brutte copie, esangui e stupide, di classici dell'orrore a stelle e strisce che, di fatto, altro non erano se non la trasposizione di un orrore vero e palpabile, che strisciava sotto la superficie di una società che per la prima volta prendeva coscienza di sé stessa. Il rischio di vedere un piccolo gioiello del cinema slasher underground come il "Maniac" di Lustig (1980) trasformato in un videoclip senza anima e corpo era forte, sopratutto a causa del coinvolgimento di Alexandre Aja, "enfant prodije" dell' horror francese che ci ha regalato "perle" quali "Piranha 3D" (2010) e (tanto per cambiare) l'insipido remake de "Le Colline hanno gli Occhi" (2006); rischio che fortunatamente viene evitato: il remake, in questo caso, è valido quanto il film originale (e forse anche più).


In una Los Angeles notturna ed umida si aggira Frank Zito (Elijah Wood), giovane psicotico sconvolto dagli atteggiamenti lascivi della defunta madre; Frank uccide giovani donne e ne colleziona gli scalpi, che cuce addosso a dei vecchi manichini che ripara nel negozio di famiglia; la situazione si complica quando nella sua vita irrompe la bella fotografa Anna (Nora Arnezeder).


Il "Maniac" di Lustig era un perfetto esempio di slasher horror anni '70: sudicio, violento e decadente, sconvolse gli spettatori dell'epoca, divenendo subito un piccolo film di culto, non solo per l'efferratezza delle scene d'omicidio (su tutte l'uccisione di Tom Savini con una potente deflagrazione cerebrale), ma sopratutto per la descrizione del killer; Frank Zito non è un semplice assassino seriale o un "mostro immortale" come i vari Michael Myers o Jason Voorhees, bensì uno psicopatico dalla caratterizzazione complessa e sfaccettata; costruito sulla fisicità ingombrante e sul viso sfatto e dolente del compianto Joe Spinell (grande caratterista qui promosso nel suo unico ruolo di protagonista), Zito è un assassino sofferente, la cui efferratezza è dovuta agli abusi subiti dalla madre, prostituta che non si vergognava nel far assistere il figlio ai suoi amplessi; Zito uccide giovani coppiette e colleziona gli scalpi delle ragazze come un rituale per ricongiungersi con la genitrice, in un mix di amore e odio distruttivo ed autodistruttivo, instaurando con lo spettatore un rapporto morboso ed ambiguo: di certo non si patteggia per il killer, visto il fatto che le sue vittime sono sempre innocenti, ma non lo si riesce nemmeno ad odiare proprio a causa della natura patologica della sua devianza, accentuata dalla regia di Lustig, che riprende il punto di vista distorto del protagonista in quasi tutte le scene in modo da aumentare l'empatia con lo spettatore.


Nel confezionare il remake, Alexandre Aja (qui solo sceneggiatore) ed il regista Franck Khalfoun (già autore dei trascurabili "-2 il livello del terrore" e "Riflessi di Paura") accentuano i punti di forza della pellicola originale: l'intero film è girato in prima persona, dal punto di vista di Frank, e nei panni del protagonista troviamo Elijah Wood, il quale, pur mostrato solo tramite superfici riflesse e mediante la sua voce pensiero, riesce a dar vita ad un personaggio credibile e ad incarnarne perfettamente la sofferenza patologica e fuori controllo. Il film diviene così un viaggio nella mente di Frank, nelle sue paure e nella sua devianza e, al contempo, una riflessione efficace sull'ossessione moderna per il corpo e la sessualità; il manichino diviene il simulacro del corpo umano: un corpo idealizzato e freddo, che Frank uccide solo quando rispecchia la bellezza ideale della plastica su cui lavora; Frank uccide solo donne, non più coppiette, e nell'uccisione sublima il misto di attrazione e ripulsa che ha per la sessualità; l'omicidio diviene così rituale catartico sia per il personaggio che per lo spettatore, forzato a vedere l'uccisione in prima persona e, così facendo, a guardare il rituale con gli occhi dell'esecutore, a partecipare attivamente all'esecuzione; l'omicidio perde così ogni valenza ludica e di intrattenimento e, anche grazie alla forte componente gore, raggiunge vette di disturbo inusitate.


La regia di Khalfoun è barocca ed affascinante: i piani sequenza vengono spezzati con attacchi sull'asse per dare vita a scene più movimentate; la soggettiva, perenne, talvolta si sfalda in ripresa oggettiva per enfatizzare meglio l'azione, mostrando il killer in terza persona in unica scena; la malattia di Frank viene mimata tramite la perdita del fuoco ed effetti blur che ben rendono la sua devianza; costruendo tutte le scene d'omicidio dal punto di vista dell'assassino,  Khalfoun si diverte anche ad infrangere i clichè dell'horror moderno, come i finti spaventi o i colpi di scena sulle "morti apparenti" dei personaggi; l'apice però lo si raggiunge grazie alla fotografia dai colori freddi e notturni accompagnati dalle note elettroniche della splendida colonna sonora, che fanno somigliare questo remake ad una versione da incubo di "Drive" (2011); paragone calzante, visto l'iperrealismo ricercato e barocco che si fa onirismo nelle bellissime scene delle allucinazioni.


L'esasperazione della componente psicologica, la messa in scena elegante ma mai autocompiaciuta e la bella performance di Wood rendono questo nuovo "Maniac" un esperimento interessante:: un thriller psicologico dalla forte e disturbante venatura horror, un esercizio di stile che riesce ad incuriosire ed inquietare e, al contempo, una bella riflessione sulle ossessioni dell'estetica moderna.

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