sabato 15 febbraio 2014

Prisoners

di Denis Villeneuve

con: Hugh Jackman, Jake Gyllenhall, Paul Dano, Melissa Leo, Viola Davis, Terrence Howard, Maria Bello.

Drammatico/Thriller

Usa (2013)

















---SPOILERS INSIDE---

"Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare un mostro lui stesso; e se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te"; l'aforisma più famoso di Nietsche, che nell'imprescindibile "Al di là del Bene e del Male" prefigurava come spesso l'Inferno fosse lastricato di ottime intenzioni; inferno che inghiotte gli eroi e che divora le vittime in cerca di riscatto; abisso dell'anima che molto spesso si è cercato di ritrarre al cinema mediante il ribaltamento della classica struttura del "revenge movie", come fece, tra gli altri, qualche anno fa Kim Jee-Woon con "I Saw the Devil" (2010), fallendo miseramente; perchè la chiave per succedere nella descrizione del confine labile tra bene e male risiede, a livello drammaturgico, non tanto nella messa in scena, quanto nella forza espressiva della sceneggiatura; concetto che invece negli Stati Uniti sembrano aver capito: Denis Villeneuve con "Prisoners" si affida totalmente al solidissimo script Aaron Gosikoski e crea una parabola interessante sulla dualità tra "buono" e "cattivo".


Durante la festa per il Giorno del Ringraziamento, le figlie di Keller Dover (Hugh Jackman) e del suo vicino di casa Franklin Bich (Terrence Howard) spariscono misteriosamente; incaricato del caso, il detective Loki (Jake Gyllenhall) ferma subito un sospetto, Alex Jones (Paul Dano), spiantato affetto da una grave minorazione psichica; non potendo trattenere Jones per mancanza di prove, Loki ricomincia le indagini da zero; ma Keller si ostina a voler perseguire Jones; in preda ad un raptus paranoico, Keller rapisce Jones e lo segrega per spingerlo a confessare mediante la tortura.


La dicotomia bene/male viene eliminata fin dall'inizio; il superamento avviene già da prima del rapimento; i due autori costruiscono attorno al personaggio di Keller un mondo oscuro, perfetto ritratto della provincia americana; un mondo in preda alla paranoia più pura, che spinge le persone a "pregare per il meglio e prepararsi per il peggio", ossia a vivere nella costante attesa di un cataclisma pronto a sconvolgergli; stato di tensione sotterranea costante che esplode nel momento in cui le cose precipitano: la distruzione dell'equilibrio familiare diventa così la sola causa scatenante della "cifra oscura" propria del personaggio, che al pari del mostro che combatte, rapisce, segrega e tortura un innocente perchè in preda ad un proprio pregiudizio e pienamente convinto della propria ragione. Cattiveria che stritola Keller fin nel midollo e che viene perseguita con fervore religioso; la fede in Dio diviene così strumento per santificare le proprie azioni (proprio come fa il vero responsabile) e che il protagonista esplica in modo prettamente virtuale: recita a memoria le preghiere in stato di trance per farsi forza, ma non bada al contenuto delle parole, trasformando la supplica al Signore in un semplice mantra. E in un circolo infinito, un Eterno Ritorno per dirlo con le parole del filosofo nichilista per antonomasia, la vittima fattasi carnefice torna ad essere vittima nel terzo atto, venendo persino gettato in quell'abisso precedentemente conosciuto solo a livello metaforico.


La paranoia ossessiva e violenta di Keller è lo specchio di un'America oramai priva di riferimenti: disillusa, sola, fiaccata dalla depressione economica (che resta sempre sullo sfondo, ma è sempre avvertibile), la quale riversa i propri rancori sopiti e atavici sui più deboli, gli ultimi, che poi si scopriranno essere a loro volta vittime, quindi doppiamente soggiogati. Ma ancora più spaventosa della furia cieca e incontenibile del protagonista è l'ipocrisia dei coniugi Birch, i quali pur consci nel male insito nella tortura si ostinano a perseguirla pur di ricomporre il proprio nucleo familiare; e se Keller ha almeno il coraggio di sporcarsi le mani, i Birch siedono in disparte ed assistono in silenzio al male, uscendone lindi solo esteriormente, simbolo di una società pronta ad accettare ogni nefandezza quando messa alle stette. Unico personaggio positivo resta quello del detective Loki, il quale persegue il proprio fine senza mai uscire dal tracciato; poliziotto giovane solo virtualmente, incarna quel valore di civiltà che ormai sembra sopravvivere solo in pochi e che viene finanche ostracizzato da chiunque non lo condivida.


E la messa in scena squisitamente classica di Villeneuve si dimostra quasi sempre all'altezza del racconto, affidandosi totalmente alla bellissima fotografia plumbea ed opprimente di Roger Deakins e allo splendido cast; su tutti è ovviamente Jackman a dominare la scena, interpretando magistralmente un personaggio complesso e scomodo, dimostrando straordinarie doti di attore che i blockbuster estivi cui sembra essere abbonato non gli permettevano di esprimere; Paul Dano, a sua volta, da vita ad una vittima sacrificale con un trasporto quasi trascendentale, perdendosi letteralmente dentro la psiche malata ed infantile del suo personaggio; solo Jake Gyllenhall regala una prova meno incisiva rispetto al resto del cast, ma d'altro canto non poteva essere altrimenti vista la natura netta e laconica del suo personaggio.


E se il polso di Villeneuve vacilla quando si tratta di creare scene di tensione (l'arresto del secondo sospetto e il climax), la sceneggiatura di Gosikoski sopperisce a tale mancanza costruendo l'antefatto alla vicenda in modo eccellente, tramite una serie di sottotrame solo apparentemente slegate tra loro che si riuniscono in un crescendo di tensione, riuscendo a convincere anche quando fa ricorso a simbolismi abusati (il labirinto come metafora della perdizione mentale e il serpente come simbolo del male) per aumentare l'atmosfera.

2 commenti:

  1. ok, sei riuscito nell'intento di nn farmelo vedere, mi hai condizionato mentalemente, bravo dani..........zucchero ancora, di più!

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    1. ok, se magari adesso spieghi anche il perchè magari riusciamo a capirci.

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