sabato 12 aprile 2014

Noah

di Darren Aronofsky

con: Russell Crowe, Jennifer Connelly, Ray Winstone, Emma Watson, Anthony Hopkins, Logan Lerman, Douglas Booth, Nick Nolte, Mark Margolis.

Usa (2014)



















Ogni volta che Darren Aronofsky si avvicina ai territori della spiritualità accadono danni; era successo nel 2005 con "The Fountain", strambo e compiaciuto mix di esoterismo maya ed influenze indu, perfettamente annoverabile nella corrente "New Age", anch'essa a sua volta miscuglio di suggestioni orientali e sudamericane che tanto furoreggiava negli anni '90 nei peggiori ambienti radical chic; succede oggi con "Noah", dove l'autore, noto lettore della Cabala, rilegge il Diluvio Universale in chiave ecologista e veg; con esiti involontariamente ironici e di pessimo gusto.


Come il Pasolini del Ciclo del Mito, anche Aronofsky ambienta la sua epica biblica in un mondo primordiale al di fuori del tempo e dello spazio, una mitica "Età del Ferro" ove ogni riferimento a qualsiasi civiltà viene evitato; in ossequio alla tradizione giudaico-cabalistica, la razza umana viene scissa in due stirpi diverse ed inconciliabili: i Figli di Caino, portatori di tutti i peccati, ed i Figli di Seth, fautori della volontà divina; Noah (Russell Crowe) è l'ultimo della stirpe di Seth e Dio comunica con lui tramite delle visioni, come tramandato nella Bibbia; le risate cominciano quando il profeta si reca in visita da suo nonno Matusalemme (Anthony Hopkins, oramai abbonato ai ruoli da vecchio saggio in film in costume), ancora vivo e vegeto, il quale lo aiuta ad avere un'altra visione rivelatrice... grazie ad un tè lisergico; Noah comprende di dovere costruire un'Arca per la salvezza del creato, ma si inimica Tubal-Cain (Ray Winstone), volitivo proto-tiranno della stirpe di Caino.


La concezione del peccato degli uomini di Aronofsky è semplicemente sbagliata; glissato ogni riferimento alla violenza e alla decadenza morale (fatto salvo il solo episodio dell'uccisione di Abele), l'autore riduce il male umano a due sole attività: il consumo di carne e l'edificazione delle città; il vegetarianismo e la vita all'aria aperta, nella visone dell'autore, sono le uniche vie della salvezza, praticate dalla stirpe di Seth ed  aborrite da quella di Caino; l'uccisione dell'animale ai fini del sostentamento e la creazione di una civiltà organizzata sono l'espressione suprema del Male, nonchè una forma di dominazione dell'Uomo sul Creato, come se nel resto del Vecchio Testamento non si facesse menzione del favore del Creatore verso il sacrificio di animali o sull'edificazione di civiltà; Aronofsky si rifà nuovamente alle suggestioni New Age, sbatte in faccia al pubblico il suo credo vegano ai limiti dell' hippie e tronca ogni possibile forma di sintesi tra le due visioni opposte; anche nel delirio finale, Noah resta il buono mentre Tubal-Cain è sempre il diavolo tentatore, come se tutto il film fosse un gigantesco sermone di un predicatore puritano piuttosto che la tesi di un dotto lettore delle Sacre Scritture.


E il tono serioso e predicatorio con cui Aronofsky conduce il tutto non può che rafforzare quest'impressione; la sua filosofia da ragazzetto alternativo e spocchioso fuoriesce da ogni singolo fotogramma, a ricordarci come il peccato sia in fondo nelle piccole cose, nel desiderio di una famiglia, in ciò che si mangia, dove si vive; fatto sta che il suo eroe, Noah, benchè descritto come uomo mite, non si fa problemi ad imbracciare le armi e ad uccidere chiunque gli capiti a tiro, senza avere il minimo rimorso di coscienza; e come ogni quacchero che si rispetti è pronto a giustificarsi dicendo che Dio è con lui, aumentando la già alta percentuale di cattivo gusto.
Se proprio qualcosa va salvato nella visione dell'autore, questo non può che essere la rilettura della Creazione, dove riesce a far convivere le tesi creazioniste con quelle evoluzioniste, regalando almeno per un attimo l'impressione di trovarci innanzi ad una pellicola seria piuttosto che ad uno sproloquio.


E se la lettura del Diluvio appare indigesta, del tutto risibile è l'estetica adottata dall'autore per la sua messa in scena; il mondo di "Noah" è una via di mezzo tra una preistoria fantasy ed il post-apocalittico alla Mad Max; ecco dunque apparire dal nulla guerrieri in cotta di maglia, scudi fatti con fogli di lamiera ondulati (!) e fabbri che forgiano armi usando caschi da saldatore (!!!); e se già questo basterebbe per mandare all'aria ogni forma di sospensione dell'incredulità, Aronofsky alza il tiro ridisegnando gli Angeli Caduti (definiti "Vigilanti" come nella tradizione ebraica) come dei golem di pietra e luce capaci di mutarsi in rocce, sorta di Transformers ancestrali dalle movenze goffe ed assolutamente ridicole; e quando questi cominciano a combattere al fianco di Noah per difendere l'Arca sembra davvero di assistere ad una sorta di spin-off della saga de "Il Signore degli Anelli" in acido o ad un sandalone spacciato per mistica visione del passato.


Spocchioso, manicheo, assolutamente ridicolo e malriuscito, "Noah" non è una rilettura del Vecchio Testamento, quanto il delirio di un bibbiofilo vegano sotto pesanti dosi di mescalina; e spiace davvero vedere un cast affiatato ed in parte sprecato per un incubo autoriale simile.

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