martedì 3 novembre 2015

The Addiction- Vampiri a New York

di Abel Ferrara.

con: Lili Taylor, Christopher Walken, Annabella Sciorra, Edie Falco, Paul Calderon, Kathryn Erbe, Michael Imperioli.

Usa, 1995

















---CONTIENE SPOILERS---


Il biennio 1994-1995 rappresenta un ideale punto d'arrivo nel cinema americano. Gli anni '90, con la riscoperta del "cinema d'autore", la rinascita di un sistema produttivo non unicamente imperniato sulla logica del profitto e la contemporanea massimizzazione del cinema indipendente, si pongono come la perfetta continuazione di quel cinema sperimentale che tra la fine degli anni '60 e i primissimi anni '80 configurò la cosiddetta "New Wave", apice inarrivabile della cinematografia a stelle e strisce, che, inutile negarlo, in quegli anni raggiunge il massimo splendore.
Nel biennio, a metà decennio, un ristretto pugno di pellicole reinventa, riarrangia e ristruttura tutte le convenzioni estetico-narrative del "classicismo" per creare nuovi linguaggi. Basti pensare all'exploit di Tarantino con "Pulp Fiction" (1994), dove la destrutturazione narrativa , fortemente influenzata da Godard, Kubrick e Welles, ricrea da capo le regole della narrazione. Allo speculare "I Soliti Sospetti" (1995), dove si ha invece un costruttivismo totale che trova il suo punto di forza nel colpo di scena finale. O ancora a "Natural Born Killers" (1994), dove l'estetica filmica si colora di influenze video e televisive, così come nel meno noto ma altrettanto importante "Wild Bill" (1995) di Walter Hill, che riprende il discorso del western "revisionista" anni '70.
Eppure, per quanto fortemente legati alla sperimentazione, cineasti come Tarantino,Stone o Richard Linklater non si sono mai davvero allontanati da una forma di classicismo nella scrittura, che li porta sempre e comunque ad usare una struttura in atti e a regolare la caratterizzazione dei personaggi su una forma di necessità narrativa. Laddove costoro si sono fermati, Abel Ferrara è riuscito ad andare oltre con il capolavoro "The Addiction".
Nella struttura di base, Ferrara scompagina totalmente ogni forma di schematismo classico, infrange la narrazione lineare per creare una struttura para-episodica dove ogni sequenza e talvolta ogni singola scena è un mondo a sé, un tassello di un mosaico che vive grazie al simbolismo filosofico-religioso. Un tassello dove ogni gesto, simbolo, immagine o personaggio veicola parte del tutto, per creare una nuova struttura narrativa, al contempo estremamente frammentata e ineludibilmente compatta.


"The Addiction" è però anzitutto un compiuto racconto morale, una riflessione amara, viscerale e talvolta sfrontata sul concetto di "Male" che attanaglia l'essere umano. Laddove "Il Cattivo Tenente" (1992) si poneva come una parabola su di un peccatore, "The Addiction" è lo spaccato di una vita che prende coscienza dell'ineludibilità del peccato stesso, vissuta come un gigantesco flusso di coscienza nel quale si mischiano citazioni filosofiche e reminiscenze religiose.
Il vampirismo di Ferrara è malattia dell'anima che passa per il corpo. Un malanno simile all'AIDS (si propaga grazie al sangue ed è sinonimo di abbandono al puro senso, entra dalle vene del braccio e causa la "fuoriuscita della vita") che circola per le strade, distrugge il corpo, condannato a marcire in una morte perenne, ma sopratutto infrange lo spirito. La malattia della giovane Kathleen (Lili Taylor, specchio di Ferrara e sopratutto di Nicholas St.John, all'epoca in preda ad una profonda crisi spirituale), il "vizio", ossia la sete di sangue, la porta a realizzare compiutamente l'onnipresenza del male nella vita umana. "Adesso capisco, o Signore, la mostruosità che c’è dentro di noi, la nostra droga è il male, la nostra propensione al male risiede nella nostra debolezza. Kierkegaard aveva ragione, c’è un terribile precipizio davanti a noi, ma si sbagliava riguardo al salto, c’è differenza tra il saltare e l’essere spinti. Si arriva a un punto in cui bisogna fare i conti con i propri bisogni e l’incapacità di gestire fino in fondo la situazione crea un’insopportabile ansia, non è cogito ergo sum, ma pecco ergo sum, pecco quindi sono"; tale è il punto di arrivo del peregrinare dell'uomo all'interno del mondo, la presa di coscienza dolorosa ed incontrovertibile della propria vera essenza. Il male è parte dell'uomo: "Non siamo peccatori perchè pecchiamo. Pecchiamo perchè siamo peccatori". Il male, in quanto parte dell'essere, porta l'uomo a commettere il male. Non si può scindere il male dall'essenza umana; dinanzi alle foto dei massacri della II Guerra Mondaile, Kath afferma come la riflessione di Santayana secondo la quale colui che non conosce la Storia è condannato a ripeterne gli errori sia solo una falsità: il male esiste a prescindere dalla storia e dalla sua coscienza. L'uomo, in quanto portare del "virus" del male, lo commetterà a prescindere da ogni forma di conoscenza storica. Ma sopratutto: una volta raggiunta la piena realizzazione della propria malvagità, l'uomo non può conoscere altri limiti di sorta nella commissione dello stesso.


Nella piena realizzazione della propria compiutezza, l'uomo non può sottrarsi da compiere quel male che è parte di sé. L'atto peccaminoso (il morso, inteso sia come diffusione del malessere nella sequenza in cui Kath seduce il suo insegnante e lo porta a consumare una dose di sangue, sia come atto puramente violento in quella nella quale morde la studentessa di antropologia) diviene affermazione di sé, intesa come imposizione della propria superiorità. Il peccatore, come il super-uomo di Nietzsche, usa il peccato come arma per sottomettere il prossimo. Quest'ultimo ai suoi occhi è un debole: un soggetto che non ha coscienza di sé e che dunque è preda designata. Quando la vampira Casanova (Annabella Sciorra) aggredisce Kath per la prima volta, le chiede di gridarle contro, di imporle di andarle via: l'essere che ai propri occhi è superiore può avere rispetto solo per un suo pari; nel momento in cui Kath si dimostra sottomessa, tenta ossia di salvarsi facendo ricorso non alla forza ma alla clemenza, il vampiro non può obbedire: non può riconoscere la pietà, in quanto sistema di valore a lui avulso poichè superato. Allo stesso modo, anche Kath ordina alle sue vittime di essere scacciata con la forza: l'affermazione di sé non può trovare limite alcuno se non in un altro sé stesso, ossia in un soggetto speculare e perciò pari in dignità.



Pur tuttavia, l'abbandono totale al peccato, inteso ora anche come abbandono al vizio e alla dipendenza (il titolo indica appunto una dipendenza ineludibile), porta indefettibilmente alla rovina. Quando Kath sembra persa, incontra per caso il personaggio di Pena (un magnetico Christopher Walken), vampiro anziano che riesce a contenere la "fame". L'abbandono al vizio porta all'autodistruzione, ma Pena riesce a contenere il proprio, a non esserne vittima: l'uomo, pur cosciente del "male" riesce ad addivenire ad una sorta di patto con lo stesso, o, per meglio dire, con la propria percezione. Il vecchio vampiro è dipinto come un intellettuale, forse un artista, membro di quella classe un pò bohemien prodotta dall'Occidente borghese che si diverte a mistificare il mondo che l'ha generata. Pena è il simbolo di quella parte d'umanità che non ignora il peccato (i vivi), né vi si abbandona totalmente (i vampiri), ma che in ogni singolo gesto, pensiero e ragionamento sa ricondurre il proprio essere in una zona sita al di là della semplice dicotomia bene/male. Una zona oscura (esordisce chiedendo a Kath se "vuole essere portata in un luogo oscuro") poichè difficile da raggiungere. Uno stato dell'essere, il suo, comune a molti filosofi occidentali (il richiamo esplicito è al solito fatto a Nietzsche, ma anche a Sartre) e che porta al dolore, la "pena" (in originale "Peinia", pronunciato "Pain") che deve scontare colui che sia attanagliato dalla coscienza del male e dalla ripulsione per lo stesso. 
Il dolore dell'anima è il primo antidoto al vizio: un limite che porta l'uomo ad avere coscienza del proprio male grazie al superamento del suo concetto assolutistico. Non per nulla, è lo stesso Pena ad affermare:"L'umanità ha cercato di esistere al di là del bene e del male e sai cos'ha trovato? Me."


Ulteriore mitigazione all'abbandono al vizio è il valore religioso: prima del massacro finale, Kath incontra un giovane prete (Michael Imperioli) il quale le ricorda della presenza di un altro termine assoluto, il quale, nella confessione cattolica, è anche essere immanente, non solo trascendente. Il male assoluto del peccatore non può tuttavia accettare la coesistenza con un ulteriore assolutezza: "non mi sottometterò!" esclama furente. L'essere assoluto, poichè portatore di un concetto assoluto ed assolutizzante, non può riconoscere l'esistenza di un principio supremo (il Bene, il Dio misericordioso e amorevole del Cattolicesimo) che ne limiti o neghi l'azione, poichè in sua presenza non potrebbe affermarsi e dunque realizzarsi.
Pur tuttavia, l'incapacità di schivare le conseguenze del male (il malessere fisico e spirituale) portano l'uomo a nuova sofferenza. L'abbandono al vizio viene sublimato dalle parole di Kath prima del massacro, utili a comprendere la sua successiva caduta in disgrazia: si cerca il vizio per soddisfare una propria irresistibile pulsione, ma questo porta con sé, oltre al soddisfacimento, anche l'ottundimento dei sensi. La soddisfazione di una voglia conduce alla perdita di una parte di sé. La soddisfazione del desiderio del Male, porta ad una autodistruzione definitiva, la quale viene però negata a Kath da Casanova, che le ricorda il suo status di peccatore, di portatrice del Male. L'escapismo del suicidio, visto come forma di sollievo al dolore del vivere, viene negato in quanto non conforme non solo alla dottrina religiosa di riferimento dei due autori (Nicholas St.John, è bene ricordarlo, è un prete mancato), ma anche perchè non idoneo a portare alla accettazione del proprio essere.


La piena realizzazione di sé stessi viene fatta invece passare dai due autori attraverso il sacramento della confessione: l'ammissione totale e cosciente del peccato, inteso non solo in senso religioso (e quindi spogliando il sacramento stesso della sola valenza sacrale per aggiungervi anche quella laica), ma sopratutto come esternazione cosciente e critica della propria natura, viatico per la propria accettazione. L'affermazione sentita di "essere il male" e la richiesta del perdono portano ad una forma di autocoscienza totale che permette all'uomo di poter convivere con la propria natura 
Pur tuttavia, nel criptico finale Kath afferma come l'autocoscienza sia autodistruzione: è davvero possibile giungere ad una piena realizzazione del proprio essere o bisogna affidarsi alla religione, così come suggerisce l'ultimissima inquadratura? Ferrara e St.John non rispondono: il loro non vuole essere un trattato filosofico finito, il quale sarebbe per forza di cose riduttivo, quanto una riflessione esistenzialista aperta, uno spaccato più che un diktat, la descrizione critica e sentita di uno stato d'essere, piuttosto che l'indicazione definitiva di una dottrina.


La costruzione fluviale della coscienza di Kath e delle riflessioni dei due autori, si fa decostruzione totale di ogni schematismo filmico. La tripartizione in atti, pur presente, viene obliata dalla distruzione della linearità. La citazione colta si fa dialogo e la dialettica filosofica forma narrante. "The Addiction" è la totale negazione di ogni forma narrativa evolutiva: non vi è sviluppo lineare, la narrazione è inscindibile dalla riflessione. Laddove questa è talvolta ellittica e caotica, anche la prima deve necessariamente esserlo. Forma e contenuto si saldano tanto da divenire inscindibili: l'ellissi narrativa diviene salto logico motivato, mentre il caos spirtual-esistenziale dà forma all'ellissi stessa.
Ferrara crea una nuova narrativa, che trova antecedenti logici in molto cinema europeo (su tutti "Rabbia" di Pasolini), ma che risulta inedita nel panorama americano e che non deve formalmente nulla a chi è venuto prima di lui.
Il "nuovo linguaggio" può risultare ostico, ma altrettanto evocativo. "The Addiction" è un capolavoro di cinema al servizio della mente, un flusso costante di immagini in grado di dar forma compiuta, coerente e vivida ad una ricerca spasmodica, scomoda eppure ineludibile.

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