martedì 12 gennaio 2016

Caligola

Caligula

di Tinto Brass.

con: Malcolm McDowell, Teresa Ann Savoy, Helen Mirren, Peter O'Toole, John Gilgud, John Steiner, Guido Mannari, Adriana Asti, Leopoldo Trieste.

Storico/Drammatico/Pornografico

Usa, Italia 1979













Quando si pensa ad un film "maledetto", il modello di riferimento è dato di solito da pellicole che a prescindere dai problemi avuti durante la produzione, alle peripezie di cast e troupe, alle polemiche che ne hanno magari circondato l'uscita, sono comunque state in grado di imporsi all'attenzione di critica e pubblico e a divenire, magari nel tempo, vere e proprie pietre miliari nella storia del cinema o, quantomeno, film di culto. Gli esempi in tal senso non mancano di certo e sono tutti più o meno illustri: da "Nascita di una Nazione" (1915) ad "Arancia Meccanica" (1971) o anche "Apocalypse Now" (1979), "Ultimo Tango a Parigi" (1972), "I Cancelli del Cielo" (1980), "Dune" (1984) e finanche piccoli gioielli come "Il Corvo- The Crow" (1994) e "Donnie Darko" (2001).
In un panorama del genere, popolato da nomi più o meno illustri tra gli autori e film più o meno importanti, il famoso "Caligola" di Tinto Brass sembrerebbe stonare: come può l'opera di un regista famoso per gli exploit softcore e girata come un vero e proprio film porno essere affiancata a vere e proprie pietre miliare della Settima Arte?
Perchè "Caligola" rientra tranquillamente tra i cosiddetti "film maledetti" a causa della cattiva sorte di cui ha goduto, ma data la sua nomea e, sopratutto, il fatto di essere divenuto un culto solo in tempi recentissimi e solo grazie ai moviegorers di internet affamati di pellicole trash, la si potrebbe tranquillamente etichettare come una stravagante ed ambiziosa "vaccata". Posizione vera solo in parte.
Ma per comprendere appieno il perchè occorre ripercorre la storia di un film che è stato in grado di far arrabbiare molti degli autori coinvolti, di distruggere le carriere di Malcolm McDowell e Peter O'Toole, le quali non si riprenderanno mai dal colpo subito, di impedire ad un attrice del calibro di Helen Mirren, all'epoca al sui esordio su celluloide, di affermarsi immediatamente nel mondo del cinema e di far intraprendere un corso totalmente diverso alla filmografia di Tinto Brass. Pellicola, infine, in grado di imporsi all'attenzione di critica e pubblico solamente per motivi "pruriginosi" o "scandalosi", più che per effettivi meriti artistici.




Il progetto alla base del film nasce nei primi anni '70, dalla mente di niente meno che Gore Vidal. Il grande intellettuale americano scrisse una sceneggiatura ambiziosa ed ispirata: una biografia di Gaio Giulio Germanico detto Caligola, terzo imperatore romano, ultimo esponente della gens Iulia e passato alla storia come esempio di corruzione morale. Nella visione di Vidal, Caligola era un ragazzo semplice, che chiamato a succedere al padre Tiberio viene inebriato dal potere assoluto sino ad impazzire, metafora della forza distruttiva del potere stesso.
Completata la prima stesura, la sceneggiatura fa il canonico giro per i maggiori studios di Hollywood e viene puntualmente rigettata, poichè  vista come un semplice peplum più che un dramma in costume in un'epoca in cui il "sandalone" era un genere oramai defunto.
Bruciata la possibilità di una produzione di serie A, al progetto si avvicina un novello produttore, attivo nell'ambito del cinema underground, un uomo ambizioso, all'epoca appena entrato nel giro delle produzioni filmiche ed in cerca di un progetto in grado di consacrarlo: Bob Guccione, editore in capo di Penthouse, ossia la prima e più celebre rivista porno della storia.




Guccione aveva le idee chiare in merito al progetto: creare un film che si imponesse come campione di incassi, facendo leva sul pubblico grazie alla licenziosità dovuta all'ambientazione nella Roma pagana, ma che al contempo fosse ben accolto dalla critica, dato il nome illustre del suo sceneggiatore. Ambizioso sin nel midollo, voleva fare le cose in grande e portare altri nomi illustri a bordo, primo fra tutti quello di Federico Fellini, contattato inizialmente per dirigere, ma che rifiuterà per perseguire progetti più personali, tra i quali lo splendido "Il Casanova di Federico Fellini" (1976).
Perso l'appoggio del grande artista riminese, Guccione decide comunque di rimanere in Italia per la produzione, a causa della favorevole congiuntura economica e per la possibilità di affidare la direzione artistica a Danilo Donati, trovando inoltre l'aiuto del produttore Franco Rossellini. Per la regia vera e propria decide di rivolgersi a soggetti più malleabili, ma al contempo in grado di creare una visione affascinante.
La scelta finale ricade sull'allora 43nne Tinto Brass e sarebbe facile etichettarla sulla scorta dell'odierna nomea del regista. Viceversa, all'epoca Brass era un autore serio, che sapeva fondere istanze artistiche e popolari con nonchalance, come testimoniato da pellicole quali "L'Urlo" (1968) e "Salon Kitty" (1976). Un autore a tutto tondo, che coglie al volo la possibilità di collaborare con Vidal e sopratutto con il cast d'eccezione che i produttori avevano assemblato: oltre che le star McDowell e O'Toole figuravano anche Leopoldo Trieste, John Steiner, caratterista del cinema di genere nostrano, Maria Schneider, che però abbonderà la produzione perchè impaurita dal tono erotico, e sopratutto John Gielgud, il massimo attore del teatro shakespeariano vivente.
Ma fu proprio la riunione di tre personalità forti quale quelle di Brass, Guccione e Vidal che portò i primi guai al progetto.


Brass aveva una sua visione del personaggio che mal si conciliava con quella di Vidal. Ordinate ben 7 riscritture della sceneggiatura, il regista non era ancora soddisfatto e decise di riscriverne parte di suo pugno. Vidal, oltraggiato, decise di togliere il suo nome al film, nel quale ci si limita infatti a fare giusto un richiamo fugace al suo lavoro. Lo scontro tra i due era dovuto sopratutto alla differente concezione della paternità artistica in campo filmico. Per Vidal il vero autore di un film è lo sceneggiatore, che pone le basi, essenziali, con la storia e con i personaggi; concezione fortemente viziata dalle sue origini letterarie e del tutto antitetica con quella di Brass, che richiamandosi alla politica degli autori vedeva nel regista la figura centrale nel processo creativo, poichè nel medium audiovisivo il prodotto finito è dovuto alla messa in scena.
Ottenuto uno script definitivo, Brass, Guccione e Rossellini cominciano le riprese nel 1975 con un budget di 13 milioni di dollari, che lieviterà, nel corso dell'anno durante il quale le stesse si trascineranno, fino a 20, facendo di "Caligola" la produzione indipendente più costosa della storia del cinema. Su di un set blindato, Danilo Donati, forte dei capitali stratosferici, riesce a creare alcune delle sue opere più ambiziose, tra set giganteschi ed oggetti di scena enormi, tra i quali spunta la "nave dell'orgia", tutt'oggi il più grande mai costruito. Ed è da questo punto che la nomea del film comincia a circolare, sotto forma di leggenda metropolitana, tra critica e pubblico.




Il cinema di Brass era già all'epoca celebre per l'erotismo. L'unione con il patron di Penthouse scatenò la curiosità generale, alimentata dalla riservatezza sulle riprese. Storie di scene di sesso esplicito e addirittura zoofilo (la sequenza nella quale il protagonista ammalato dorme con affianco il suo cavallo) creano un primo alone di "dannazione" sul film, che lo accompagnerà sino all'uscita nelle sale.
Ma fu con la fine delle riprese che la "maledizione" prese forma. Nel contratto di assunzione, a Brass veniva negato il final cut, ma concesso il first cut sul film, in modo da permettergli di assemblarlo e settare il tono generale. Impegno che non fu rispettato dai produttori, i quali rubarono letteralmente il girato e lo montarono autonomamente, estromettendo in toto il regista dal processo creativo. La versione integrale del film, della durata di ben 156 minuti è opera del solo Guccione, tanto che Tinto Brass viene accreditato unicamente come autore delle riprese principali.
Lo scontro tra i due, questa volta, era dovuto ad una differente veduta sull'estetica: Brass voleva fare un film d'autore nel quale la Roma pagana veniva descritta in modo surreale e grottesco, con un erotismo di stampo felliniano, mai genuinamente erotico. A Guccione invece interessava solo dar spazio alle grazie delle procaci attrici, tra le quali figuravano le "pets of the month" più famose dell'epoca, in modo da poterlo vendere nei circuiti a luci rosse. Deluso dalla mancanza di vero eros, il produttore aggiunse nuove sequenze girate ad hoc, dove le prosperose pets Tori Wagner e Annika Di Lorenzo (che nella versione di Brass si limitavano a comparire nude) si abbandonavano a scene di sesso esplicito, saffico nella sequenza in cui Caligola intrattiene un rapporto a tre con la moglie Cesonia e la sorella Drusilla, etero durante la sequenza dell'orgia.




Il montaggio di Guccione, totalmente inesperto, finisce per massacrare la pellicola. Dal prodotto finito vengono escluse alcune delle sequenze più importanti, come quella nella quale l'imperatore nomina senatore il suo cavallo Incitatus; l'intero film si trasforma da disanima del potere a carnevale di oscenità gratuita, dove ogni forma narrativa viene annacquata, diluita inutilmente nelle inquadrature "hard", perdendo di mordente e ritmo. Ogni singola scena è semplicemente assemblata, non montata: le basi della grammatica filmica mancano a causa dell'inesperienza del produttore, tramutandosi in un prodotto ai limiti dell'amatoriale, dove l'estetica della ripresa di Brass, a tratti squisitamente geometrica e pittorica, viene sacrifica in favore del sesso.
Massacro che permise comunque al film di riscuotere un enorme successo: arrivato nelle sale in America e Italia solo nel 1979 (nel resto d'Europa ed in Asia venne distribuito, a singhiozzo, già a partire dal 1977), recupera il suo budget in un solo giorno di programmazione. In Italia, tuttavia, il film viene sequestrato dopo una settimana per oscenità e Brass riuscì a stento a difendersi dimostrando la sua estraneità al prodotto finito. Concluso il processo, Brass riuscì anche a vincere una causa contro Guccione, la quale stabilì come il regista sia comunque titolare del film a prescindere dalla quantità del materiale che effettivamente sia stato usato nel montaggio definitivo. Impossibilitato a creare una sua versione del film, Brass si rifece in parte tagliando le sequenze hardcore e riuscendo a ridistribuire il film nel 1984 con il titolo "Io, Caligola", ad oggi la versione "ufficiale" su territorio italiano.




Distrutta dall'opera selvaggia del produttore, la pellicola risulta tuttavia interessante: all'interno della stessa versione integrale è possibile scorgere le macerie del film voluto da Brass, oltre che il lavoro magistrale del cast.
Il Caligola del duo Brass/McDowell (che si immerge totalmente nel personaggio caricandolo di una prorompente energia) non è un uomo comune corrotto dal potere. Tutt'altro: egli è corrotto sin da ragazzo, presentandosi sin da subito come un edonista perso nell'amore carnale per la sorella Drusilla e ossessionato dalla paura della morte. Caligola si confronta con il nonno Tiberio, imperatore morente ritratto come un corpo in decomposizione, le cui pustole sono l'esternazione della decadenza nella quale sguazza. Giunto al potere, Caligola si rivela per ciò che è: un anarchico, un bambino al quale viene dato potere di vita e morte sul mondo, con il quale si diverte a giocare come un balocco.




Non un imperatore folle, quanto un folle chiamato a fare l'imperatore, che sfrutta la sua posizione per abbandonarsi ad ogni forma di compiacimento. Primo l'omicidio: l'uccisione del compagno e amico Macrone per rinsaldare il suo potere e sposarne la moglie, già da tempo sua amante. Poi l'esilio di quest'ultima per sposare una consorte più giovane, la bella e algida Cesonia, che si diverte a portare in giro al guinzaglio.
Il sesso diviene sublimazione del potere, strumento per la sottomissione del prossimo, sia esso una vergine durante la sua prima notte di nozze che un soldato la cui mascolinità viene azzerata con uno stupro. O, ancora, affermazione di potere definitivo sull'odiata casta dei senatori, costretti a guardare le mogli prostituirsi per il piacere dell'imperatore. Caligola è l'incarnazione della forma più genuina del potere politico: la sottomissione per il proprio piacere carnale, l'affermazione della propria virilità mediante la distruzione fisica e sessuale di chiunque lo circondi; ma anche un potere inetto, del tutto inefficace sul piano strettamente politico perchè dedito solo a sè stesso (il fallimento della campagna in Britannia, l'urgenza economica perenne). Tema universale che, paradossalmente, nell'Italia del XXI secolo è tristemente attuale.



Personaggio bigger than cinema che ben avrebbe trovato forma completa nell'opera così come originariamente concepita. Ma nella sua versione attuale, "Caligola" è solo uno spettacolo ai limiti del pecoreccio, interessante più per la sua storia produttiva che per il contenuto narrativo, ennesima prova di come la politica degli autori dovrebbe essere tenuta in maggiore considerazione.

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