lunedì 22 febbraio 2016

Deadpool

di Tim Miller.

con: Ryan Reynolds, Morena Baccarin, Ed Skrein, Gina Carano, T.J. Miller, Leslie Uggams, Brianna Hildebrand.

Azione/Commedia/Fumettistico

Usa 2016















Gli anni '90 rappresentano la morte del fumetto americano mainstream, in particolare di tutto il filone supereoistico. Se negli anni '80 albi come "Watchmen" e "Il Ritorno del Cavaliere Oscuro" avevano alzato il livello delle produzioni sui vigilantes mascherati introducendo uno sguardo maturo, serio e profondo sui personaggi e tematiche adulte, non strettamente legate al puro intrattenimento, nel decennio successivo la qualità delle produzioni cala drasticamente. Il perchè è da ricercare in un unico "elemento di disturbo" che portò i comics a cambiare faccia per sempre: Rob Liefeld.



Scrittore e disegnatore, Liefeld esordisce in casa Dc ancora adolescente, dove crea la serie "Hawk and Dove", ma il vero successo per lui arriva solo nel 1991 con il passaggio alla Marvel, che gli affida la "rigenerazione" della testata "New Mutants", spin-off dei più famosi "X-Men" e che lui presto ribattezza con il più granitico titolo "X-Force". Avuta praticamente carta bianca su testi e disegni, Liefeld impone uno stile nuovo al tratto dei personaggi, destinato a fare scuola: al bando le proporzioni anatomiche, tutti i personaggi maschili divengono degli ammassi di muscoli in pose plastiche distorte, totalmente impossibili, dei veri e propri wrestler ultrapompati e sproporzionati, mentre quelli femminili vengono oggettificati facendoli contorcere su se stessi per mostrare al lettore seno e bacino contemporaneamente, in un tripudio di testorene da far star male. Tripudio che non si ferma ai soli modelli: fortemente influenzato dagli action movies di Schwarzenegger e Stallone, Liefeld ripensa i supereroi come dei duri che parlano solo con one-line e battute ad effetto e che ai normali superpoteri preferiscono l'uso di pistole e fucili, ridisegnati per sembrare veri e propri cannoni portatili sempre più grandi ed improbabili. E per coronare definitivamente la trasmutazione dell'eroe a macho, Liefeld scrive storie totalmente votate all'azione più pura e stupida, dove i nuovi mutanti sono impegnati in sparatorie al fulmicotone per interi numeri, viaggi nel tempo privi della più basica logica e dove ogni due pagine c'è un colpo di scena volto a rimescolare il passato o l'identità di ogni singolo personaggio. In sostanza, Liefeld fa nei comics ciò che Michael Bay avrebbe fatto al cinema d'azione a partire da metà del decennio. Quel che è peggio, per invogliare il lettore a comprare sempre numeri della testata, concepisce, di concerto con il reparto marketing della Marvel, una strategia di vendita oscena: introdurre ad ogni numero un nuovo personaggio senza darne una origin-story o una motivazione chiara, cosicchè il pubblico sia costretto a perseverare nella lettura per dare un senso al canovaccio presentato di volta in volta.


Ma le regole della "Casa delle Idee" pare calzassero strette a Liefeld, il quale, assieme ad altri big dell'epoca come Todd McFarlane e Jim Lee, decise di contrastare la politica delle due più grandi case editrici, creando una loro etichetta, la Image Comics, presso la quale ciascun autore avrebbe avuto piena libertà creativa e nessun vincolo temporale per la consegna del materiale. Il danno era fatto: con testate quali "Youngblood", Liefeld riuscì definitivamente ad imporre il suo modello, che di lì a poco fu ripreso da ogni singolo disegnatore e sceneggiatore, affossando la qualità di personaggi e storie.
Contemporaneamente, il mercato dei comics fu vittima di una vera e propria bolla speculativa; a partire dai primi anni '90 si impose presso il grande pubblico la convinzione che gli albi stampati con numerazione più bassa (ossia i primi numeri di nuove testate) avrebbero potuto valere milioni in un futuro prossimo; convinzione perorata dalla storica vendita all'asta del primo numero di "Action Comics" per circa un milione di dollari. Le case editrici decisero di speculare su questa tendenza facendo "ripartire" le serie più famose da zero, creando copertine speciali e numeri da collezione all'infinito, per il solo gusto di vendere più copie al visionario collezionista di turno. La stessa Image, appena nata, cavalcò la moda con copertine metalliche e olografiche di dubbio gusto. Finchè la gente si stancò della moda del presunto investimento facile e, complice anche la scarsa qualità di storie e disegni, finì per abbandonare la lettura degli iperpompati eroi di turno, facendo collassare il mercato, che registrò cali di vendite vertiginosi, portando la Marvel e la Image sull'orlo del fallimento.


Sintomo esemplificatore della scarsissima qualità del lavoro di Liefeld in casa Marvel è il fatto che, di tutta quella miriade di personaggi creati ad hoc per stuzzicare l'acquisto dell'albo da parte dei lettori, solo due sono rimasti nel cuore degli appassionati: il mutante Cable e sopratutto Deadpool, il mercenario chiaccherone.
Apparso per la prima volta su "New Mutants" n°98 come nemico del gruppo, Deadpool è inizialmente poco più che un imitazione del Deathstroke di casa Dc: un mercenario ingaggiato per uccidere Cable, all'epoca capo del gruppo, esperto nell'uso di ogni tipo di arma e dotato di un fattore rigenerante (che poi si scoprirà essere dovuto alla partecipazione al progetto Weapon Plus, lo stesso che ha portato alla creazione di Capitan America e Wolverine) e agghindato in un costume rosso e nero che sembra imitare la gimmick dell'Uomo Ragno; persino il vero nome del personaggio, Wade Wilson, altro non è che la distorsione del vero nome di Deathstroke, Slade Wilson. Unico tratto saliente nella caratterizzazione è il sarcsmo quasi cinico con cui Deadpool affronta ogni situazione.
A discapito della palese derivatività, il personaggio riscuote un enorme successo presso il pubblico, tanto che nel 1993 la Marvel decide di creare un albo appositamente per lui, scritto però da Fabian Nicieza.


E' Nicieza, di fatto, a dare una vera caratterizzazione al personaggio, che nelle sue mani diviene uno psicopatico logorroico, calato tuttavia in avventure di stampo grottesco e umoristico, dove Deadpool si diverte a mettere alla berlina i luoghi comuni del fumetto supereroistico grazie al suo "potere" più speciale: la rottura della quarta parete. Deadpool è cosciente di vivere tra le pagine di un fumetto, la sua follia gli permette di percepire la finzione del suo mondo e di riderne. Stratagemma che sancisce, oltre allo stile e alla amenità delle storie, il definitivo successo del personaggio, tutt'oggi tra i più interessanti del roaster Marvel. Nicieza fa anche chiarezza sul passato di Wade, introducendo il parallelo con quello di Wolverine, la sua nazionalità canadese e dandogli una back-story completa: Wade Wilson era un mercenario di origine canadese che, alle soglie del suo matrimonio con la bella Vanessa, scopre di aver contratto il cancro. Caduto in una fase depressiva, decide di offrirsi come cavia presso il progetto Arma-Plus, volto a creare un nuovo super soldato e ora diretto dal dottor Killebrew. Ma l'esperimento fallisce: Wilson non sviluppa l'abilità riginerativa e viene "scaricato" nello hospice, un complesso medico-detentivo dove tutti gli esperimenti falliti vengono riutilizzati per test di quart'ordine, in attesa di spirare. Qui, Wade sviluppa una vera e propria forma di demenza che lo porta ai limiti della follia, acuita dall'atmosfera funerea, dove tutti i ricoverati attendono di tirare le cuoia scommettendo su chi sarà il primo a morire (da qui il nome "deadpool", ossia "totomorte"). Finchè lo spirito di cameratismo e sopratutto la rivalità con il carceriere Francis non risvegliano il gene curativo latente; distrutto il complesso di detenzione e ucciso Francis (il quale "resusciterà" più avanti nella serie come il cyborg Ajax), Wade si ritrova con un'abilità che gli impedisce di morire (il suo fattore di guarigione è più potente di quello di Wolverine) ma che gli ha distrutto l'epidermide. Assunta l'identità di Deadpool, il cui costume diviene la sua nuova pelle, deciderà di usare i suoi poteri per arricchirsi, lavorando nuovamente come mercenario e cacciatore di taglie. In seguito si "riappacifica" poi con la X-Force, diviene compagnone dell'ex preda Cable e viene a patti anche con i suoi precedenti aguzzini.


Il successo della serie è immediato e Deadpool diviene la punta di diamante tra le testate Marvel. Conclusasi la serie regolare, il personaggio viene sviluppato nuovamente in una serie per adulti sotto l'etichetta MAX, oltre che in vari special fuori continuity, tra i quali la famosa "Uccidologia" dove massacra tutti gli altri eroi in costume, finchè una nuova serie, scritta da Joe Kelly e Gail Simone, non ne ha nuovamente rinvigorito i fasti, introducendo anche la caratteristica più peculiare del personaggio: una duplice voce interiore per dar forma alla sua totale schizofrenia.
Malauguratamente, la fortuna su carta del Mercenario Chiaccherone non gli ha consentito, fin ora, di trovare un'adeguata trasposizione su Grande Schermo; l'unica apparizione risale a "X-Men: Le Origini- Wolverine" (2009), dove veniva trasformato in una specie di aborto muto e retrocesso a "boss finale" da combattere, togliendogli ogni originalità e tutto il carisma. Esarodio al cinema del tutto fallimentare, ma dalle cui ceneri nasce, sette anni dopo, questo nuovo adattamento, la cui genesi è stata a lungo travagliata. Ryan Reynolds, da sempre fan del personaggio, ha letteralmente lottato con le unghie e con i denti per avere un suo film in solitario che fosse rispettoso della sua fonte orgininaria. Progetto altamente rischioso per la Fox, non convinta della vendibilità del personaggio: non solo oscuro presso il grande pubblico, ma del tutto inadatto agli spettatori più giovani a causa dell'alto tasso di violenza e scorrettezza delle sue storie. Tuttavia, visto il crescente interesse del fandom, lo studio ha dato il via libera, concedendo persino la possibilità di evitare l'infausto rating PG-13, al costo di un budget conteutissimo. Affidata la regia all'esordiente Tim Miller, con la produzione supervisionata dallo stesso Reynolds, vero e proprio deus-ex machina in cerca di successo, "Deadpool" riesce a trasportare efficacemente il personaggio su schermo e a non edulcorarne toni e contenuti.


In un certo senso, questo adattamento di Deadpool sul grande schermo è un vero e proprio miracolo. E' un miracolo avere un film prodotto da una major e basato su di un fumetto Marvel che ricerchi il rating R senza paura, nemmeno quella di un flop, visto che l'ultimo a farlo fu il pessimo "Punisher: War Zone" (2008), che si rivelò un bagno di sangue al botteghino. E' un miracolo nell'equilibrio (o per meglio dire il "non-equilibrio") con il quale la vicenda viene costruita. E' un miracolo, infine, per il riscontro economico: quasi mezzo miliardo di dollari in due settimane di programmazione per un film sboccato, violento, a tratti cattivo, decisamente non per tutti (da ridere le reazioni in sala di genitori sdegnati).
"Deadpool" è in tutto e per tutto un'anomalia, una scheggia impazzita che viaggia su schermo per 108 minuti distruggendo tutto ciò che si trova innanzi. Quello che nei fumeti era un personaggio clownesco e folle, viene riplasmato come uno juggernaut che spara battute sconce a raffica e si diverte a massacrare gli avversari in modi sempre più pazzi. L'umorismo grottesco è irrestibile, pur se di grana grossissima: vive di un'alchimia strana, data dalla simpatia del personaggio (generata anche e sopratutto dalla sua tragica origin-story) e del carisma di Ryan Reynolds, oltre che dall'efficacia stessa dei rimandi. Impossibile non ridere dinanzi alla sequenza di sesso "festivo" tra Wade e Veronica, allo scontro con il gigante buono Colosso o agli insulti dell'amico Weasel. Si trattengono a stento le risate dinanzi allo sfondamento gioioso della quarta parete, con Deadpool che si fa beffe della carriera attoriale del suo stesso interprete o con la sua ossessione per Hugh Jackman. Impossibile non ridere della fisicità del personaggio, che calza un paio di crocs sotto il costume o accenna forsennatamente alle gioie della masturbazione mostrando una predilezione per gli unicorni; e non ci si può che stupire quando entra in uno strip club con comparse nude, che mostrano i seni dinanzi all'immancabile cameo di Stan Lee, proprio lui, il padre putativo di tanti cinecomic puritani e policamente corretti.
Allo stesso modo, si rimate piacevolmente colpiti per la violenza grottesca: corpi che divengono marionette da smontare e spiaccicare. Il primo fra tutti, ovviamente, quello dell' "eroe", che viene ustionato, crivellato, smembrato e "penetrato" in modo grafico, trasmormandosi in un pupazzo di carne da sbatacchiare a piacimento.



Il tutto in una pellicola senza pretese; non ci si può lamentare più di tanto della linearità della trama, una semplice origin-story condita con tonnellate di romanticismo sexy e sopra le righe; "Deadpool" vive in fondo della forza beffarda del suo personaggio e della sua carica iconoclasta e corrosiva, della sua violenza folle e priva di giustificazioni, per uno spettacolo senza limiti per il buon gusto, ma che non scade mai nel cattivo gusto vero e proprio. E che quando decide di mostrare sequenze d'azione, lo fa senza risparmiarsi, usando coreografie studiate al millimetro dove si uniscono fisicità d'antan, data dall'uso di location ed esterni, con un uso intelligente della CGI, con esiti entusiasmanti: al bando i cartoni animati che si picchiano di "Avengers: Age of Ultron" (2015), qui i proiettili perforano i corpi e i pugni spezzano le ossa.


Tanto che alla fine, "Deadpool" non può che essere definito che come una scomessa vinta: la scommessa di portare su schermo un personaggio scomodo, un antieroe bizzarro e irrestibile che non viene addolcito come capitava con i suoi "colleghi" Ghost Rider o Punisher; la scommessa di creare, con un budget ristretto, un film d'altri tempi, quasi una ripresa dei topoi dell'action sopra le righe degli anni '90, per creare un cult; la scommessa di dare un ruolo da star a Ryan Reynolds, dopo il flop cocente di "Lanterna Verde" (2011); scommessa vinta su tutta la linea.


EXTRA

La tematica della sessualità di Deadpool è stata a lungo dibattuta tra i fans. A seguito del tweet di un fanboy, Nicieza ha affermato come il potere rigenerativo gli permetta di avere entrambi i sessi a seconda della sua volontà, rendendolo una sorta di "pansessuato". Tuttavia questa possibilità non è mai stata espressa in nessuna forma nei comics, dove, anzi, il mercenario chiaccherone dimostra un'eterosessualità marcata, che lo ha portato ad avere rapporti persino con Domino, ex donna dell'amico Cable, o la X-Woman Siryn, della quale si invaghisce perdutamente già durante la prima run scritta proprio da Nicieza.
Naturalmente l'affermazione dell'autore non è passata inosservata.... presso la stampa italiana, che come tradizione vuole, ha cialtronescamente titolato fior fiori di articoli colmi di ignoranza e pregiudizi, affermando come Deadpool sia il primo supereroe omosessuale, quando nessuno di questi aggettivi, di fatto, è veritiero.


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