lunedì 21 marzo 2016

Profondo Rosso

 di Dario Argento.

con: David Hemmings, Daria Nicolodi, Gabirele Lavia, Macha Meril, Eros Pagni, Clara Calamai, Giuliana Calandra, Glauco Mauri.

Thriller

Italia 1975
















---CONTIENE SPOILER---


Quando, nel 1975, "Profondo Rosso" invase le sale della Penisola dapprima e quelle del mondo in un secondo momento, facendo, è il caso di dirlo, "stragi" al botteghino, il "thriller all'italiana" o "giallo movies" che dir si voglia, era un filone già fortemente avviato verso una naturale chiusa. Registi come Luigi Cozzi e Sergio Martino, che pure sulla falsariga di Maria Bava avevano contribuito alla sua affermazione, volgevano la loro attenzione verso altri lidi, come il "chaippa e spada" o il polizziottesco; lo stesso Dario Argento sembrava deciso ad abbandonare completamente registro e stile che lo resero famoso con la trilogia faunistica tra il 1970 e il 1971, proprio lui che veniva osannato come vero genio del thriller. E di fatto, l'unico exploit cinematografico che ebbe a seguito del successo di "4 Mosche di Velluto Grigio" fu il terribile "Le Cinque Giornate" (1973), impresentabile rievocazione degli ultimi giorni del Risorgimento in chiave malamente comica, con protagonista un insostenibile Adriano Celentano. Esito così disastroso sia sul piani artistico che economico da costringere il regista romano a tornare sui suoi passi e dedicarsi alla creazione di un nuovo thriller.
"Profondo Rosso" nasce così dall'esigenza di ritrovare il favore di critica e pubblico, ma paradossalmente si afferma come il perfetto capolavoro di Argento: un thriller dove tutte le sue intuizioni precedenti assumono forma matura, in cui il suo stile raggiunge la piena espansione e dove il "genere" thriller si colora ancora più marcatamente di una componente horror viscerale, dalla quale non potrà più fare a meno.






Marcus Daly (David Hemmings) è un musicista di origine inglese stabilitosi in Italia. Dopo una notte passata a provare assieme alla sua band, assiste per casso all'assassinio di Helga Ullmann (Macha Mèril), veggente che, durante una conferenza pubblica, pare avesse notato una presenza diabolica tra la folla. Affiancato dalla frizzante giornalista Gianna (Daria Nicolodi), Marcus decide di investigare sull'accaduto.






La struttura di base imbastita da Dario Argento e Bernardino Zapponi riprende tutti i canoni del "whodunnit" e ricalca, a grandi linee, quella de "L'Uccello dalle Piume Cristallo", sia da un punto di vista strutturale che, in parte, tematico; anche qui protagonista è un artista di origine straniera che assiste ad un omicidio, la cui soluzione giace nel suo inconscio, in qualcosa che ha visto ma che non riesce a razionalizzare; chiave di volta nella sua indagine è nuovamente un disegno naif che raffigura un delitto; alla base di tutto c'è un omicidio compiuto nel passato che torna a perseguitare il killer di turno, che anche qui è una donna affetta demenza; non manca neanche il falso finale, seguito dalla risoluzione vera e propria, più truce e sanguinaria.
Quello che rende "Profondo Rosso" un capolavoro non è dunque l'originalità delle premesse, quanto la perfetta, quasi maniacale esecuzione di tutti gli elementi che lo compongono.





Argento colora il giallo con un'atmosfera onirica; l'indagine di Mark e Gianna ha le cadenze ed è formata da immagini che sembrano uscire da un incubo; le inquadrature si fanno più possenti e plastiche, i personaggi secondari recitano con tempistiche e flemma teatrale, caricando ogni parola ed ogni gesto; sullo sfondo, vive una città buia, spoglia, fatta di enormi piazze vuote e strade desolate. Ogni ambiente è immerso in una luce espressionista, dove non esistono tonalità calde, solo la contrapposizione tra un bianco neutrale e dei neri profondissimi, che tagliano le figure umane in forme geometriche astratte o ne decontesualizzano i corpi in uno spazio negativo, creando una sensazione di inquietitudine perenne.



 



Senso di inquietitudine che trova corpo anche nella scelta, bizzarra ed azzeccatissima, di giustapporre il sangue e la tensione ad un immaginario infantile, fatto di bambole e ninne nanne, per spiazzare totalmente e giocare sulle paure più inconsce dello spettatore, che si ritrova come un bambino ad assistere ad una violenza cieca. Giustapposizione perfettamente integrata nella sequenza della morte del professor Giordani: una stana marionetta meccanica si lancia contro di lui, che per difendersi la spacca in due; lo spavento dovuto all'entrata in scena improvvisa viene acuito dal volto della bambola, una sorta di bambino dal ghigno satanico, erede della maschera di "4 Mosche di Velluto Grigio"; Passato questo primo pericolo, il killer entra in scena scatenando tutta la sua ferocia nell'omicidio più disturbante dell'intera pellicola.






L'umorismo viene ridotto: non ci sono più personaggi sopra le righe (eccettuato il commissario "toscanaccio", che si limita ad apparire in un paio di scene) o sequenze squisitamente comiche; lo humor viene relegato a singole, sparute immagini che spezzano la tensione senza mai azzerarla, come nei "bisticci" tra Mark e Gianna. Ancora meno presente è la componente erotica, che scompare praticamente del tutto per tutta la durata.
L'esecuzione degli omicidi diviene il fulcro portante della tensione, che esplode durante i massacri. Ogni sequenza è costruita in modo diverso, dal climax all'anticlimax più puro, con l'intenzione netta di spiazzare lo spettatore, disorientarlo senza mai dargli la certezza sul quando il killer colpirà, al punto che, ora più che mai, esso diviene una presenza quasi esoterica, che potrebbe celarsi dietro ogni angolo, giusto al di fuori dello spazio dell'inquadratura; e che quando colpisce, lo fa nel modo più brutale immaginabile.






La violenza di "Profondo Rosso" corre su due direttrici essenziali. Da una parte la brutalità grafica, che da ora in poi diverrà componente essenziale nel "giallo movie": i corpi vengono mutilati e distrutti in modo sempre più esagerato e vivido, trasformando la semplice violenza in vero e proprio splatter, che prende la forma dei bei effetti speciali di Carlo Rambaldi,che di lì a poco diverrà il meastro riconosciuto. Il rosso del sangue si fa volutamente vivido al punto di divenire finto, irreale, caricato di una valenza orrorifica dirompente.
Altro elemento essenziale è la creazione di morti sadiche che lo spettatore possa percepire attraverso le immagini: al bando armi da fuoco o trabocchetti vari, a farla da padrone sono ora immagini di accidenti quasi causali che chiunque potrebbe sperimentare, come l'ustionamento da acqua, la mutilazione con coltelli da cucina o, il più sadico tra tutti, le percosse contro gli spigoli, che spaccano gli incisivi di una delle vittime fino a distruggerne le gengive. La violenza diviene così disturbante e la visione diviene, oltre che terrorizzante, anche scomoda, quasi dolorosa.






Lo stile di Argento si fa più solido anche sul piano squisitamente estetico; i suoi movimenti di macchina si fanno fluidi: le soggettive del killer, da qui in poi, faranno scuola e sono usate non solo per creare tensione, ma anche per creare un immersione totale nella sua mente; la magnifica sequenza, tutta giocata sui dettagli, nella quale l'assassino si trucca gli occhi mentre la macchina sorvola sui suoi oggetti personali è la perfetta messa in scena delle forze, opposte, che lo stringono: da un lato i balocchi infantili, dall'altra un immaginario violento e satanico.
La musica diviene definitivamente strumento stilistico essenziale; le splendide note dello score, scritto da Giorgio Gaslini ed eseguite dai Goblin, acuiscono il senso di terrore e straniamento, ammaliano per sonorità e si sposano perfettamente con le superbe immagini.
Lo stile divora il film: mai come ora quello di Argento è un cinema ove l'estetica diviene sostanza senza mai scadere nel goffo o nel tronfio; ogni movimento di macchina, taglio di luce e partitura musicale è messo totalmente al servzio non tanto dell'esile storia, quanto della tensione, che come un perfetto mosaico viene creata dall'insieme di ogni singolo tassello; la potenza dell'effetto è unica: mai c'è stato e mai ci sarà un "giallo" così visceralmente riuscito.








Un tocco di originalità nella storia è poi da apprezzare nella caratterizzazione dei personaggi. Mark è un uomo comune, ma anche una maschio la cui virilità viene depotenziata; non tanto dal confronto con il killer, come avveniva ne "L'Uccello dalle Piume di Cristallo", quanto con la collega di indagini Gianna; è lei l'unico vero esempio di donna emancipata che il cinema italiano tutto abbia mai prodotto: una giornalista integerrima, la cui sensualità viene bandita in favore del carattere vivido, che si afferma smontando, sia nelle parole che nei fatti, la presunta superiorità del suo pertner di indagini.







Stile impeccabile, tensione insostenibile e caratterizzazione dei personaggi riuscita che permettono a "Profondo Rosso" di essere, tutt'oggi, il miglior esito del filone, nonchè tra i picchi della carriera di Argento.
Il successo di pubblico permise al "giallo" di perdurare per un altro decennio, sebbene gli esiti migliori si fossero avuti nel lustro 1970-1975.
Oltre che a sancire la grandezza di quello che, un tempo, era uno degli autori di punta del cinema italiano tutto.

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