giovedì 7 aprile 2016

Strade Perdute

Lost Highway

di David Lynch.

con: Bill Pullman, Patricia Arquette, Balthazar Getty, Robert Blake, Michael Massee, Robert Loggia, Gary Busey, Lucy Butler, Natasha Gregson-Wagner, Henry Rollins, Richard Pryor.

Usa, Francia 1997















---CONTIENE SPOILER----



La freddissima accoglienza riservata a "Fire walks with Me" (1992) non impedì a Lynch di continuare nel suo percorso artistico, che, da quel momento in poi, divenne in costante evoluzione. Già la trasposizione su Grande Schermo dei personaggi di Twin Peaks gli consentì di creare un nuovo registro stilistico-narrativo, di addentrarsi sempre più a fondo nel subconscio dei personaggi per creare una forma filmica nuova ed ancora più personale; il passo successivo è "Lost Highway" (il titolo italiano, virato al plurale, è un pò fuorviante), nel quale Lynch si addentra ulteriormente nella mente del suo/dei suoi personaggi, continuando il procedimento astrattivo per giungere ad una prima e compiuta attività di decostruzione narrativa.





Perché "Lost Highway" è, nelle parole stesse del suo creatore, un film di genere, in particolare un noir, ancora più di "Twin Peaks", del quale sempre a sua detta condivide anche l'universo narrativo; e dalla tradizione americana riprende la trama ed alcuni elementi portanti, come il personaggio della femme fatale (Patricia Arquette, che Lynch carica di una sensualità carnale immensa), l'omicidio passionale, la secchezza dei dialoghi ed in generale l'ambientazione urbana, oltre che i rimandi al classico "Vertigo" (1958), dal quale viene in parte ripreso in parte il tema della dualità.
Lynch e Barry Gifford (già autore del romanzo alla base di "Cuore Selvaggio", qui sceneggiatore), tuttavia, distruggono il materiale di partenza, in questo caso il romanzo "Night Creatures", aggiungendo elementi estranei, eliminandone alcuni essenziali per creare una narrazione convulsa, stratificata, volutamente contraddittoria, iniettando nella messa in scena rimandi, simbolismi e metafore volutamente criptiche o autoreferenziali.







Cercare di dare un significato logico alla narrazione non è impossibile: gli elementi logici ci sono tutti, frastagliati e dispersi nel corso della durata; ma ricostruire scientemente gli avvenimenti sarebbe inutile, toglierebbe fascino ad un'opera che più che capita, va compresa, nel senso genuino di intesa tramite una ricezione non conscia; un'opera che è di fatto sogno o allucinazione, visione di eventi più che descrizione degli stessi; i rimandi anche visivi, in merito, non mancano, con le trasfocature ed i fuori-fuoco che indicano come quello che viene mostrato non è che una visione del reale filtrata tramite il punto di vista del suo protagonista.





Protagonista a cui Lynch concede, genialmente, un volto insolito, quello di Bill Pullman, attore dai lineamenti tipicamente americani e gloriosamente benigni; interprete che sino a qualche prima incarnava solo il lato più sereno della società americana: il buon padre di famiglia e il presidente-cowboy picchia-alieni di "Independence Day" (1996); e che qui veste i panni di un uxorcida, un assassino passionale e deviato.




La comprensione del punto di visto è la prima delle chiavi di volta per disvelare il mistero celato tra i fotogrammi; tutto a quello a cui assistiamo non è che la rielaborazione dei fatti da parte di una mente deviata (o frammentata) il cui punto di vista viene ripreso in toto dalla messa in scena.
Fred non accetta il reale, lo rifugge: così come afferma ai due poliziotti; preferisce ricordare le cose a modo suo, ossia rielaborarle nel modo più consono alla sua coscienza attiva ed al suo io inconscio; da qui il disprezzo per la registrazione video, che nell'universo filmico lynchiano assume, almeno qui, la funzione di "registrazione oggettiva", simile alla fotografia per Louis Malle in "Ascensore per il Patibolo" (1958). Da qui anche la tematica del porno che tornerà più in avanti, intesa come registrazione di un atto reale, non simulato.
La prima crepa nella sua realtà arriva con la consegna di una VHS, appunto, che riprende l'interno del suo appartamento. Appartamento che è la prima e sola "dark room" in senso convenzionale del termine: le mura di casa di Fred si fanno, nella prima parte, sempre più strette, l'illuminazione sempre più contrastata; sebbene sin dall'inizio la tensione tra lui e la moglie Renèe sia avvertibile, il vero orrore celato comincerà a pulsare a poco a poco sotto la patina di apparente normalità, proprio come in "Twin Peaks" e "Velluto Blu" (1986). Orrore che si svela per la prima volta quando Fred decide di varcare quella soglia del buio insita nella dark room, al pari di Cooper, ma a differenza sua la trasformazione in un doppio malvagio non avviene, almeno non in via convenzionale ed esplicita; il suo "male" viene celato agli occhi dello spettatore dalla rimozione del reale: l'omicidio viene mostrato solo tramite il video, ossia quello strumento in grado di escludere il punto di vista del protagonista.




Ed è questo punto che il meccanismo di rimozione psichico scatta in modo eclatante: Fred muta in Pete (Balthazar Getty), ossia si astrae dalla sua identità per assumerne una nuova, diversa. La storia di cui sarà protagonista di qui in poi Pete è però del tutto collaterale a quella di Fred. Anche Pete incontrerà una Renèe, chiamata Alice, la quale esclamerà alcune delle stesse battute del suo alter-ego; il suo percorso distruttivo sarà simile a quello di Fred. In un'inversione temporale, Pete sarà chiamato ad interpretare (o a viverla per la prima volta?) la storia di Fred, ad uccidere, a scappare, ad innamorarsi della dark lady senza poterla possedere mai del tutto. Ad abbandonarla per scoprire poi il suo tradimento, ad uccidere di nuovo per castigare il suo amante ("Dick Laurent è morto") e poi ad uccidere Renèe; o forse no, forse solo a rivivere un'immagine residua di tali eventi come parte della mente di Fred.




Pete e Fred forse non sono i doppi l'uno dell'altro, così come non lo sono Renèe e Alice: forse sono lo stesso personaggio, due lati della medesima personalità che tende a frammentarsi sino alla disgregazione per ricostituirsi di volta in volta. Alla base di tutto c'è il rigetto del reale, di un evento o una serie di eventi che si rifiuta di affrontare e che, a loro volta, vengono disgregati in una serie di episodi, simboli, immagini e suoni cosparsi lungo il luogo filmico. Episodi che ritornano in parte come visioni, in parte come pellicole, film porno che mostrano il tradimento e l'omicidio; Fred e Pete sono, in sostanza, due corsie della medesima strada, che si rincorrono in cerchio; da qui la circolarità della narrazione, che inizia e finisce all'infinito, avvolta su sé stessa in un perenne giro di boa; un luogo filmico, appunto, non più una narrazione lineare: incipit ed epilogo coincidono; luogo che ha appunto la forma di una strada verso il nulla, o meglio verso sé stessa.






Fulcro del personaggio di Fred/Pete è il Mistery Man interpretato da Robert Blake; una figura, appunto, misteriosa, arcana, al quale il volto spigoloso dell'interprete dona un'aura malvagia, quasi luciferina. Una creatura sfuggente, che appare e scompare all'improvviso. La sua natura è un mistero: forse uno degli spiriti maligni che popolavano il mondo di Twin Peaks, in una declinazione urbana e vagamente decadente; forse la coscienza stessa di Fred, forse l'incarnazione del suo spirito distruttivo: al primo incontro con il jazzista, afferma come in realtà lui sia nel suo appartamento; qui, una volta rientrato, Fred "entra" nell'antro oscuro; ancora prima, in un'inquadratura di dettaglio, possiamo notare come nel camino arda un fuoco incessante, simbolo anche qui del peccato, del male primordiale insito nell'uomo.
Il Mystery Man presenzia all'uccisione di Dick Laurent (Robert Loggia), quel gangster talmente violento da pestare a sangue un tizio per il solo fatto di aver superato il limite di velocità; e dopo l'assassinio si rivolge a Fred puntandogli contro una videocamera ed esclamando: "Chi diavolo sei tu?". La frammentazione mentale di Fred lo porta, forse, ad una dissociazione totale con il suo stesso inconscio, che presa una forma autonoma non riconosce più sè stesso; e dinanzi al pericolo di vedere il male che ha dentro, Fred non può che fuggire.







Fuga che prima lo aveva portato in quel "Lost Highway Motel", vero e proprio non-luogo della mente dove risiede un'altra parte del rimosso, quel tradimento, sublimazione della pornografia, che scatena la violenza. Al cui placarsi, non c'è che un ritorno a sé stessi, un ripiegamento in quella dark room iniziale dove parte della coscienza ancora risiede, per completare, idealmente, la distruzione identitaria e perdersi, di nuovo, in una strada verso il nulla, sulle note sinistre ed ipnotiche di David Bowie.






EXTRA


Stando alle parole di Lynch, l'idea di un assassino in preda ad una crisi identitaria si è sviluppata inconsciamente grazie alla vicenda giudiziaria di O.J.Simpson; nel 1994 l'ex stella del NFL e attore venne accusato dell'omicidio dell'ex moglie Nicole Brown e del suo migliore amico Ronald Goldman; nonostante l'accusa fosse riuscita a provarne la colpevolezza grazie al test del DNA ritrovato sui resti delle vittime, Simpson fu scagionato con formula piena quando la difesa dimostrò, in modo in verità alquanto equivoco e sulla scorta di prove circostanziali, la mala fede degli inquirenti, accusandoli persino di razzismo. Durante le varie fasi del processo, Simpson rilasciò diverse interviste nelle quali appariva calmo, rilassato, quasi come se fosse, appunto, una persona diversa da quella che aveva compiuto gli omicidi.





In un allucinante inversione tra realtà e finzione, nel 2002 Robert Blake venne arrestato con l'accusa di uxorcidio della moglie Bonnie Lee Bakley; sebbene le circostanze della morte non siano mai state acclarate del tutto, le accuse del testimone chiave (lo stuntman Ronald Hambleton) si siano rivelate infondate e la Bakley avesse alle spalle una lunga, cupa e tormentata vita amorosa e familiare, Blake è tutt'oggi in prigione.

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