venerdì 30 marzo 2018

Ready Player One

di Steven Spielberg.

con: Tye Sheridan, Olivia Cooke, Lena Waithe, Win Morisaki, Philip Zaho, Hannah John-Kamen, Ben Mendelsohn, Simon Pegg, Mark Rylance, T.J. Miller.

Fantastico/Avventura/Animazione

Usa 2018

















Solo Steven Spielberg poteva trasporre su schermo le pagine di Ernest Cline; quell'immenso e densissimo museo di citazioni di cultura pop anni '80 che è "Ready Player One" è di fatto figlio del cinema spielberghiano (oltre che di quello di Lucas), da "I Predatori dell'Arca Perduta" a "I Goonies", al punto di trascendere lo status di semplice omaggio nostalgico per divenire vero e proprio manifesto della cultura geek.




Pubblicato nel 2011, "Ready Player One" è uno strano mix di fantascienza distopica, con un futuro che sembra uscito dalle pagine di Philip K.Dick, cyberpunk alla William Gibson (la struttura da caper di "Neuromante" si ritrova bene o male anche qui) e tonnellate di rimandi al mondo dei videogames e del cinema pop d'antan. Un calderone nel quale finiscono amalgamati Pac Man e i Monty Python, "Highlander" e "Star Wars", il cinema di Stanley Kubrick con "Mobile Suit Gundam", il tokusatsu di Spider-Man e "Ritorno al Futuro", "Zork" e "Wargames" (stranamente assente, invece, qualsiasi riferimento a "Star Trek"). Il tutto cucito addosso ad una struttura narrativa semplicissima, che fa capo ad una trama a dir poco classica.
Wade Watts, orfano e spiantato, vive in un mondo in preda alle carestie, dove però l'intera popolazione è immersa nel mondo virtuale di OASIS, sorta di Second Life che contiene simulazioni di ogni opera ed attività possibile ed immaginabile, vero e proprio coacervo di universi nell'universo. Il mondo di Wade viene però sconvolto quando, alla morte del creatore di OASIS, James Halliday, viene rivelato come questi abbia lasciato in eredità il suo patrimonio multimiliardario a chiunque trovi un easter egg nascondo nei meandri della simulazione; il rischio è quello che la IOI, società rivale, ne approfitti per fare proprio OASIS e renderlo a pagamento, trasformandolo in un passatempo d'elite. Con il suo avatar Parzival e aiutato dai compagni virtuali Each, Sho, Daito e Art3mis, Wade decide di unirsi agli egg hunter (o "gunter") per salvare OASIS dai Sixer, i lacchè della IOI, guidati dallo spietato Nolan Sorrento.


Un'avventura, quella concepita da Cline, che omaggia affettuosamente la cultura pop anni '80 e riprende dal cinema dell'epoca tutte le tematiche e sinanche la struttura della storia. Il che non è sempre un pregio.
Se la lettura è sempre piacevole, il ritmo elevato ed i personaggi simpatici, non si può che essere stupiti, talvolta, per l'acerbità dell'intreccio e sopratutto del suo sviluppo. A partire dalla caratterizzazione del protagonista, super buono, figlio del sottoproletariato futuro come da tradizione, che però, nella migliore tradizione della "Mary Sue", riesce sempre e comunque ad uscire dai guai grazie alle sue doti di tuttologo; non si riesce davvero a credere ad un Wade Watts che riesce a completare alla perfezione "Pac-Man" e "Jouste" giustificandosi con il classico "mi sono allenato per anni", ad hackerare il sistema della IOI con una console da passatempo, a sfuggire a tutti gli attentati possibili ed immaginabili elaborando piani che farebbero invidia ad ud un James Bond immerso in un film di Hitchcock; senza contare quando comincia a recitare a memoria tutte le battute di "Wargames" e "Monty Python e il Sacro Graal".
La risoluzione di tutte le barriere è sempre lineare; le prove che Wade è chiamato ad affrontare vengono superate praticamente senza sforzo, affossando spesso la sospensione dell'incredulità; e non aiuta l'aver caratterizzato la IOI come una vera e propria corporation satanica ed i creatori di OASIS come dei monarchi illuminati: tutto è fin troppo semplice, quasi infantile, pur quando i toni si fanno cupi e violenti.
Per di più, Cline prende una posizione ambivalente verso l'abuso dei videogames. Per quasi tutto il romanzo li descrive come una forma di escapismo necessario per sfuggire alle brutture le mondo reale e per trovare fiducia in sè stessi, preconizzando finanche un possibile uso didattico degli stessi; ma a tratti, sopratutto nelle ultimissime battute, inverte rotta, dandone una descrizione negativa, come una forma di alienazione superabile solo conquistando tutto il conquistabile nella vita reale. Ambivalenza forse utilizzata per non scontentare nessuno, nè i fan, nè i detrattori del medium.



Forse proprio per tutti questi motivi, sia il supernerd Zak Penn che lo stesso Ernest Cline in sede di script hanno deciso di cambiare molti elementi della storia per il passaggio su Grande Schermo. Sparita, innanzitutto, la caratterizzazione cupa della IOI, con alcuni dei passaggi più drammatici; il tono generale è così più leggero ed anche credibile. Così come diversa è la caratterizzazione dei personaggi: Wade non è più il genio tuttofare, Aech diviene un hacker esperto, Art3mis il capo di un piccolo gruppo di ribelli che combattono i Sixers e iRok da comparsa diviene il braccio destro di Nolan Sorrento. La struttura da caper diviene poi meno lineare e con passaggi inediti, come le prove da superare, che ora non si svolgono più dinanzi a cabinati d'epoca ma dentro simulazioni a 360 gradi.
Dal canto suo Spielberg allarga i riferimenti pop, non più solo quelli anni '80 (forse per evitare di trasformare tutto in una versione cinematografica di "Stranger Things"), presenti più che altro nella colonna sonora. Con il risultato di creare un incredibile sarabanda di rimandi a tutti i fenomeni geek filmici, televisivi e videoludici possibili ed immaginabili; entrano così nella "collezione": la moto di Kaneda di "Akira", il Batman del '66 ed Harley Quinn, King Kong, "Jurassic Park", "Battlestat Galactica", "Aliens", "Minecraft", "Street Fighter"e "Mortal Kombat", "Overwatch", le Tartarughe Ninja, "Halo", "RoboCop", Freddy Krueger, Jason Voorhees e la bambola Chucky solo per citare i più evidenti; nelle scene di massa è letteralmente impossibile contare tutti i vari "easter eggs" senza un fermo immagine. Stranamente assenti, invece, riferimenti espliciti a "Star Wars", forse per motivi di diritti d'autore.



Ma la parte del leone, Spielberg la riserva al compianto amico Stanley Kubrick: l'ormai mitologico "Shining" diviene protagonista di quella che è la sequenza più sorprendente, in cui le immagini del film originale vengono rielaborate in chiave ludica e a tratti comica; un'omaggio sincero, divertito e per questo quasi commovente.
Ed è nelle sequenze delle varie prove che l'immaginazione del trio di autori si sbizzarrisce, tra corse indiavolate e battaglie epiche in cui Gundam combatte contro Mechagodzilla.



Al di là dell'ovvia componente spettacolare, a stupire davvero è la lettura che Spielberg dà del romanzo a convincere; laddove nel libro il giudizio sull'abuso della realtà virtuale restava ondivago, nel film vi è una predilezione per il reale, che tuttavia non si traduce mai in una condanna verso i videogames, quanto verso il loro abuso. Spielberg in questo è chiaro: l'escapismo è necessario (d'altro canto, come potrebbe essere diversamente per lui?), tuttavia bisogna arrivare a comprendere come pur sempre di finzione si tratti; per quanto bello, un gioco resta un gioco, la realtà è l'unico vero mondo nel quale vale la pena di vivere. Il che potrebbe anche riportare alla mente il nostrano "Game Therapy"... con tutte le differenze possibili, naturalmente. Posizione, comunque, netta, che rende automaticamente l'adattamento filmico superiore al romanzo d'origine.




Ma ancora prima, "Ready Player One" convince per il modo in cui riprende i toni da cinema per ragazzi anni '80 e li traduce in uno spettacolo moderno, per farsi monumento spettacolare e divertente di un mondo sicuramente infantile per il modo in cui appiattisce tutti i riferimenti, ma al contempo intrigante.

Maria Maddalena

Mary Magdalene

di Garth Davis.

con: Rooney Mara, Joaquin Phoenix, Chiewtel Ejiofor, Tahar Rahim, Tchéky Karyo, David Schofield.

Storico/Drammatico

Usa, Inghilterra, Australia 2018
















Un'impresa interessante, quella di "Mara Maddalena", ossia rileggere la figura, storica ancor prima che religiosa, della Maddalena come centrale tra gli Apostoli, sorta di versione progressista ( o volendo "ancora più progressista") del Vangelo, che si rifà agli scritti apocrifi per storia e caratterizzazione.
Interessante, ma al contempo soggetta al rischio più ovvio, ossia quella di appiattire lo scontro tra una visione moderna ed inclusivista con quella più arcaica e patriarcale propria della Chiesa e della religione in generale. Trappola in cui purtroppo il film di Garth Davis finisce per cadere in pieno.


Al centro, ovviamente, c'è la Predicazione, la parola del Cristo che invita ad un rinnovamento spirituale. Un Gesù che ha il volto sofferente e lo sguardo torvo di un perfetto Joaquin Phoenix, un profeta tremendamente umano, quasi come quello de "L'Ultima Tentazione di Cristo", il quale è però cosciente della propria natura divina. Un umile tra gli umili, che sviene quando lo calca lo accerchia ed è terrorizzato dal proprio destino di morte, che comunque accetta in quanto parte di un piano superiore.


La Maddalena diviene così la depositaria della sua parola; donna salvata da una vita di sottomissione alla figura maschile, che trova in un uomo diverso da tutti una vera ragione di vita e si fa portatrice del suo messaggio d'amore, nonchè perfetta incarnazione, in quanto donna, quindi misericordia e madre.
Il conflitto contro l'ottusità ed il patriarcato finisce per essere fatalmente cucito addosso al personaggio di Pietro, il quale, pur caratterizzato come un vero credente, resta pur sempre un rivoluzionario materialista, un uomo che travisa il messaggio di salvezza affermando l'esistenza del Regno di Dio in Terra, non in una dimensione trascendentale. Con la conseguenza di una spaccatura con la Maddalena ed una contrapposizione inconciliabile.



Da qui la presa di posizione più ovvia, che risente fortemente della cultura ultraprogressista e sicuramente protestante degli autori: Pietro è insindacabilmente in errore, la Maddalena ha ragione. Non c'è sospensione del giudizio dinanzi ad una posizione che non si condivide, né la fascinazione verso un dogma alieno rispetto alle proprie credenze. Tanto che quel finale risulta ridicolo, con un proselitismo al femminile che nei fatti non si è mai verificato.



Finiscono così alle ortiche i bei dialoghi e le immagini spettacolari, con le ambientazioni dell'Italia Meridionale, aride eppure affascinanti, a fare da perfetta cornice ai tormenti interiori dei personaggi. E vien da chiedersi che cosa sarebbe potuta essere questa rilettura se fosse stata affidata ad un autore più aperto e sensibile, come ad esempio Abel Ferrara, il cui "Mary" resta uno dei capisaldi del cinema spirituale.

domenica 25 marzo 2018

Pacific Rim: La Rivolta

Pacific Rim Uprising

di Steven S.DeKnight.

con: John Boyega, Rinko Kikuchi, Scott Eastwood, Adria Arjona, Jing Tian, Charlie Day, Burn Gorman.

Fantastico/Azione

Usa, Cina 2018
















Pur con tutti i suoi difetti di scrittura, "Pacific Rim" riusciva a convincere per lo sguardo nostalgico verso l'animazione robotica ed il miglior cinema dei kaiju; una pellicola di certo non perfetta, ma spettacolare, dove Guillermo Del Toro dava sfogo alla sua vena catastrofica in modo esemplare; tanto che il poco successo riscosso appare davvero come un peccato.
Per puro miracolo, un sequel è stato però prodotto e si pone come la classica continuazione dove tutto è più grande e spettacolare. "La Rivolta" riprende il meglio del suo predecessore, si configura come un divertente pop-corn movie a cui però manca quella cura visiva che contraddistingueva il primo film.



In cabina di regia, Steven S. De Knight, già sceneggiatore di serie di culto quali "Daredevil" e "Angel", si dimostra a suo agio sia quando deve dar spazio ai personaggi, sia quando deve inscenare gli scontri tra mostri e robottoni. Il grado di spettacolarità è sempre alto, più del primo: la voglia di stupire non manca mai, tra jaeger impazziti e kaiju ancora più mastodontici, "La Rivolta" non è di certo una minestra riscaldata, una pura riproposizione di quanto visto nel primo film.
Ma De Knight non ha la vis visionaria di Del Toro: i cromatismi ricercati nella fotografia sono assenti, tutti gli scontri (o quasi) si svolgono di giorno, con una luce diffusa che appiattisce in parte la carica delle immagini.



La trama, come era lecito aspettarsi, è al solito piatta e non priva di forzature (come fa Mori a triangolare il luogo d'origine dello jaeger nemico?), ma presenta qualche colpo di scena che tiene bene o male alta l'attenzione tra uno scontro e l'altro.
Dopotutto, "Pacific Rim" vive degli scontri ben coreografati e della pura spettacolarità del concept. Inutile aspettarsi di più.

venerdì 23 marzo 2018

Addio al Linguaggio

Adieu au Langage

di Jean-Luc Godard.

con: Héloise Godet, Kamel Abdelli, Richard Chevallier, Zoè Bruneau, Jessica Erickson, Christian Gregori.

Francia, Svizzera 2014

















Nell'era degli smartphone con videocamere ad alta risoluzione, è ancora concepibile fare del cinema?
Per Godard no: il linguaggio cinematografico è morto e dalle sue cenere è nato un nuovo linguaggio, che fa del reale (o presunto tale) il suo soggetto.
In "Addio al Linguaggio" non c'è linguaggio, di fatto; tutte le immagini sono come il citato mostro di Frankenstein: dei pezzi eterogenei cuciti insieme dal montaggio, tutti girati con fotocamere amatoriali.



Nel maelstrom di pensieri e citazioni finisce di tutto: una coppia riflette sull'esistenza mentre si aggira nuda per casa o mentre lui defeca, due giovani fuggono dal Vecchio Mondo e divengono Byron e Shelley, un cane vaga sperduto per le campagne. Non c'è filo logico ad unirli, solo la giustapposizione. La metafora, prima ancora del racconto, viene scardinata: il significato è celato nelle singole parole, nelle singole scene.



La distruzione grammaticale si fa totale ed irreversibile; ogni traccia narrativa viene spogliata degli aspetti inessenziali per farsi pura immagine; il significante non ha talvolta un significato perchè è esso stesso significato.
Oltre questa destrutturazione, non può che esserci il nulla.



"Addio al Linguaggio" non è la morte del cinema, nè della narrazione, quanto una sua sorta di confine, il limite estremo a cui esso può spingersi prima di divenire altro e quando altro sta già divenendo. Un oggetto strano, un mutante cosciente di sè che come il mostro che cita si aggira per il mondo insicuro, eppure vivo.

giovedì 22 marzo 2018

Il Tentacolone contro il Pornogatto, ovvero: quando l'infanzia della razza umana ebbe fine


---WARNING!!!!!!---
Il seguente post contiene immagini e temi altamente zozzi e viulenti.

Se siete facilmente impressionabili, minorenni, minorati, femminazi, teste d'uovo o mormoni, siete pregati di non leggere.



Ok, intanto io vi ho avvisato!



La verità è che sto invecchiando.

No, non lo dico perchè ho la faccia come una prugna, la pelata lucente, i denti più marci del cervello di Vittorio Sgarbi e il pizzettone bianco lercio. Quelli li ho da quando avevo 12 anni.

O perchè è passato più di un anno dall'ultimo post.

E' perchè da qualche tempo a questa parte non faccio che pensare a quando ero un bimbino.

Quando ero alto mezzo metro, ogni pomeriggio facevo casino con gli amichetti prendendo a pallonate in faccia i pensionati e toccando il culo alle quattordicenni senza essere denunciato.

O quando qualche anno dopo alla mattina mi divertivo a mettere un cetriolo da mezzo metro sulla sedia della cattedra ed il professor Arnaldo F****** passava l'ora di lezione con un sorriso da 135 denti in faccia.

Che bello avere 8 anni.


BBP- Bambini Ben Pasciuti



Tanto che non ti accorgi quando finisce.

Cioè io me ne sono accorto. Eccome se me ne sono accorto.

Ma no, non come i deboscia più famosi dei film anni '80 che mò avete scoperto che vi piacciono perchè Netflix ci si fa i rasponi sopra.

Non ho trovato il cadavere di un compagno di scuola nel bosco e non ho neanche ricacciato nelle fogne un pagliaccio assassino mezzo pedofilo. Nulla di così tranquillo.

La mia infanzia è finita quando ho scoperto che anche i cartoni animati fanno sesso.

Chiariamoci subito, perchè se come me anche voi siete cresciuti a pane e canali del Berlusca allora sapete da quando sapete parlare cosa sono tette e culi.

E anche nei cartoni, visto che c'era Fujiko o Margot o come la volete chiamare a turbare i vostri sogni da pre pre pre pre adolescente.


Se la riconosci hai avuto un'infanzia perversa


Però Fujiko era sexy.

Lamù?

Pure.

Rensie la strega?

La fidanzatina un pò porcellina e tanto bellina.

Cioè al massimo a queste le volevi toccare le tette, non pensavi che potevano fare all'ammmmore.

E poi un giorno scopri, per caso, per destino o per boh chi lo sa che ci sono pure anime da adulti.

Cioè più da adulti rispetto a Lupin e Lady Oscar, che di certo da bambini non sono ma vaglielo a spiegare ai capoccia di Merdaset.

Anime con tanta viuuuuuuleeeeeeenzaaaaaaaa e tanto ma tanto ma tanto ma tanto sesso.

Per intenderci: se da bambino pensavo che il massimo del sesso e della violenza stava in Ken il Guerriero, da bambino non più bambino ho scoperto Violence Jack e la mia infanzia è finita.


"Ciao piccolino! Vuoi vedere qualcosa di davvero rivoltante?"



Perchè se questo è Kenshiro l'amicone nostro:




Questo è Violence Jack:





Cioè se Kenshiro è un softcore di Tinto Brass o al massimo na roba che farebbero i nostri amici della Troma, Violence Jack è un pornazzo bondage di Rocco o una cosa che alla Troma la guardano e dicono "minchia che cattivo gusto!".

E' pornografia splatter, pornosplatter, pornogore. sventramenti e scopamenti come non ci fosse un domani.
SPOILER: e infatti nel mondo di VJ non c'è.

Ora, inutile dire cos'è VJ, che lo ha inventato quel pazzo genio di Go Nagai, che il manga è n'altra roba rispetto agli oav, sono tutte cose che se non le sapete le trovate qui sull'internet.

Quello che ci serve sapere è che VJ è il gran visir di tutti gli anime adulti, quelle robe che facevano negli anni '80 in un Giappone che pareva uscito da Blade Runner per far sfogare i salariman repressi. E che poi arrivava in occidente e tutti a dire "Sta minchia! Non so se fa schifo o mi piace!".

Roba come Mad Bull 88, Angel Cop, MD Geist, Genocyber e qualsiasi cosa fatta da Yoshiaki Kawajiri.


ROBE
PARECCHIO
DISTURBANTI


E diciamo la verità: Jack Violenza ci piace proprio perchè fa schifo, proprio perchè è talmente perverso da farci sentire normali nelle nostre fantasie sessuali spinte, quelle che al massimo bondage o role play o un paio di sculacciate alla buona vestiti da professore e studentessa.

A farci stare male in tutti i sensi ci pensano gli hentai.

Ed è qui che finiva definitivamente e incontrovertibilemnte, perlappuntamente, la mia infanzia. Chè finchè vedi un gigante armato di coltello a serramanico decapitare violentatori transgender arrapati, un minimo di senso ci sta.

Ma quando arrivano i tentacoli è la fine.


La FINE

Perchè quella sera volevo vedere gli anime dei grandi su Canal Jimmy.

Si quel canale dove davano i cavalieri dello zodiaco, doctor who, il Devilman ultraviolento e gli hentai e poi ti stupisci che dopo che lo chiudono nessuno guarda più la televisione.

E mi aspettavo al massimo il mio amicone Jack, quindi una tipa stile Fujiko che fa le cose zozze o a cui fanno robe zozze e violente.

E invece mi trovo davanti Demon Beast Invasion, quella cosa tratta dal manga di Toshio Maeda.

Cioè un demone tentacolare che se ne fa tre alla volta.

Ed il cervello non sa che cosa fare... se mandare sangue al pippo o far risalire la cena.

E alla fine fa entrambi.

A destra Toshio Maeda, a sinistra la vostra innocenza


Anyway.

Roba come Demon Beast Invasion o Urotsukidoji è perversa. C'è quel mix di sesso deviato, bestiale, cattivo, stronzo.

E splatter NEL sesso.

Che se in VJ ci stava il sesso da una parte, la violenza dall'altra, che quando si mischiano comunque restano separati, nelle immagini di ste robe il sesso è violenza, la violenza è sesso, c'è dolore fisico e psicologico e misoginia a fiumi.

La donna è sempre oggetto da scopare, anzi da violentare, da distruggere, possedere fino a fare a pezzi.

Folle?

Sicuramente.

Disgustoso?

Pure.

E se vi dicessi che uno schifo così ha radici culturali ben più profonde?

Cultura moderna

Toshio Maeda, creatore di Urotsukodji, Demon Beast Invasion e La Blue Girl, tutta roba che gli spettatori di canal Jimmy conoscono bene, si è rifatto ad una corrente artistica pittorica nipponica.

Si: gli anime zozzi perversi hanno una base artistica vera e propria, non sono solo il parto di una mente deviata qualsiasi. Viviamo in un pazzo, paaaaazzzzo mondo.


All'inizio c'era il sogno della moglie di un pescatore, dipinto del 1814, con il tentacolone originale


Erotismo Lovecraftiano


che fa parte dell'arte erotica giapponese detta "Shunga".

Arriva la II Guerra Mondiale... anzi no, scusate, un pò prima arriva la dittatura militare di Hirohito e gli Shunga divengono più deviati, con la violenza che si aggiunge al sesso, in segno di protesta contro il regime opprimente.

Cioè gli hentai contro i fasci, la realtà contro la fantasia vince 200 a 0.

Passa il tempo, cade il regime ma la censura in Giappone rompe, che se mostri i genitali o la penetrazione è reato.
Cioè, Takashi Miike può fare vedere tutte le devianze sessuali possibili e immaginabili più altre che vengono chiamate "devianze alla Miike", ma il pippo e la patonza no, che è roba perversa.

Cioè, puoi fare il film e far vedere pippo, patonza, pippo dentro patonza, pippo tra poppe e pippo che gioca a nascondino in bocca, ma poi devi pixellare tutto.

I Jappi sò strani.

E quindi come fare?

Semplice, basta usare tentacoli al posto dei falli.

E l'incubo è servito.

Maeda invece se ne frega della censura e si rifà alle forme deviate di shunga degli anni '20 e '30 per puro (dis)gusto personale.

E vabbeh. Cultura o meno, fatto sta che preferisco roba più soft, tipo Rocco che schiaffeggia con il suo godzillone le ex candiate del PD.

O se proprio devo guardare un hentai mi riguardo quel cultazzozzo di Bible Black, che si c'è pure un tentacolo, ma non più di tanto.

In compenso c'è parecchio futanari.

Cos'è il futanari?

Eheheheheheh

Googlolatelo se avete il coraggio, và! Che sennò qua non arrivo più al punto.


Liceali porcelle e professoresse con sorpresa incorporata



Il punto è che l'animazione zozza è roba fatta da quei pazzi giapponesi, che si sa sono pervertiti repressi, che vivono il sesso come vogliono e se quelli delle Iene dicono che sono pure tutti pedofili io ci credo, si si.

Noi occidentali col cacchio che ci sogniamo di fare una roba del genere.

Cioè no, aspetta, che in Italia abbiamo Milo Manara che è un eroe nazionale.

E tanti di quei fumetti zozzi che pure Maeda ad un certo punto si è scandalizzato. Che saranno pure roba meno perversa di un polpo arrapato, ma lo stesso sono roba un pò parecchio porno.

In compenso in America non le fanno ste cose, no no!

Che là sò tutti quaccheri timorati di Dio e credono che le tette sono il diavolo.

Solo che no, in compenso gli Americani hanno fatto l'animazione per adulti anche prima dei Giappi.

Che se l'hentai nasce più o meno negli anni '80, il fumetto americano underground aveva sfornato qualcosa di più scioccante (sort of) già nei mitici anni '60.

E sto parlando di Fritz il Gatto.



E chi è Frtiz il gatto?

Fritz il gatto è un gatto antropomorfo. E fin qui tutto bene. E' come Topolino che è un topo antropomorfo, Paperino che è un papero antropomorfo e Pippo che è una pippa antropomorfo.

Solo che no, non è una pippa e non c'entra nulla con Pippo, Paperino e Topolino.

Che se sti tre tizi creati da Adolf Hitler Walt Disney sono antropmorfi perchè parlano, stanno ritti su due zampe e guidano la macchina per andare a lavoro, il nostro gattaccio Fritz è antropomorfo anche perchè fuma canne e fa le orge.

Vi lascio un momento per somatizzare anche sta roba.

E tranquilli che questo non è un hentai.

Fatto?

Bene.

Ora vi starete chiedendo qualcosa come "Ma chi è sto Toshio Maeda merregano che ha inventato il gatto arrapato? Uno stupratore seriale di pulcini? Un serial killer con la mamma scassamenghia? Un impiegato del catasto con la passione per lo strapon? Un elettore di Donald Duck Trump?

No cari bambini, chè il buon Robert Crumb è a dir poco un signore.

Ma prima di lasciare la parola al mio coinquilino dalla fluorescenza rettilia nucleare, cerchiamo di capire chi è Fritz per poi capire chi è la mente (non poi tantissimo) malata dietro Fritz.


Provate a fissare quest'immagine per più di cinque secondi senza distogliere gli occhi


Fritz appare per la prima volta in un fumetto rigorosamente underground nel 1959.

Una storia breve, brevissima anzi e semplicissima: c'è Fritz che è un gatto partito per la città per fare fortuna. Ed è un testa di cazzo, tanto che non tira fuori un topo da un buco. Quindi, scroccando un passaggio ad un treno stile hobo degli anni '30, torna dalla mamma in campagna e ritrova pure la sorellina, che nel frattempo è diventata una bella gattina.

E se la tromba.

E mò so che pensate: "Maledetto Crumb sei un maschilistazoticoperververso condividi se se indiniato !!!!!11!1!!!!!11"

Solo che no, Crumb non era nè maschilista, nè zotico, nè veramente perverso. Almeno non più di tanto.

La sua è una provocazione bella e buona, un pugno in faccia agli animali parlanti Disney di sta ceppa che dopo 20 anni avevano già rotto i coglioni, figuriamoci ora che ne sono passati quasi 100.

Perchè Fritz è un gatto e i gatti si accoppiano pure tra consaguinei.

Quindi: SE Fritz è un GATTO, i gatti lo fanno TRA CONSANGUINEI, allora non c'è nulla di male.

Vai a contestare sto sillogismo, vai!

Quindi semmai sono gli animali di Adolf Disney ad essere storti perchè privi di sesso, perchè sono parrucconi.

Quaccheri asessuati


Ma chi è davvero Fritz?

Crumb lo modella più attentamente quando comincia a scrivere la miniserie che lo rende famoso, pubblicata tra il 1964 ed il 1972 (almeno così dice wikipedia).

Fritz è uno studente universitario degli anni '60, quindi un deboscia come pochi.

Sul serio: non fa un cazzo, pensa solo a cazzeggiare con gli amici, un coniglio ed un porco (no, non sono metafore) e a fare proclami tipo


Si, i corvi sarebbero gli afroamericani, ma vabbeh vi rimando a quanto scrive il Cobra per ogni delucidazione.

Anyway, Fritz vorrebbe essere un ribelle, un anarchico, una spina nel fianco del sistema fascista che lo sottomette assieme ai suoi amici corvi.

Ma in realtà è solo un fanfarone arrapato.

Fritz è la quintessenza del fancazzismo, passa le giornate a bere, fumare tromboni e fare orgette con altre gatte o giumente o qualsiasi altro animale di sesso femminile.


La contestazione, quella bella


Questo quando non cerca di riconquistare la sua ex, chiamata Winston, una tizia un pò snob che giustamente lo sfancula in quanto incapace.

True Love

Capito?

Fritz in fondo è un pò come tutti noi.

Un codardo che si crede idealista, un rivoluzionario che in realtà è un debosciato, un puttaniere che fa l'innamorato, un grand'uomo che non sa neanche cambiare una ruota alla macchina.

Insomma, l'italiano medio.

Ma ora, per andare più a fondo, lascio la parola al padrone di casa, che ci parlerà di Robert Crumb partendo da un documentario che il nostro amico Terry Zwigoff e il mitico David Lynch gli hanno dedicato nel 1994:





Crumb è un anticonformista di quelli veri, quelli non si omologano a nulla e raramente rettificano le affermazioni fatte. Non è mai stato un cultore dei valori borghesi, tantomeno un fautore della controcultura vera e propria.
Nel film di Zwigoff, Crumb è messo a nudo, parla di sè, del sesso e della famiglia. Il rapporto con i due fratelli, votati alla tragedia, è l'unico accenno verso il dramma. Per il resto, appare come una persona normale, con una moglie e due figli, di cui il maggiore ha cercato di seguire le orme del padre.
Una figura, la sua, che non conosce, nè vuole conoscere la vergogna. Le accuse di misoginia e razzismo piovutegli addosso forse sono veritiere, forse no, a Zwigoff non interessa. Quel che gli interessa è catturare in un momento l'immagine di un'uomo introverso eppure geniale, un autore totalmente calato nelle proprie idee, a partire dal suo rapporto con l'altro sesso.
La donna per Crumb è oggetto sessuale, lo dice con franchezza ed ironia. Spesso ritratta in un coito posteriore, sempre disegnata con proporzioni esagerate, con gambe e didietro torreggianti. Ma cos'è che lo spinge a dipingerla in questo modo?
Stando alla testimonianza di una psicologa, una possibile paranoia verso il mondo esterno, che lo porta sin da piccolo a trovare riparo dietro le gambe della madre, vista come ultima difesa verso il dolore causato dall' "altro".
Il suo, in sostanza, non è mero feticismo, quanto una visione dettata da una particolare conformazione mentale. Il che, unito alla sua totale franchezza, lo rende quasi morboso nel ritrarre il sesso, sopratutto quando lo usa come strumento per distruggere i tabù.
Di sicuro la sua opera più controversa è "Joe Blow", vero e proprio pugno allo stomaco ai benpensanti, dove una normale famiglia americana si rivela dedita all'incesto e alla sottomissione violenta della prole. Ma non c'è una vera vena polemica, se non la voglia di scandalizzare, di scardinare quel velo di ipocrisia con cui i "normali" talvolta si coprono; non c'è volontà di abbattere un sistema di valori, quanto quella di smascherare una tendenza conformista che porta a voler celare ogni devianza e ad esaltare al contempo quei valori "benigni" che in realtà non si seguono nel privato.
La sua è una provocazione pasoliniana, dove però non c'è alcuna carica politica. Una provocazione quasi onanista, che sarebbe tale se non fosse sorretta da un'indole franca e sopratutto da un umorismo sarcastico che rende tutto apprezzabile, anche quando ritrae le peggiori nefandezze.
Ed è proprio questa sua spontaneità, che si evince anche quando parla dei deliri del consumismo, a renderlo un autore anomalo nel panorama americano: per sensibilità e carica satirica, Crumb è più vicino a molti autori europei.





Capito?

Crumb faceva gli shunga nel periodo della contestazione ed era weirdo fino al midollo and proud to be.

E giustamente ci ha avuto il successo.

Tanto che pure a Hollywoo hanno pensato di farci un film.

Ma a chi lo fai dirigere un film su di un gatto finto contestatore arrapato?

Semplice, ad uno che ha fatto dell'anti-Disney il suo credo


Enter Ralph Bakshi



Ralph Bakshi è uno che ha le palle. Le palle di vivere sempre fuori del sistema, per fare il cazzo che vuole.

Bakshi è uno che sperimentava pur avendo quattro soldi di budget. E sopratutto che crede che l'animazione non deve essere per forza una cosa da bambini scemi o adulti ancora più scemi.

Come i migliori animatori jappi insomma.

E lo faceva dai primi anni '70. E ha fatto roba come American Pop e Ice and Fire che spero un giorno il crotalo ci scriva qualcosa.

Fritz il Gatto è il suo esordio, dopo anni passati a disegnare Spider-Man e Iron Man.

E che esordio.

Ma prima una piccola precisazione: la versione da vedere è quella inglese. Quella italiana l'ha doppiata Oreste Lionello. Che era un grandissimo doppiatore, ma quando si trattava di adattare testi non si sa perchè andava nel modo più libero possibile.

Così i corvi, cioè i neri di Harlem, diventano i Milanesi di Brooklyn (eh?), la rivoluzione contro il capitalismo diventa la rivoluzione per la topa gratis (MA?!?!?) e l'inno all'amore contro la violenza diventa nulla... insomma, un altro film.

Per carità, i colpi di genio ci stanno pure, come la canzoncina sul pornogatto che apre e chiude il film e la mitica "se arriva Settembre Nero finiamo tutti al cimitero!", ma mooooooolto del succo finisce fuori dal bicchiere.

Ma non perdiamo tempo e occupiamoci del Fritz il Gatto rivisto da Bakshi.



Anche qui Fritz è un deboscia, un micio che non fa altro che seguire il suo chiodo fisso, la micia, e combinare casini. Ma casini grossi.

Bakshi prende solo spunto dal fumetto di Crumb e fa un film suo, che dal fumetto riprende giusto due scene, quella imprescindibile, cioè l'orgia, dove a Fritz gli va pure meglio che nei fumetti, e quella di lui e Winston on the road.

Tutto il resto è farina del suo sacco. E che sacco.

Il pornogatto in azione
Ci sono i poliziotti, che sono maiali. Tutti.

Ma prima c'è Fritz che fa l'orgia. E gli sbirri, gelosi, entrano per fargli il culo. E sono razzisti e pure omofobi. E già qui Bakshi dimostra di avere le palle.

Poi Fritz va dai compagni che studiano e fa una filippica contro l'intellettualismo. Ed ha pure ragione, vivete la vita, cazzo!


Anti-Intellettualismo


Poi se ne va ad Harlem e conosce il corvo Duke, con cui si ammazza di canne.

E le canne si sa fanno bene. E se poi aggiungi il sesso con una corva, che lo sfotte perchè non è abbastanza corvo, arrivi all'illuminazione.

E quando arriva all'illuminazione, il gatto bianco afflitto dai sensi di colpa per aver reso impossibile la vita ai corvi neri che fa?

Detroit a Harlem

E quindi giù di casino, arrivano i poliporci che picchiano tutti e ammazzano pure Duke. E qui Bakshi dà un bel pugno allo stomaco, con una scena di morte straziante.

E dopo aver ucciso un suo amico, che li aveva pure salvato la vita, Fritz che fa?

Ovviamente scappa, perchè è il gatto bianco medio.



Ma il punto non è la rivoluzione, che Fritz resta pur sempre il buono a nulla di Crumb.

Il punto è la fica.

E a Bakshi frega un cazzo della censura e schiaffa tette, patate e piselli in bella mostra.


SCANDALO

Per i benpensanti, almeno.

Per quelli che pensano che l'animazione debba essere solo Biancaneve e Rapunzel e cazzate simili.

Perchè tutti gli altri stanno al gioco e si divertono a prendere per il culo i parrucconi.

Parrucconi ipocriti, come Topolino e Paperino, che in una scena acclamano la venuta dei bombardieri su Harlem. Perchè puoi pure essere il personaggio più politicamente corretto di questo mondo, ma se sei figlio di un antisemita misogino, sei comunque qualcosa di incredibilmente storto.

Quindi bisogna distruggere ciò che rappresenti, anzi sbeffeggiarlo in modo divertito, togliendo i buoni animali antropomorfi e mettendoci un pornogatto un pò stronzo.

Ed il sesso, che è la prerogativa di ogni essere umano. Il sesso libero, quello allegro, spensierato, dolce.

Opposto al sesso violento della gang di nazi. Perchè se vivi nella violenza, se sei un catatonico che si ripiglia solo bucandosi e facendo saltare in aria i palazzi, non puoi che essere un pervertito e prima ancora una testa di cazzo che al confronto il gatto bianco medio è un santo.

Morte ai porci


Il film di Fritz esce nel 1972 e sbanca in tutto il mondo. Bakshi diventa una star ed avvia una florida carriera di regista, mentre il nome di Crumb viene conosciuto anche fuori dall'underground.

Solo che poi Crumb si incazza. Perchè non gli sta bene cosa Bakshi ha tirato fuori dal suo fumetto. E come lo dimostra?

Semplice: ammazza Fritz.


Nell'ultima storia a lui dedicata, troviamo il pornomicio diventato famoso, anzi ebbro di successo, con una hybris a livelli totogalattici.

E tra una dose ed una sbronza, incontra una sua ex tipa, una struzza con le gambe giganti come piacciono a Crumb. Che gli pianta un rompighiaccio nella schiena e kaput, addio Fritz.

Ed ogni volta che viene chiamato a parlare di Fritz, Crumb tira in ballo il film e ricorda come non abbia avuto un cazzo a che farci.

Ma sai quanto gliene frega ai produttori?

Tanto che nel 1974 fanno un seguito, che a sfregio si chiama Le 9 vite di Fritz il Gatto, a farti capire che una gliel'hai pure tolta, ma lui è ancora vivo.

Solo che anche Bakshi da forfait e tanti saluti.

In compenso a dirigere c'è Robert Taylor, già assistente di Bakshi nostro e che purtroppo finirà a lavorare per la Disney, anche se ha fatto roba come Bonkers, Tale Spin e Ecco Pippo! che sono ancora belli.

E com'è sto sequel?

Diciamo che è quello che succede quando prima ti droghi e poi guardi Fritz il Gatto, che già di suo era bello psi-drogato-chedelico-fatto.




Mettiamola così. Fritz il gatto era sgangherato e certi sketch non erano riuscitissimi. Le 9 vite eccetera è ancora più sgangherato e molti sketch non fanno ridere e c'è pure meno sesso. Quindi è uguale, un pò meno riuscito e molto più psichedelico.

Perchè comincia con Fritz che fa quello che gli riesce meglio, ossia un cazzo, stravaccato sul divano a fumare fumo mentre la moglie allatta il figlio, che pure lui è un gatto di casa e famigghia.
Poi la moglie sbotta e gli fa un cazziatone, ovviamente poppe al vento, perchè è un fancazzista (e che l'hai sposato a fare), quindi il nostro vaga con la mente in altri luoghi. Ma parecchi altri luoghi.

Menage familiare

Andando con ordine, finisce a bombarsi la sorella di un amico ispanico e fin qui tutto nella norma, se non fosse che quando arriva il padre della tipa lo fa saltare in aria a fucilate.

Poi incontra un barbone che dice di essere Dio e si scopre che alla fine è veramente Dio che si è rotto le scatole di essere Dio.


Raggiungere l'illuminazione


Poi di punto in bianco finiamo con Fritzetto nostro nella Germania Nazi sotto le bombe merregane ed il pornogatto si ritrova a fare lo psicanalista di Hitler... minchia se era roba buona.

E Hitler che fa? Ad un certo punto se lo incula... roba buonissssssssima.


E usa pure il vecchio trucco della saponetta!!!!11!1!!1!


Poi boh, Fritz fa un casino per un preservativo usato, finisce nello spazio, esplode tutto.... mi sa che abbiamo fumato troppo.

In compenso gli ultimi due episodi sono gustosi.

In uno finisce nel New Jersey, che il presidente Kissinger ha trasformato nella Nuova Africa, ossia ci ha ghettizzato tutti i niggaz e i niggaz ci ammazzano tutti i non-corvi che ci mettono piede, perchè un pò di razzismo ogni tanto non fa male.

L'incubo di Salvini

Poi finisce a fare il filosofo nelle fogne e incontra prima un regista snob, poi il caprone in persona, che però è una checca... datemi il nome di quello spacciatore ora!!!!!!!!!!


Arte


E quindi nulla, Fritz tromba di meno ma in compenso è più scoppiato che mai.

E questa è pure la sua ultima apparizione... peccato, ci vorrebbe oggi come oggi un bel Fritz in 3D che rompe le palle agli animali parlanti della Dreamworks di stocazzo.

Cioè, ve lo immaginate Fritz in computer graphic, magari con la voce di Jonah Hill o Seth Rogen, che parte per un' avventura stile Madagascar o Rio ma finisce solo nel vicolo sotto casa a bombare e fumare?????????

Lo voglio!!!!!!!


L'eroe di cui abbiamo bisogno



Bene, vediamo di ricapitolare cosa abbiamo imparato oggi:


  1. Le droghe pesanti fanno bene;
  2. Anche i polipi lo fanno;
  3. Walt Disney è il Male;
  4. Il Pornogatto ci salverà.

E per finire, vediamo che fine hanno fatto i nostri protagonisti:

  • Robert Crumb, a prescindere dalle polemiche o forse proprio per questo, è considerato ampiamente come il più importante fumettista vivente;
  • Ralph Bakshi, dopo anni passati a produrre i suoi film in modo indipendente, si è accostato ad una major. Correva l'anno 1993 e doveva dirigere Fuga dal Mondo dei Sogni, che nei suoi piani doveva essere la storia del figlio bastardo di un essere umano ed un cartone animato; solo che gli stronzi della Paramount e quella stronza di Kim Basinger alla fine gli hanno fatto cambiare tutto. Da allora non ha diretto più nulla, ma è comunque considerato uno dei massimi geni dell'animazione;
  • Il prof. Arnaldo F****** è divenuto parlamentare con il nome di fantasia di Re**to Bru**tta e ne spara una quasi ogni giorno;
  • Capitan Spaulding è stato arrestato per oltraggio al pudore e post di cattivo gusto. Attualmente sta scontando una pena a Rebibbia assieme a molti ex politici di Forza Italia.


THAT'S ALL FOLKS!