sabato 29 settembre 2018

Requiescant

di Carlo Lizzani.

con: Lou Castel, Pier Paolo Pasolini, Mark Damon, Barbara Frey, Mirella Malavidi, Rossana Martini, Franco Citti, Ninetto Davoli, Luisa Baratto.

Spaghetti Western

Italia, Germania 1967
















Con una media produttiva ai limiti del bollywoodiano, lo spaghetti western è stato il "genere" italiano per antonomasia negli anni '60; e con "Quein Sabe?" si era già colorato con la tematica politica, immersa con successo nello spettacolo del cinema di intrattenimento più puro. Questo connubio tra aspirazioni alte e narrativa di puro genere aveva colpito persino Pier Paolo Pasolini, all'epoca alle prese con il suo "Ciclo del Mito" e alla vigilia delle riprese dell'imprescindibile "Teorema", il quale decide di prendere parte, assieme agli amici Ninetto Davoli e Franco Citti, ad un western nel quale la tematica politica fosse ancora più pregante.
Pasolini, di fatto, vedeva nel genere un modo per comunicare in modo diretto con le folle, per risvegliarne gli animi sopiti per il tramite di un registro a loro facilmente vendibile e, ancora di più, comprensibile; ciò perchè, una volta immesso in una storia di puro disimpegno, il messaggio politico diveniva ancora più dirompente nella sua forza, un pò come accadeva nelle parabole del Vangelo.
Ed è grazie a Carlo Lizzani ed a "Requiescant" che Pasolini riesce a partecipare ad un film che è  connubio tra spettacolo ed impegno, dove il west e le sue atmosfere violente divengono metafora della società capitalistica, un mondo dove all'oppressione del più ricco ci si può solo ribellare impugnando una colt. Il risultato è meno memorabile di quanto ci si potesse aspettare, ma lo stesso non disprezzabile.



Il conflitto è quello tra i campesinos e la classe dirigente, incarnata dallo spietato George Bellow Ferguson (Mark Damon, il cui look gotico è un rimando gustoso al genere che lo rese famoso), che racchiude in sè tutti i mali della borghesia: tanto ricco quanto disumano, razzista per convenienza e misogino convinto, crede nella superiorità dell'aristocrazia terriera su tutto e tutti.
Dall'altro lato, un ragazzo senza nome, che poi adotterà quello di Requiescant (un Lou Castel ispirato), che segue un arco caratteriale completo: dapprima buono sino all'ingenuità, nel finale perfetto rivoluzionario cosciente di sè stesso e del suo ruolo politico.



Requiescant è l'ingenuità del pueblo che si fa piena coscienza del male che lo sottomette e che si ribella ad una classe dirigente rea di un peccato originale, il massacro iniziale dei messicani ed il successivo furto dei terreni, ossia la nascita di un'America nel sangue dei più deboli. Scintilla che fa scoccare il suo cammino, è la perdita della sorellastra Princy, che tenta invano di emanciparsi finendo a fare la vita per un sottoposto di Ferguson, altra forma di sottomissione questa volta della figura femminile.
Dietro Requiescant, ad indirizzarne la vendetta e forgiarne la presa di coscienza, il don Juan di Pasolini e la sua banda di ex peones datisi al banditismo. Don Juan è la coscienza politica di un popolo, formata da un lato dall'indole rivoluzionaria, purgata solo in parte dei risvolti più violenti, dall'altra dalla formazione cattolica, dalla coscienza di un male necessario (la rivolta armata) per ottenere quella libertà solo sognata.




Lizzani si diverte così ad innestare in modo esplicito i temi sessantottini nel genere, ma è purtroppo frenato da una sceneggiatura prolissa. Non c'è senso dell'avventura ed il ritmo presto cala sin troppo, rendendo la visione a tratti decisamente noiosa.
L'aspetto impegnato, per paradosso puro, è più riuscito di quello di intrattenimento, limitando la riuscita di un film che ben poteva rappresentare un nuovo "Quien Sabe?".
"Requiescant" si fa notare così più che altro per la partecipazione di Pasolini e per la perfetta metafora politica che porta avanti. Un western, in pratica, atipico, ma castrato dalle sue stesse ambizioni.

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