lunedì 19 novembre 2018

La Ballata di Buster Scruggs

The Ballad of Buster Scruggs

di Joel e Ethan Coen.

con: Tim Blake Nelson, Liam Neeson, James Franco, Zoe Kazan, Clancy Brown, Brendan Gleeson, Tom Waits, Stephen Root, Bill Heck, Grainger Hines, Saul Rubinek.

Usa 2018















Un West anomalo, quello dei Coen, che pur si erano già cimentati con i paesaggi infiniti e desolati della frontiera con "Non è un Paese per Vecchi" e "Il Grinta"; un West che del luogo magico e leggendario cantato da John Ford e Sergio Leone ha tutto e al contempo nulla: ci sono i pistoleri ed i cowboy, le risse nei saloon, gli indiani armati di tomahawk e frecce, i cercatori d'oro dalla barba lunga, le diligenze affollate e le praterie sterminate, finanche le vette gelide e innevate; eppure, in tutti e sei gli episodi che compongono questa antologia, a svettare su tutto è qualcos'altro, un elemento che fa passare gli altri categoricamente in secondo piano: la morte.
"La Ballata di Buster Scruggs" nasce dalla volontà dei Coen di omaggiare il cinema antologico italiano degli anni '60 e '70; intento che si concretizza nella frammentazione del racconto, affidato a sei storie che non hanno personaggi ricorrenti, né situazioni similari e che sono, anzi, rigidamente rinchiuse all'interno di sei racconti distinti, ognuno introdotto, come nel cinema americano classico, da una mano che sfoglia le pagine di un libro; il fil rouge di tutta la narrazione diviene così il solo tema della morte, nelle sue forme più disparate, dalla più buffa alla più truce, dalla più concreta a quella più esoterica e filosofica. Allo stesso modo, ogni episodio ha una forma in parte diversa, uno stile a suo modo unico.



Si parte con quello che dà il titolo al film, "La Ballata di Buster Scruggs", il più singolare tra tutti, un western che ha cadenze e forma del musical, in un mash-up di generi che riprende il discorso che i Coen avevano lasciato con il divertente "Ave, Cesare!".
Buster Scruggs è il pistolero più veloce del west, la cui velocità di estrazione viene eguagliata solo dalla sua ugola d'oro; Scruggs non è un eroe, non ha nulla di romantico e la sua moralità può essere ridotta alla semplice frase "essere migliore degli altri"; è un personaggio che, pur vestito di bianco e addobbato da un atteggiamento gioviale, altro non è se non un antipatico narcisista, uno scavezzacollo che riesce sempre a cavarsela grazie alla sua mano svelta; egli è, almeno inizialmente, l'incarnazione più terrena della morte: in un mondo dove la violenza e la sopraffazione del più forte sul più debole sono un imperativo, essere il migliore vuol dire essere il più letale, essere il più brillante vuol dire essere il più violento. Ed i Coen parodizzano tali concetti ritraendo il loro protagonista come un cartone animato vivente, che canta ogni volta che può e che distrugge gli avversari in modi talmente truci da sforare nel grottesco più cupo.
Ma, ovviamente, non si può essere al top per sempre: ecco che anche per Scruggs arriverà il momento di fare i conti con un rivale molto più veloce di lui; e anche per lui arriverà il momento di stramazzare al suolo, con solo un'ultima canzone per congedarsi dal pubblico. La morte diviene così quotidiana forma di affermazione, compagna che segue i personaggi ad ogni passo, con la violenza pronta ad esplodere da un momento all'altro senza preavviso; una morte svuotata di ogni parvenza maligna per divenire comica, ma pur sempre atroce.



Il secondo capitolo, "Near Algodones" è anche il più coeniano dei sei. Al centro troviamo James Franco nei panni di uno sfortunato rapinatore che, catturato a seguito di un colpo, si ritrova con la corda al collo pronto per essere impiccato, solo per poi essere salvato prima dall'intervento di un gruppo di comanche che stermina la posse incaricata dell'esecuzione, poi da un gioviale vaccaro che lo libera dalla forca; destino vuole, tuttavia, che quel simpatico cowboy altro non sia se non un ladro di bestiame, che pianta in asso il neo sopravvissuto, il quale, paradossalmente, si ritrova di nuovo con una corda al collo e, sul patibolo della sua morte, non può che ammirare una bella ragazza prima di spirare.
Non c'è un senso nella storia di questo giovane bandido sfortunato; non ci sono forze occulte all'opera che ne muovono il destino, né lezioni da imparare dagli eventi; questi altro non sono se non una sequela di incidenti che si parano lui innanzi e che lo portano costantemente allo stesso punto, quello di morte, che può essere evitata quanto si vuole, ma mai fuggita del tutto. Come in "A Serious Man", non esiste una sovrastruttura teologica. né ideologica: le azioni degli uomini sono governate dal caso e le loro storie possono tranquillamente essere prive di senso alcuno.



Terzo capitolo, "Meal Ticket", il più intimista e toccante, nonché il più semplice sul piano narrativo, probabilmente ispirato a "La Strada" di Fellini. Nel profondo nord costantemente innevato, troviamo un anziano imbonitore di folle, interpretato da Liam Neeson, girare per villaggi ed avamposti facendo esibire un giovane londinese privo di arti, il quale recita con cuore i versi di Shelley; tra i due non c'è complicità che non sia dettata dal puro utilitarismo, tanto che non si scambiano neanche una parola durante i loro viaggi. Una relazione, la loro, gelida quanto i paesaggi che attraversano e ancora più desolata, che culminerà nell'unico modo possibile: trovata una letterale gallina dalle uova d'oro, l'imbonitore si disfà del fenomeno senza rimpianti, continuando dritto per la sua strada come se niente fosse successo.
Come ne "I Compari" di Robert Altman, anche per i Coen nel west, ora, non ci sono eroi romantici, né morti spettacolari: tutto viene dettato dalla logica del profitto, vita e morte compresi; al di là d essa, c'è il nulla, la desolazione più nera, eguagliata solo da quella morale dei suoi protagonisti.



"All Gold Canyon", forse il più enigmatico dei racconti; protagonista assoluto è un vecchio cercatore d'oro, interpretato da Tom Waits; assistiamo alla sua pervicace ricerca del "signor filone", alle sue giornate fatte di scavi e pranzi alla bene e meglio, alle notti al freddo nella natura selvaggia del "Canyon dorato"; fino a quando il tanto agognato filone non si rivela... assieme ad un giovane scroccone che gli pianta una pallottola nella schiena.
Ma di punto in bianco, ecco il vecchio tornare in vita, combattere forsennatamente per il suo oro fino ad averla vinta contro il rivale, solo per poi abbandonare il canyon con il bottino e lasciare che la natura se ne reimpadronisca.
Qual'è il significato delle azioni del vecchio? O, meglio, queste ne hanno davvero uno? Quel che è sicuro è che a muovere questo cupido vegliardo altro non è che la sete d'oro, che lo porta persino a resuscitare pur di possedere l'agognato "signor filone".



"The Girl who got Rattled" è il più crudele dei sei episodi. Seguiamo la triste vicenda della signorina Longabaugh (Zoe Kazan), unitasi ad una carovana diretta verso l'Oregon con la promessa di un matrimonio di interesse. Lungo il viaggio, tuttavia, suo fratello muore all'improvviso, lasciandola sola e con un debito di 400 dollari da saldare. A prendersi cura di lei ci sono solo due cowboy, il vecchio Arthur (Grainger Hines) ed il giovane Billy Knapp (Bill Heck).
Capitolo più lungo dell'antologia, è un dramma che i Coen conducono con un distacco quasi ironico, caricando di tragedia in tragedia la vita della sua protagonista, donna in un ambiente tipicamente mascolino quale quello del west; una donna, quindi, vittima predestinata degli eventi, che si vede sottratta di tutto proprio quando sembrava che la fortuna cominciasse a girare per lei. D'altro canto, le parole della didascalia che accompagna l'episodio dicono già tutto: "Arthur non sapeva cosa dire a Billy Knapp", ossia non ci sono ragioni, talvolta, per la tragedia, essa arriva e si consuma per caso ed in un battito di ciglia, senza un perché che sia uno.



Ultimo episodio, "The Mortal Remains", è anche il più astratto dei sei; i Coen abbandonano gli spazi aperti consumati dal sole ed isolano un pugno di personaggi all'interno delle quattro pareti di una diligenza, ricostruendo il tutto in studio. Cinque personaggi, un trapper, una vecchia vedova, un giocatore d'azzardo di origine francese e due cacciatori di taglie, si confrontano su quale che sia il significato della vita. Ma il loro viaggio verso la meta è puramente simbolico: ad attenderli non c'è nulla se non un albergo vuoto.
Il viaggio diviene così metafora della vita, condotta da un cocchiere taciturno ed imperscrutabile, la quale conduce per tutti ad un'unica meta: la tomba.



La scrittura dei Coen è al solito eccelsa: i simbolismi si rincorrono costantemente, anche quando non rappresentano, di fatto, nulla, o, meglio, il nulla. La loro "Ballata" è un'antologia crudele che non vuole essere né spettacolare, né moralista: non ci sono ragioni che portano alla dipartita dei personaggi, né grandi piani in movimento; mai come ora, quella dei Coen è una vera e propria "narrazione del nulla", del vuoto pneumatico che sottostà alle azioni dei personaggi; è, di conseguenza, l'esito più nichilista del loro cinema, ancora più di "A Serious Man" e "Non è un Paese per Vecchi", un piccolo-grande pugno allo stomaco dello spettatore, che rilegge il mito del west in modo disilluso, andando oltre il mero crepuscolarismo, per farsi puro cinismo.
Un cinismo dannatamente divertente, ma pur sempre cinico.

Nessun commento:

Posta un commento