venerdì 31 maggio 2019

Il Traditore

di Marco Bellocchio.

con: Pierfrancesco Favino, Maria Fernanda Candido, Luigi Lo Cascio, Fabrizio Ferracane, Jacopo Garfagnoli, Fausto Russo Alesi, Alessio Praticò, Gabriele Arena, Marco Gambino.

Italia, Francia, Germania, Brasile 2019














Se in Italia vi è un autore in grado di demolire ogni singola istituzione dello Stato, questi è sicuramente Marco Bellocchio, che in più di cinquant'anni di onorata carriera ha messo alla berlina tutti i pilastri dell'Italia, sia esso l'esercito con "Marcia Trionfale", la famiglia con l'imprescindibile "I Pugni in Tasca", la Chiesa con "Nel Nome del Padre", finendo per fare le pulci all'intera classe dirigente con "Buongiorno, Notte" e riesumando i fantasmi del fascismo con "Vincere". E con "Il Traditore", Bellocchio non solo rievoca i fatti della Mattanza, ma si insinua all'interno di Cosa Nostra, ossia lo Stato nello Stato, svelandone i meccanismi mediante il personaggio di Tommaso Buscetta.



"Il Boss dei Due Mondi", così era definito a causa del suo ruolo di coordinamento tra la Sicilia e il Sud America; ma Buscetta era anche il ponte tra la magistratura e la mafia, colui che per primo collaborò per portare alla luce l'operato dei Siciliani, durante il periodo più nero della Seconda Guerra di Mafia. Bellocchio lo ritrae per il tramite di un camaleontico Pierfrancesco Favino e lo caratterizza come un uomo ossessionato dalla morte, sia la propria che quella di chi gli è accanto; perseguitato dai fantasmi dei propri figli, tra le prime vittime del conflitto con i Corleonesi, così come dalle visioni di una sua prematura dipartita, Buscetta è un traditore nel senso più puro del termine, avendo egli per primo voltato le spalle all'istituzione mafiosa; ma, al contempo, traditori sono coloro i quali hanno trasformato quell'istituzione in una fabbrica di morte; non c'è però idealizzazione della Cosa Nostra ante-Riina, solo la presa di coscienza di come sia stato possibile (e vantaggioso) per il primo pentito di Mafia passare dalla parte dello stato.



Bellocchio costruisce tutto il film come la confessione di Buscetta, prima verso l'amico Giovanni Falcone, poi verso il pubblico, nella ricostruzione certosina delle deposizioni durante i maxi-processi. Il ritratto che segue è impietoso, quello di un gruppo di uomini più simili a bestie che ad esseri umani, una sorta di sub-umanità che si esprime a gesti, adoperando talvolta un lingua aliena, persa nella contemplazione del proprio bene e dei propri interessi, dove non esistono veri legami affettivi, solo la comune militanza.



Un ritratto vivido che trova una messa in scena secca; la regia abbandona quasi del tutto le derive oniriche e suggestive tanto care all'autore per divenire cinica, quasi glaciale, lasciando la spettacolarità e la ricercatezza confinati ad una paio di momenti e di trovate (il contatore dei morti, la strage di Capaci), ma riuscendo sempre ad essere incisiva; e che trova un limite solo in qualche anacronismo e nella scelta di un paio di attori poco somiglianti alle controparti reali.


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