lunedì 23 settembre 2019

C'Era una volta a... Hollywood

 Once Upon a Time... in Hollywood

di Quentin Tarantino.

con: Leonardo Di Caprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Al Pacino, Emile Hirsch, Damon Herriman, Margaret Qualley, Timothy Olyphant, Julian Butters, Austin Butler, Bruce Dern, Dakota Fanning, Luke Perry, Kurt Russell, Zoe Bell, Michael Madsen, James Remar, Mike Moh, Nicholas Hammond.

Usa 2019












---CONTIENE SPOILER---

C'è un'inquadratura, nel primo atto di "C'Era una volta a... Hollywood", essenziale per comprendere non solo il film in sé stesso, quanto anche questa fase del cinema di Tarantino, iniziata con "Bastardi senza Gloria" e della quale i successivi "Django Unchained" e "The Hateful Eight" rappresentano più che altro delle variazioni; un'inquadratura che si distacca dal soggetto, in questo caso il Cliff Booth di Brad Pitt, per volare su di un drive-sin, sino ad incunearsi all'interno del fascio di luce di un proiettore, illuminando lo schermo sino da divenire speculare con quella del proiettore in sala che proietta il film sullo schermo. Una sorta di "controsguardo" verso il pubblico in sala, verso la nostra realtà, sulla quale Tarantino proietta la sua visione delle cose, sino a far coincidere le immagini artefatte con quelle reali. Un mix di realtà e finzione, di Storia vera e rielaborazione fantastica dei fatti in chiave strettamente personale, volta a definire la forza narrativa del medium cinematografico. Operazione che trovava in "Bastardi senza Gloria" il primo esempio e con quest'ultima opera la sua ideale continuazione.



"C'Era una volta a... Hollywood" è in fin dei conti un film semplice, forse persino più semplice de "Le Iene": altro non è se non la  descrizione di tre personaggi che incarnano a loro volta tre dimensioni filmiche ideali. L'anno in cui è ambientato è in tal senso essenziale: è il 1969, la New Wave del cinema americano è già stata inaugurata da "Gangster Story" e troverà in quell'anno il primo picco in "Easy Rider"; Le strade illuminate al neon che ospitano i vecchi edifici anni '50 si riempiono di hippie, di giovani sbandati e piccoli grandi mostri moderni; il vecchio sistema produttivo hollywoodiano sta per collassare e il nuovo sistema, più autoriale, deve ancora trovare piena realizzazione. Il vecchio modo di intendere il cinema trova così spazio solo in televisione. Ed è in televisione che Rick Dalton (Di Caprio) trova una sorta di rifugio. Lui, che è stato una stella solo per il piccolo schermo, ora si trova a fare i conti con una carriera che non è mai decollata, ritrovandosi fuori dal mondo; non riesce a stare al passo con i tempi, ad adattarsi o a cambiare davvero: non comprende il lustro produttivo delle produzioni italiane e si ritrova affiancato da giovani attori forgiatisi con il metodo Strasberg i quali ne sanno molto più di lui sull'arte del recitare, vivendo in una alienazione costante annegata malamente nell'alcool.
Suo doppio è Cliff Booth, stuntman e controfigura, un uomo dall'indole violenta, che paga anch'egli lo scotto di non riuscire a conformarsi, a restare tra le righe e in riga dinanzi al prossimo.
E poi c'è Sharon Tate (Margot Robbie), ossia la nuova leva, diva ancora non sbocciata, donna dall'indole allegra e innocente, presenza angelica che assapora i primi frutti del suo lavoro. Una Sharon Tate che Tarantino tratteggia in modo volutamente piatto, usandola come specchio di quella realtà che deforma sino a piegare alle proprie esigenze; chiare ne sono le intenzioni nella bella scena del cinema, dove la rappresentazione della Tate guarda la vera Tate intrappolata tra i frame di una finzione, gioco di specchi gustoso e riuscito.



Cliff e Sharon sono costantemente ritratti in movimento: siano le passeggiate sulla walk of fame che le scampagnate in auto verso lo Spahn Ranch, i due si muovono in un mondo in movimento, come a seguire il mutare degli eventi; e come sfondo alle immagini, la radio sostituisce la musica, per creare un'immersione ancora più marcata in questo mondo pronto a cambiare pelle. Dalton, d'altro canto, è ritratto quasi sempre seduto, fermo, incapace di seguire la corrente. E Tarantino muove con i suoi personaggi anche la macchina da presa, il punto di vista suo e dello spettatore che diviene anch'esso protagonista in una serie di virtuosismi degni del miglior Brian De Palma, rendendo questa la sua regia più dinamica, persino rispetto a quanto visto in "Kill Bill vol.I".



Lo sguardo di Tarantino disseziona così un personaggio e il mondo che lo circonda. Ricrea e rilegge figure storiche ed eventi reali. Impossibile non citare la scena in cui immagina un incontro tra Bruce Lee e il suo Cliff Booth, una rielaborazione personale della realtà che, modificata a proprio piacimento, anzicchè divenire falsa o posticcia, si fa genuinamente espressiva, una finzione più reale del reale, dove la spavalderia del vero Lee viene gonfiata fino a divenire maschera dello stesso personaggio.



La stessa attitudine viene usata per la rilettura degli eventi reali. Conoscendo bene il suo pubblico, Tarantino decide di spiazzarlo nel profondo usando lo spauracchio della figura di Manson, la cui aurea è presente in tutto il film, ma la cui presenza è effimera: ogni sua azione viene lasciata fuori campo, fino al terzo atto.
Piuttosto, Tarantino prende per mano il pubblico e lo porta all'interno delle vite dei suoi personaggi, facendolo assistere ai piccoli trionfi e alle grandi sconfitte, sino al punto di svolta, sino al terzo atto, controparte di quanto descritto nei due precedenti, chiave di lettura solo parziale di un racconto che trova proprio nella descrizione dei piccoli eventi la sua ragione d'essere.



Nel terzo atto che Tarantino decide di alterare la Storia, in modo similare a quanto fatto in "Bastardi senza Gloria". Appurata la grandezza del cinema e della sua forza di ritrarre e filtrare il reale, dopo aver lasciato avvicinare i personaggi di finzioniecon quelli reali, aver manipolato la realtà dando una propria lettura personale di questi ultimi (la caratterizzazione di Squeaky Fromm, re-immaginata come l'ape regina della Manson Family), Tarantino usa il cinema per vendicare il reale; se in "Bastardi senza Gloria" era la Storia a compiere la propria vendetta contro le ingiustizie del reale, ora è il cinema stesso ad usare il proprio potere per annichilire la realtà, umiliando per prima cosa quegli assassini divenuti vergognosamente famosi per la propria efferatezza (la frase "Io sono il diavolo e sono venuto a compiere il lavoro del diavolo" viene sbeffeggiata e piegata sino a divenire barzelletta) divengono macchiette, inetti idioti fatti letteralmente a pezzi dalla finzione. La Storia viene nuovamente riscritta, re-interpretata e re-immaginata grazie alla forza immaginifica dell'immagine che trionfa nuovamente sulle vergogne del reale.



L'occhio per i personaggi si fa volutamente più semplicistico: qui come non mai i protagonisti nel cinema di Tarantino esistono in funzione del proprio ruolo e all'importanza dell'azione d'ensamble viene preferita la concentrazione quasi esclusiva sul solo Rick Dalton, semplificando in modo forse sin troppo marcato la narrazione; poco male: almeno Di Caprio può andare fiero della sua migliore interpretazione, graffiante, dinamica e, sopratutto, estremamente empatica; performance del tutto complementare con quella di Brad Pitt, mai così fisica e, per questo, perfetta; e persino con il poco screen-time regalatole (che ha ovviamente sollevato le solite sterili polemiche sul presunto maltrattamento delle attrici), Margot Robbie riesce a bucare lo schermo, grazie alla propria innata sensibilità, qui declinata verso il candore più innocente.



"C'Era una volta a... Hollywood" non può di certo vantare la forza dirompente e radicale di "Bastardi senza Gloria" (che continua a restare il vero capolavoro di Tarantino), né la profondità di Django Unchained" o "The Hateful Eight", ma resta lo stesso una prova fulgida nella carriera di un autore ancora in grado di stupire e reinventarsi, restando al contempo saldamente ancorato alla propria personale idea di cinema, che mai come ora, in un contesto di classicismo forzato nel cinema americano e occidentale in genere, risulta originale e moderna.

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