martedì 4 febbraio 2020

Jonathan degli Orsi

di Enzo G.Castellari.

con: Franco Nero, John Saxon, Floyd "Red Crow" Westerman, David Hess, Knifewing Segura, Melody Robertson, Rodrigo Obregòn, Bobby Rhodes.

Western

Italia, Russia 1994
















L'avventura dello Spaghetti Western comincia ufficialmente nel 1964 con "Per un Pugno di Dollari" e trova una prima conclusione nel 1976 con "Keoma"; nel mezzo, circa 350 film che hanno ridefinito, nel bene e nel male, un intero genere e hanno segnato indelebilmente l'immaginario collettivo di più di una generazione.
Negli anni '80, il cinema italiano sprofonda nel baratro della mediocrità e, un po' alla volta, l'intera industria del cinema di genere affonda inesorabilmente verso il dimenticatoio. Poi arrivano gli anni '90 e il successo di pellicole quali "Balla coi Lupi" e "Gli Spietati" fa comprendere ai produttori come il pubblico apprezzi ancora quello spettacolo vecchio stile a base di duri dagli occhi di ghiaccio e revolverate. Diviene così relativamente semplice per Enzo G.Castellari e Franco Nero trovare i finanziamenti per un'ultima cavalcata nelle distese dell'America del XIX secolo: "Jonathan degli Orsi" esce nel 1994, lo stesso anno di "Dellamorte Dellamore" e, proprio come il film di Michele Soavi, è l'ultimo esponente di una razza antica e preziosa, l'ultimo vero exploit western italiano (de "Il Mio West" meno se ne parla, meglio è).



Un revival che riprende molti degli elementi caratterizzanti di "Keoma" e li fonde con elementi da favola ecologista ed una morale anti-razziale. Jonathan, ritrovatosi orfano a causa dell'attacco di una spietata posse di banditi, viene cresciuto prima dagli orsi, poi dai Nativi; divenuto adulto, diviene il tutore della fauna del nord, ma si scontra subito con l'avarizia dell'uomo bianco, che viene poi incarnata dal magnate Goodwin (Johan Saxon), proprio colui che si era macchiato dell'assassinio dei suoi genitori e ora divenuto petroliere assetato di denaro, il quale non si fa scrupoli a dissacrare il terreno sacro dei nativi.




Anche qui, come in "Keoma", Franco Nero veste i panni di un bianco allevato dagli Indiani e che si scontra con l'ottusità dei suoi simili; e anche qui il pistolero solitario diviene figura cristologica, che si sacrifica per il bene altrui per poi risorgere e trionfare.
La regia di Castellari riprende molti degli elementi più spettacolari del film del '76 e li ripropone, creando un omaggio sentito ad un tipo di cinema che, allora come ora, era scomparso, schiacciato dalla bruttezza imperante. Il gioco, bene o male, regge: l'uso evocativo della musica e del montaggio incrociato, ancora più vicino al Peckinpah più puro, restituisce un senso autenticità tale da far sembrare questa produzione degli anni '90 uscita dritta dritta dagli anni'70, mentre la fotografia dai colori lividi dona un tocco di originalità estetica alla visione.




Così come riuscito è il piccolo apologo morale sulle tensioni razziali, che trova spazio sopratutto alla fine tramite il personaggio di Bobby Rhodes. Castellari riesce ad intessere un discorso convincente, anche se basilare, dove il razzismo è sinonimo di infamia, mentre, come ancora nel cinema di Peckinpah, la modernità è sinonimo di corruzione morale, che porta con se anche i germi della conflittualità sociale: laddove nel paesino di frontiera coesistevano pacificamente uomini di tutte le razze, l'arrivo di Goodwin e la prospettiva di arricchimento risvegliano le tensioni sopite, portando ad un massacro.




"Jonathan degli Orsi" si impone così come il canto del cigno non solo di un genere, ma di un'intera industria. Un film fatto con tanto mestiere e ancora più amore, che testimonia il tramonto del cinema italiano di genere... purtroppo.

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