martedì 24 marzo 2020

Il Paese Incantato

Fando y Lis

di Alejandro Jodorowsky.

con: Sergio Kleiner, Diana Mariscal, Maria Teresa Rivas, Tamara Garina.

Messico 1968

















Come definire Alejandro Jodorowsky? Risposta difficile. Riflettendo si può dire che è regista, ma anche poeta, drammaturgo, saggista, studioso dei tarocchi e chi più ne ha più ne metta. Lo si potrebbe definire "intellettuale", persino "intellettuale completo" data la sua capacità di cimentarsi, sempre con successo, con media diversi tra loro. Il che non renderebbe giustizia né al suo stile, nè a ciò che solitamente tratta nelle sue opere.
Non c'è una parola o una categoria nella quale far rientrare Jodorowsky, che è artista poliedrico e completo, sensibile e visionario, capace di scrivere un'epica postmoderna a fumetti quale "L'Incal" per poi dirigere un piccolo gioiello al limite dell'intimismo quale "Santa Sangre". Jodorowsky è semplicemente Jodorowsky, autore a 360°, mago e psicologo, regista e scrittore, drammaturgo e poeta. E se passare al setaccio le sue opere è a sua volta operazione intellettuale impegnativa e illuminante, più semplice è passare in rassegna la sua filmografia decodificandone i simbolismi e i significati su di un piano strettamente a-logico, per quanto mai illogico, come si soliti fare con tutti i surrealisti, categoria nella quale può davvero trovare una comoda sistemazione.


Jodorwky arriva al cinema dopo una lunga militanza a teatro. Lasciato il natio Cile, diviene allievo di Marcel Marceau, imparando la pantomima, per poi fondare, assieme agli amici e colleghi Roland Topol e Fernando Arrabal il cosiddetto teatro "panico", da lui definito come un vero e proprio "atto sessuale con l'arte" che lo porta a distaccarsi, un po' alla volta, dal surrealismo "classico" quello di Beckett, accusato di essersi imborghesito nel corso degli anni, trovando una sua dimensione espressiva che fa della sovrabbondanza di simbolismi esoterico-religiosi il suo marchio di fabbrica.
La pièce  più famosa del "Panico" è "Fando y Lis", vergata e portata in scena da Arrabal e interpretata da Jodorowsky in persona, la quale narra di uno strano viaggio di due innamorati, un ragazzo e una ragazza paralitica, i quali attraversano i luoghi d'infanzia di lei. Pièce che Jodorowsky interpreta in più di cento repliche, fino alla chiusura del "Panico".
La fine dell'esperienza teatrale permette a Jodorowsky di avvicinarsi al cinema, trovando terreno fertile in terra messicana, dove trova una produzione disposta a dare vita alla sua prima opera; la quale è una rilettura di "Fando y Lis", basata non tanto sullo scritto originale di Arrabal, quanto su una sua rielaborazione personale fatta dal regista esordiente. La storia dei due giovani in viaggio in una terra dei ricordi si trasforma così in uno strano trip picaresco, tra simbologie violente, visioni dissacranti e drammi generati dall'intima cattiveria dei personaggi.


Un film duro, quello di Jodorowsky, che alla sua prima al Festival di Acapulco generò un tentativo di linciaggio ai danni dell'autore; le sue immagini erano troppo estreme, troppo provocanti, tra donne nude e travestiti che ballano, oltre che per l'abbraccio della tematica della ridicolizzazione della morte e del lutto.
Parlare del film senza avere un adeguato supporto visivo è ardua impresa. Si può dire, per fare un raffronto già effettuato da molta critica, che la storia di Fando e di Lis è una sorta di versione ipertrofica di "La Strada" di Fellini: in entrambi i film ci sono set naturali che divengono luogo del surreale ed entrambi narrano del vagabondare di una coppia dove la donna subisce violenza e umiliazione da parte della figura maschile.
Ma quella di Jodorowsky (e di Arrabal prima di lui) è una mera forma di ispirazione; "Fando y Lis" trova l'originalità nella forma narrativa, dove ogni narrazione convenzionale è bandita: ogni immagine, corpo o oggetto che sia, è simbolo, metafora di altro, avente un duplice significato, uno visibile, l'altro arcano, nascosto nella messa in scena e decifrabile (quando possibile) solo in relazione alle impressioni e emozioni che suscita. Questo esordio è, di fatto, il film più estremo dell'autore cileno, che in futuro riprenderà un registro astrattamente più narrativo per porlo alla base della narrazione simbolica; ma non qui, dove tutto è altro da ciò che appare.




Basandosi su ciò che viene mostrato, si potrebbe definire "Fando y Lis" come un film sulla coppia o, ancora meglio, un film sull'affetto: l'affetto di un ragazzo per la sua fidanzata, che devia nello sfruttamento (il tentativo di vendere Lis come prostituta) o nell'umiliazione (i continui abbandoni, incorniciati dalle strazianti grida della ragazza); ma anche l'affetto di un ragazzo verso la madre, vista come figura mostruosa e opprimente, la quale trasforma il suo funerale in un evento mondano, umiliandolo persino nella morte.
Si potrebbe poi procedere da questo presupposto per vederci una storia sulla subordinazione nel rapporto amoroso: Lis dipende da Fando per poter deambulare, le megere impegnate nel gioco di carte usano il cibo per ottenere i favori del giovane compagno, sia Fando che Lis marchiano con il proprio nome il corpo dell'altro, come se si trattasse di una proprietà e, giusto per citarne un'ultima, lo strano signore anziano accompagnato da un giovane cieco, che chiede sangue come carità per il compagno solo per trangugiarlo lui stesso.



E' poi possibile vedere in quest'esordio quello che sarà il tema portante di molta della filmografia jodorowskiana, ossia il viaggio verso l'illuminazione. Una sua frase famosa, in polemica contro molte religioni orientali, è quella secondo cui tutti gli uomini nascono illuminati, devono solo riscoprire la luce che hanno già in se. Da qui il viaggio come esperienza, mistica e catartica, per scoprire questo "oro sepolto nella merda"; in "Fando y Lis" i due sono in viaggio verso la mitica terra di Tar, luogo ipellegrinaggio si arena subito in un deserto roccioso, nel quale Fando si perde in visioni di lascivia e lussuria dapprima, ad atti di violenza in un secondo momento. Il cammino dell'uomo verso il sacro è quindi ostacolato dal vizio, che ne stempera la volontà di riscatto; mentre la donna, essere angelico, candido nel suo biancore bruciato dalla fotografia a sottolinearne l'intenso ardere, cade vittima dei vizi altrui, sino alle estreme conseguenze, ossia la morte fisica. Morte che diviene unico mezzo per una riconciliazione, pur tarda, tra i due.




Provocatorio ed estremo, "Fando y Lis" è un buon esordio, quasi una dichiarazione di guerra da parte di Jodorowsky alla convenzionalità, il quale però alla fine risulta sin troppo ermetico e ai limiti del compiaciuto. La vera arte, nella sua carriera di filmmaker, arriverà di qui a poco.

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