lunedì 16 agosto 2021

Evangelion: 3.0 + 1.01 Thrice Upon a Time

Shin Evangelion Gekijoban

di Hideaki Anno, Mahiro Maeda, Katsuichi Nakayama, Kazuya Tsurumaki.

Animazione/Fantascienza/Drammatico

Giappone 2021
















Si può pensare quel che si vuole sulla riuscita o meno del "Rebuild of Evangelion", ma va comunque dato merito a Hideaki Anno di essere riuscito a resuscitare una storia già finita per declinarla in un modo comunque nuovo, riuscendo a far splendere di nuova luce personaggi che sembravano aver detto tutto già negli anni '90.
In tal senso, quest'ultimo "3.0+1.01", che Anno ha già specificato possa non essere l'ultima incarnazione di "Evangelion", si pone come il capitolo più riuscito della tetralogia cinematografica, che fonde perfettamente l'analisi socio-psicologica dei personaggi con la spettacolarità delle battaglie e dei rituali divini divenuti marchio di fabbrica della serie, concludendo, per ora, un'opera monumentale.


Anno divide il film in due parti separate, una prima più riflessiva, una seconda più spettacolare.
E' nel primo atto che assistiamo alla maturazione di alcuni dei personaggi, primo fra tutti quello di Shinji. Ridotto (nuovamente) ad uno stato larvale a seguito dello sconvolgente finale di "You Can (Not) Redo", è totalmente chiuso in sé stesso, nella muta contemplazione del proprio dolore, per la prima volta nella saga cinematografica totalmente distaccato dal mondo che lo circonda. Ma è grazie all'ingresso di vecchie conoscenze quali Toji e Kensuke, oltre che all'insistenza della sempre pestifera Asuka, che Shinji ritrova, pian piano, una forma di connessione con l'esterno. L'affacciarsi nel Villaggio 3, il confronto con la vita felice di un gruppo di persone che ha fatto dell'interdipendenza la propria forza, porta Shinji a superare la paura dell'altro, della perdita, dell'esporsi sentimentalmente al prossimo, sino alla maturazione adulta che gli permetterà di confrontarsi con suo padre, qui perfetta nemesi, uomo che ha sempre vissuto da solo e ha trovato nella perdita dell'amore una causa scatenante la propria follia.


Allo stesso modo, la nuova Rei, che nel capitolo precedente era vuota, essere umano privo di emozioni, sviluppa una propria anima grazie al contatto con il prossimo, divenendo umana, acquisendo quella coscienza di sé che nelle precedenti vesti di essere sintetico (volendo anche ideale critica delle "waifu" degli anime) non aveva. D'altro Asuka, compie quasi un percorso inverso, trovando nella solitudine un rifugio dal dolore, mitigato solo dalla compassione per Shinji e dal rapporto, volutamente ambiguo, con Kensuke.


Nella seconda parte, l'anima spettacolare prende il sopravvento: il Fourth Impact e le sue catastrofiche conseguenze, nonché i rituali ad esso collegati, prendono forma dinanzi allo spettatore, in una serie di geometrie astratte che si infrangono grazie ad una regia ipercinetica, che distrugge ogni geometricità e con essa ogni forma di immobilismo. Il movimento vorticoso e roboante è il vero protagonista, appaiato ad un confronto umano, fino a creare un epilogo magistrale sia per il "Rebuild" che per l'intera serie.
Non tutto funziona, molte delle informazioni necessarie per comprendere gli eventi vengono vomitate in faccia allo spettatore senza contesto, lasciando che sia quest'ultimo a doversi orientare: quello che nella serie originale era un ermetismo perfettamente voluto, qui sembra più una soluzione usata per ovviare alla mancanza di tempo per dar spazio alla mitologia.
Allo stesso modo, le rivelazioni circa le identità di Asuka, Kaworu e di Mari lasciano perplessi, causa la velocità con cui vengono a galla, prive di un contesto anche solo vago che nega, a volte, ogni possibilità di comprensione, cosa che, ancora, nella serie originale non avveniva.


Ed è proprio nel confronto tra gli esiti di questo "Rebuild" e la prima incarnazione data della serie televisiva e dal primo film "The End of Evangelion" che risalta maggiormente la maturazione umana di Anno.
In passato, tutta l'opera era come basata su di un cinismo di fondo, su una radicata coscienza che gli essere umani sono condannati alla sofferenza e che il contatto umano, unico balsamo, è anch'esso portatore di un innato e inevitabile dolore. Da qui la metafora del Progetto del Perfezionamento dell'Uomo, della creazione di un solo essere privo delle barriere del corpo e dello spirito, risultato incontrovertibile per giungere ad una vera comprensione tra uomini. E del quale il perdono e l'accettazione sono le uniche alternative, pur nella loro fallacia.
Nel mondo del "Rebuild", d'altro canto, Shinji in primis sembra cosciente della possibilità di evitare il dolore aprendosi alle persone già nei primi capitoli, nei quali risulta più "attivo". Allo stesso modo Asuka, non combattendo la sua attrazione verso il collega/coinquilino, sembra consapevole della necessità dell'accettazione altrui. Tant'è che il finale di "Thrice Upon a Time" rappresenta una semplice battaglia tra la disperazione ed una speranza già fatta propria, non la comprensione dell'esistenza di tale speranza (che avveniva, di fatto, in "The End"); con la conseguenza che anche i toni sono meno cupi, meno opprimenti.


Il "Rebuild" finisce così per essere una continuazione più positiva delle tematiche originale e in tale evoluzione tematica, oltre che nelle spettacolari immagini, finisce per trovare una completa giustificazione e ad imporsi come un'operazione riuscita e ai limiti del necessario.

2 commenti:

  1. È stato un parto, ma alla fine questo finale mi ha soddisfatto, pur con qualche riserva specie sul piano della costruzione narrativa, e scendendo a patti con certe tamarrate (la scena di Parigi che vabé), ma ok, le vedo come un omaggio ai trascorsi Gainax di Gunbuster e Gurren Lagann..
    L'ho trovato in alcune fasi un po' troppo verboso, Asuka in particolare si fa autoanalisi e psicoanalizza Shinji continuamente, io sono convinto che lo spettatore può arrivarci da solo a capire certi stati d'animo anche senza sbandierarli nei dialoghi, e questo film ha forse il difetto di essere fin troppo chiaro nei suoi intenti, lasciando poco spazio all'interpretazione, cosa che invece faceva la serie classica.
    Per il resto ho gradito l'ultima mezz'ora, il monologo di Gendo (giustamente Anno ora da adulto sembra impersonarsi in lui), lo scontro tra lo 01 e il 13 nei luoghi iconici della serie trasformati in veri e propri set cinematografici, tutto molto coerente con il messaggio metanarrativo di ripetizione, blocco (con i personaggi-feticci destinati a non crescere), frantumazione del loop e ripartenza.

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    1. La verbosità credo sia stata necessaria a causa della durata ristretta del film rispetto alla serie. Per il resto, concordo ;)

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