domenica 19 settembre 2021

Dune

di Denis Villeneuve.

con: Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Stellan Skarsgaard, Jason Momoa, Zendaya, Charlotte Rampling, Dave Bautista, Javier Bardem, Josh Brolin, David Dastmalchian, Sharon Duncan-Brewster, Stephen McKinley-Henderson, Chen Chang, Babs Olusanmokun.

Fantascienza

Usa, Canada 2021










Un progetto come "Dune" porta con sè, inevitabilmente, un'ineludibile carica di aspettative. Laddove in passato una trasposizione degna del capolavoro di Frank Herbert era ai limiti dell'impensabile, oggi, con la moderna CGI e l'approccio episodico alla narrazione filmica, il compito risulta se non più facile, quantomeno meno dispendioso e azzardato. E Denis Villeneuve, che già all'indomani dell'uscita di "Blade Runner 2049" aveva esternato la sua volontà di dirigere un nuovo adattamento dell'opera di Herbert, è sicuramente uno dei pochi (se non l'unico) regista hollywoodiano in grado di rendere giustizia alla magnificenza dell'universo di Arrakis. Come sempre, urge chiedersi, alla fine della visione: operazione riuscita?


La trama segue la prima metà del primo romanzo: l'anno è il 10.191 e la Spezia Melange è la sostanza più importante nell'universo. Grazie ad essa è possibile espandere la coscienza e la conoscenza, accedere ad un controllo totale del corpo e della mente, come fatto dalla sorellanza Bene-Gesserit, dai computer viventi Mentat e dai membri della Gilda Spaziale, organizzazione che detiene il monopolio assoluto sui viaggi intergalattici.
Con un decreto imperiale, il controllo di Arrakis ("Dune" come chiamato dagli indigeni), unico pianeta sul quale la Spezia attecchisce, viene tolto alla casata degli spietati Harkonnen e affidato alla rivale casa Atreides, nel chiaro intento di scatenare un conflitto tra le due.
Paul Atreides (Chalamet), figlio del Duca Leto (Isaac) e della strega Bene-Gesserit Jessica (Rebecca Ferguson), sua concubina, è ossessionato dalle visioni di Arrakis, in particolare di una ragazza, Chani (Zendaya), che ne profetizza il futuro come campione dei Fremen, l'orgoglioso popolo natio del pianeta. Quello che neanche lui conosce è la sua natura di Kwisatz-Haderach, profeta creato ad hoc dal Bene-Gesserit per controllare le genti. Il suo destino lo attende, così, sul pianeta deserto.


L'opera di adattamento del romanzo è al contempo più fedele e più libera rispetto a quanto fatto da Lynch nel cult del 1984. Le ragioni dello sterminio della casa Atreides, come nel romanzo, non riguardano lo status di divinità umanoide di Paul, ma i "semplici" intrighi di potere all'interno dell'Imero e delle casate del Landsraad. Paul non è un superuomo dotato di poteri divini, piuttosto un umano mutato dalla spezia oltre i limiti concessi alle Bene-Gesserit e loro burattino nel controllo dei popoli. La divisione in due parti della storia permette di trasporre per intero la fuga di Jessica e Paul da Arrakeen ed il loro incontro con Stilgar, ma al contempo molto materiale presente nella prima parte del romanzo viene lasciato fuori. Non c'è traccia di Feyd Rautha e del suo ruolo di "anti-Paul", né dell'Imperatore, presenza fantasma per tutto il film. Allo stesso modo, alcune sequenze sono modificate, come l'introduzione di Paul e Jessica e il primo dialogo tra Paul e suo padre Leto, con la storia del padre di Leto ucciso da un toro mal adattata, pur usando l'emblema dell'animale come presagio di morte.
La trasposizione del racconto comunque funziona ottimamente e anche chi non conosce il romanzo non avrà problemi a districarsi nell'intricato universo herbertiano. Soprattutto e fortunatamente la sceneggiatura riesce ad evitare le trappole di cinema woke odierno, lasciando i personaggi principali intatti rispetto alla controparte cartacea, con due eccezioni più o meno vistose: il dottor Kynes è ora una donna di colore, non si sa per quale motivo specifico se non quello di aumentare le "quote rosa" nel cast, e non c'è alcun accenno alla pedofilia del Barone Harkonnen, forse per evitare polemiche sulla rappresentazione dell'omosessualità come devianza, benché nel romanzo fosse caratterizzata più come pederastia violenta che semplice omosessualità.



L'approccio di Villeneuve al romanzo di Herbert è più personale persino rispetto a quello di Lynch; "Dune" diventa nelle sue mani la storia di un ragazzo chiamato dal destino a prendere le redini di un popolo, ma il quale è cosciente non solo dei suoi limiti, quanto e soprattutto della artificialità del suo status di liberatore, mero specchietto per le allodole in un gioco di potere di portata galattica. Da questo punto di vista, Timothée Chalamat risulta una scelta perfetta per il ruolo, che con il suo fisico emaciato e il volto angelico dona un''aura di vulnerabilità e insicurezza tangibile al personaggio.
L'inizio del viaggio di Paul è quindi scoperta della propria forza interiore, accettazione del proprio ruolo di leader anche nell'ottica della semplice vendetta. Come nel romanzo, il suo non è un semplice "cammino dell'eroe", né il suo ruolo è quello del "salvatore bianco", quanto qualcosa di più gretto e sinistro, che si dispiegherà nell'eventuale secondo film e che qui già prende perfetta forma.




Come creatore di immagini, Villeneuve mantiene le promesse di spettacolarità ed epicità visiva e riesce a confezionare un kolossal a dir poco imponente; alternando il minimalismo estetico già sfoggiato in "Blade Runner 2049" e "Arrival" all'opulenza della scala dei corpi delle scenografie e delle location, crea visioni future quasi opprimenti nella loro vastità. E al di là dei costumi variegati e del design industrial delle navi, a fare da gioiello è, come lecito aspettarsi, la rappresentazione del verme delle sabbie, celato per la maggior parte della durata e rivelato in tutta la sua gloria solo nell'ultimo atto, immagine di un'imponenza impellente sino ai limiti dell'implacabile.
Magistrale è anche la caratterizzazione dei singoli popoli e pianeti, vero punto forte dell'opera di Herbert e, in passato, del film di Lynch. Vengono introdotti linguaggi alieni, talvolta disturbanti versi gutturali che caratterizzano la ferocia degli Harkonnen e dei Sardaukar, così come l'alfabeto muto delle Bene-Gesserit trova spazio per la prima volta su grande schermo. Gli Harkonnen diventano dei feroci barbari, talvolta melliflui nei loro lineamenti secchi, ma sempre brutali nelle parole e nelle azioni, bardati in abiti neri e resi calvi. I Sardaukar divengono dei vichinghi in tuta spaziale, la cui violenza e contrapposta alla leggiadria con cui planano sulle vittime. Le streghe Bene-Gesserit, non più calve, sfoggiano abiti ricercati e veli che le rendono sinistre e misteriose, mentre la Gilda Spaziale, che purtroppo appare in un'unica scena, è racchiusa in armature e mantelli eleganti che ne  nascondono totalmente le fisionomie.




La mano dell'autore, purtroppo, vacilla in un montaggio delle singole inquadrature talvolta troppo veloce e maldestro, colpa, probabilmente, del fatto che il lavoro di edizione si sia svolto via remoto causa Covid. Il montaggio generale della storia è invece spedito, senza tempi morti nonostante la durata di due ore e mezza, anche se è evidente che qualcosa è stato sacrificato all'altare del ritmo: non c'è risoluzione ai destini dei personaggi di Gurney Halleck e Tufir Hawatt, i quali semplicemente scompaiono dopo la battaglia di Arrakeen.




Nonostante la fedeltà al romanzo, Villeneuve riesce lo stesso a dare un tocco di originalità anche al racconto. Le riflessioni politico-religiose, benché presenti, non divorano la narrazione e sembrano più che altro un'anticipazione di quanto sarà raccontato nell'eventuale secondo film.
L'atmosfera generale viene scissa nei momenti di veglia e in quelli di visione, più pregnanti, per ovvi motivi, nel terzo atto. Laddove Lynch immaginava il mondo di Herbert come un sogno che sconfinava in visione, Villeneuve si limita a creare una dicotomia sogno-veglia solo in parte più convenzionale, che comunque garantisce la giusta carica di visionarietà e onirismo al racconto, il quale perde di mordente, in parte, solo a causa della scelta di escludere la voce-pensiero dei personaggi, la quale riusciva davvero a donare loro, sia nel romanzo che nel film precedente, una profondità maggiore.




Nonostante qualche evidente sbavatura, il "Dune" di Villeneuve riesce lo stesso ad incantare e coinvolgere, con l'unico limite, intrinseco e pienamente riconosciuto dall'autore, di configurarsi come una mera introduzione, un antipasto a quello che sarà il cuore nel racconto, che verrà racchiuso in un sequel che al momento, purtroppo, rischia di non vedere mai la luce.

2 commenti:

  1. Bella recensione! Mi trovi sostanzialmente d'accordo con te, anche io c'ho visto tanta narrazione e pochi dei temi cari a Herbert (su tutti potere e religione, e anche ecologia per quanto riguarda il primo libro della saga). Speriamo di vederla questa seconda parte!

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