lunedì 30 maggio 2022

Veloci di Mestiere

Fast Company

di David Cronenberg.

con: William Smith, John Saxon, Claudia Jennings, Nicholas Campbell, Don Francks, Cedric Smith, Judy Foster, Robert Haley.

Canada 1979
















Poco prima di concludere la sua ideale trilogia sulla mutazione con "The Brood", David Cronenberg decide di darsi all'exploitation, mettendo il suo mestiere al servizio di un progetto non suo. Quel che ne esce è un film unico nella sua carriera, lontano miglia dalla sua poetica e del tutto incompatibile con il resto della sua filmografia, ossia "Fast Company". Un film decisamente più convenzionale, privo del mordente e del coraggio che contraddistinguono il cinema dell'autore canadese, ma a suo modo importante per due motivi; il primo è l'inizio della collaborazione con il dop Mark Irwin, che girerà praticamente tutti i suoi film successivi sino a "La Mosca"; il secondo è la possibilità che gli viene offerta di sfogare la sua innata passione per il mondo dei motori.


Il modo in cui si approccia alle auto è quello di un appassionato sfegatato che disseziona con lo sguardo le livree e che guarda al motore e ai suoi componenti come un medico durante un'operazione. Non c'è quasi differenza tra il modo in cui Cronenberg riprende i meccanici intenti a montare i pezzi delle auto da drag race e un qualsiasi chirurgo della sua filmografia che sviscera un paziente. Il suo è un feticismo innato, una passione spasmodica malcelata che qui ha modo di portare su schermo in modo del tutto libero.



Libertà appassionata che fa il paio con la spettacolarità delle immagini, tra funny car e dragster che sprintano a oltre trecento all'ora su appena quattrocento metri di pista, un aeroplano che si schianta contro un rimorchio ed esplosioni a gogo, Cronenberg imbraccia fieramente la filosofia del B-Movie commerciale dell'epoca e decide di divertirsi con le immagini, riuscendo a restituire bene o male in modo efficace l'adrenalina della corsa.
Mentre lo script è quanto di più convenzionale possibile.



La storia è quella della scuderia FastCo, guidata dal veterano Lonny "Lucky Man" Johnson (William Smith), alle prese con le corse e con l'ascesa del suo giovane protetto Billy "the Kid" Brocker (Nicholas Campbell), della rivalità con il team di Gary "Blacksmith" Black (Cedric Smith), ma soprattutto degli scontri con l'infido manager Phil Adamson (John Saxon).
Non uno scontro tra bene e male nel senso convenzionale del termine. Il team Blacksmith è sicuramente composto da canaglie, con il nero del loro colore a fare da controaltare ai colori della bandiera americana della FastCo, ma Gary alla fine arriva al sacrificio per salvare la vita ai rivali, una redenzione coerente con il suo status di antagonista mai davvero cattivo.
Il villain è semmai Anderson, cattivo fin nel midollo, emblema del consumismo che attanaglia lo sport, della corruzione che infanga la nobile arte della corsa e che non conosce mezzi termini, essendo solo intenzionato ad aumentare il suo margine di profitto.




L'internalizazione del conflitto porta ad una scarna forma di originalità. Detto questo, la divisione tra buoni e cattivi resta netta e priva di qualsivoglia sfumatura, appiattendo ogni potenzialità narrativa di sorta.
Ma ovviamente non è questo che conta in una pellicola del genere e Cronenberg lo sa benissimo, quindi, questa volta in coerenza con il suo stile, eccede nelle nudità gratuite introducendo una sequenza del tutto inutile in cui Billy the Kid si gode un ménage à trois con due autostoppiste, una delle quali viene unta con l'olio FastCo per aumentare il livello di feticismo, in un'anticipazione delle tematiche di "Crash" ovviamente del tutto casuale.




"Fast Company" resta tutt'oggi il film più singolare di Cronenberg, una piccola stranezza che trova la sua ragione d'essere nella necessità alimentare e nella voglia di sfogare una passione personale che per forza di cose non trovava vero spazio all'interno della poetica dell'autore. Trascurabile, ma al contempo divertente.

2 commenti:

  1. L'oggetto più strano della filmografia di Cronenberg, trova un senso solo sapendo della passione per i motori del canadese, altrimenti per lunghi tratti diventa proprio un esercizio forzato cercare tracce della sua poetica, sicuramente lui si è divertito sul set tra tutte quelle auto da corsa ;-) Cheers

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