mercoledì 18 marzo 2015

Lost in La Mancha

 di Keith Fulton & Louis Pepe.

con: Terry Gilliam, Johnny Depp, Jeff Bridges,Tony Grisoni, Nicola Pecorini, Renèe Cleitman.

Documentario

Inghilterra, Usa (2002)

















Un progetto incompiuto non è una semplice onta nella carriera di un regista: è un rimpianto e al contempo un'occasione mancata; l'occasione di poter creare una visione nuova e inedita; l'occasione, per il pubblico, di sperimentare un'esperienza mai provata e purtroppo mai più sperimentabile.
Vien da sè, quasi per caso, che tutti i grandi autori hanno avuto almeno un rimpianto nella loro carriera; basti pensare al mitologico "Napoleon" di Kubirck, biografia sul grande condottiero talmente ambiziosa da non riuscire ad essere ultimata neanche dal più grande regista mai esistito; o all'ormai celebre "Dune" di Jodorowsky, vero e proprio emblema delle occasioni mancate.
Pur tuttavia, in un'eventuale classifica del genere, il posto d'onore spetterebbe sicuramente a Terry Gilliam ed al suo "The Man who killed Don Quixote", adattamento del celeberrimo romanzo di Cervantes che tutt'ora rappresenta una magnifica ossessione per l'autore britannico; un film inseguito per oltre venti anni, che nel 2001 portò al caso più famoso di abbandono di una produzione nell'intera Storia del Cinema; non tanto e non solo per i nomi coinvolti, quanto e sopratutto perchè testimoniata passo per passo in "Lost in La Mancha", primo e tutt'ora unico documentario che mostra la lavorazione di un film mai venuto ad esistenza.



"Amo le sfide; se un progetto è semplice, non lo comincio neanche" parole di Gilliam che malauguratamente gli si sono più volte ritorse contro. Innumerevoli i progetti da lui avviati e mai giunti a compimento: solo negli anni '90 avrebbe dovuto dirigere l'adattamento di "Watchmen" con protagonisti Robin Williams e Kevin Costner, l'ameno "The Defective Detective", noir ambientato nel mondo delle favole; e sopratutto il suo "Don Quixotte", rilettura del classico della letteratura iberica nel quale un moderno pubblicitario, interpretato da Johnny Depp, si sarebbe ritrovato a fare da scudiero al celebre "ultimo cavaliere" de La Mancha, interpretato da Jean Rochefort, solo per ritrovarsi subito dopo e assieme al suo "padrone" risucchiato un mondo fantastico, ideale proiezione delle fantasie di gloria di Chischiotte.
I due cineasti Keith Fulton e Louis Pepe sono, nella vita e sul set, stretti collaboratori di Gilliam; il loro sodalizio comincia nel 1995, quando il duo gira lo splendido documentario "The Hamster Factor and other Tales of Twelve Monkeys", lungo ed accurato dietro le quinte de "L'Esercito delle 12 Scimmie" nel quale vengono ripercorse tutte le tappe che hanno portato alla sua realizzazione, descrivendo nel dettaglio lo stile e le ossessioni di Gilliam e il suo burrascoso rapporto con lo studio system; impressionato dal lavoro dei due, l'autore gli invita a girare anche il dietro le quinte dell'adattamento del romanzo di Cervantes, dando loro libero accesso ai set e agli uffici della produzione; il risultato è una cronaca amara di un disastro annunciato, che parte come semplice opera illustrativa per poi divenire, da circa metà film in poi, vera e propria testimonianza delle sciagure che si abbattono su Gilliam e soci.


Quello di Fulton e Pepe è un ritratto immediato della lavorazione di una pellicola troppo grande per essere prodotta fuori da Hollywood; e, al contempo, il ritratto di un regista flagellato dalla fortuna eppure sempre, costantemente determinato a portare in scena la sua visione. Dalle immagini e dalle testimonianze raccolte, si può però discernere più di un elemento che ha portato alla disastrosa chiusura del progetto e persino individuare qualche responsabilità "scandalosa".
In primis, Gilliam si lascia trasportare da una "volontà di potere" ai limiti dell'autodistruttivo; non si fa mistero di come inseguisse il progetto sin dal 1991, ossia dieci anni, durante i quali il Chischiotte gli è letteralmente cresciuto sotto pelle sino a diventare non un semplice adattamento del romanzo, quanto una sua vivace rilettura. Pur di dar vita a questa sua visione, l'autore compie un passo per lui inedito e in definitiva fatale: abbandona Hollywood e decide di far produrre la pellicola ai soli partner europei; scelta coraggiosa, il cui azzardo non paga sin dall'inizio: dei 70 milioni di dollari necessari, la produzione riesce a trovarne solo 32, ossia meno della metà; compromesso che porta l'autore a dover rinunciare a parte delle sue celebri trovati visive e a lavorare con mezzi ai limiti della fortuna; sopratutto, Gilliam è costretto per contratto a tenere nel cast Depp e Rochefort, obbligo che porterà al definitivo aborto.


Oltre al compromesso, Gilliam deve poi confrontarsi con l'impossibilità fisica di gestire una produzione transnazionale, con attori dislocati tra Los Angeles e Londra, costumi e scenografie costruiti in Italia e locations spagnole; frammentazione che porta alla creazione di piani di lavorazioni-capestro, nel quale la tempistica delle riprese viene calcolata al secondo tenendo conto degli impegni degli attori, in particolare di Vanessa Paradis, all'epoca diva del glamour e croce per l'intera produzione, i cui impegni come modella portano più volte alla riscrittura dei piani. Tanto che i ritardi avvicinano la prima fase della produzione ad un'esperienza già vissuta dal grande autore: la burrascosa lavorazione del capolavoro "Le Avventure del Barone di Munchausen" (1988), vero e proprio tormentone che si affaccia più volte nella mente di Gilliam e del quale spera non si verifichino nuovamente i medesimi problemi; malauguratamente per lui, i guai di "Quixote" saranno maggiori e fatali.
I ritardi trasformano la pre-produzione in un vero e proprio caos nel quale non si ha la certezza dell'effettiva disponibilità di un attore, tantomeno una sua prova costume che non sia fatta a ridosso delle riprese, come quella di Rochefort, più volte "assente ingiustificato" dal set. Ed è qui che l'ostinazione dell'autore comincia a rivolgersi contro sé stesso: incapace di trovare un sostituto per l'attore francese ed ancorato dal contratto che ne prevede la necessaria partecipazione, Gilliam si ritrova più e più volte frustrato a causa degli impegni di Rochefort, tanto da passare tutta la fase antecedente le riprese senza quasi mai incontrarlo.
Tuttavia, se tali disguidi e lungaggini sono imputabili ad una cattiva organizzazione e alla pessima idea di girare un blockbuster all'interno di un sistema produttivo incapace di farvi fronte, ciò che accade a inizio riprese è semplicemente etichettabile come "sfortuna" o "calamità", la cui esistenza di sicuro non è imputabile all'autore, ma i cui effetti saranno devastanti; ed è a questo punto che il film di Fulton e Pepe si fa più emozionante.


Vi è una leggenda riguardo il "Don Chisciotte" di Cervantes: nell'ultima pagina del romanzo, l'autore pare maledire chiunque osi modificare la storia così come lui l'ha raccontata. Una maledizione che, prima di Gilliam, ha colpito nientemeno che Orson Welles: anche lui può rientrare nella classifica dei registi che non hanno potuto creare un'opera da loro fortemente voluta; e anche lui ha cercato di portare su schermo una sua rilettura del romanzo di Cervantes. Entrato ufficialmente in produzione nel 1965, il Don Chisciotte wellesiano fu anch'esso funestato da una serie di ritardi e defezioni che ne allungarono le riprese all'infinito, tanto che il grande regista finì per poterlo girare di quando in quando, ogni volte che poteva permettersi di riunire il cast e la troupe in Spagna ed arrivando sinanche a riciclare magazzini di pellicola che li erano avanzati da altri.
La maledizione si abbatte anche su Gilliam, ma questa volta in modo più netto e risoluto: il secondo giorno di riprese una tempesta si abbatte sul set danneggiando le attrezzature. Nei giorni successivi, il tempo è instabile e continuare a girare è impossibile dato il forte cambio di luci e dell'aspetto fisico delle locations; in ultimo, Jean Rochefort è costretto ad abbandonare le riprese a causa di una duplice ernia al disco che gli rende impossibile recitare a cavallo. Dopo il danno, la beffa: la compagnia con cui la produzione si era assicurata non riconosce alla stessa nessuna forma di copertura, non risarcisce i danni subiti ed arriva finanche a pignorare costumi e la sceneggiatura scritta da Gilliam e Tony Grisoni.


La cronaca di Fulton e Pepe è diretta e senza filtri; dinanzi alla loro videocamera, tutti si confessano e mostrano gli atteggiamenti più spiacevoli senza sensazionalismi, nè pudore; su tutto, è la defezione di Phil Patterson, assistente alla regia di Hollywood e all'epoca collaboratore fidato di Gilliam, a suscitare più sensazione: l'unico uomo difeso ad oltranza dall'autore lo abbandona a causa dell'impossibilità di continuare la produzione nel modo voluto dal regista.
Nel caos generatosi "in diretta" dinanzi agli occhi dei due registi, emerge fulgida e spiazzante la figura di Gilliam, non tanto nelle vesti di semplice regista, ma di autore capace di tutto pur di dar vita alla sua visione; un uomo eccentrico, eppure posato, vulcanico ma mai umorale, in grado di mantenere la calma anche nelle situazioni più avverse e di non scaricare la colpa delle proprie mancanze sugli altri; né, ed è questo ciò che meraviglia di più, di arrendersi dinanzi alla "maledizione" che porta alla cancellazione di intere giornate di lavoro.
Ed infatti, "The Man who killed Don Quixote" è tutt'ora in lavorazione: pur rimasto in un limbo produttivo durato quattordici anni, il progetto pare sempre sul punto di realizzarsi, ora con John Hurt nel ruolo del Gentiluomo di La Mancha; sperando per Gilliam che almeno questa volta sia quella buona.

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