di Robert Eggers.
con: Anya Taylor-Joy, Ralph Ineson, Kate Dickie, Harvey Scrimshaw, Ellie Grainger, Sarah Stephens.
Usa, Canada, Inghilterra, Brasile 2015
---CONTIENE SPOILER---
Nel cinema horror è facile giocare con le aspettative dello spettatore, spiazzarlo a tradimento per creare spaventi ad hoc che durano solo poche frazioni di secondo o, peggio, basare storie e personaggi su di una presunta inconciliabilità tra reale e fantastico per poi creare colpi di scena improbabili al solo scopo di fare colpo su chi osserva. E' facile, è comodo ed è stilema abusato sino alla nausea.
Forse proprio per questo un film come "The Witch" riesce davvero a colpire duro: Robert Eggers, al suo esordio, rischia davvero, si mette in gioco anima e corpo in un'impresa ardua ai limiti del parossistico e, quasi contro ogni probabilità, riesce perfettamente a conciliare due anime, due stili e due modi di intendere la narrativa di genere apparentemente inconciliabili: la rielaborazione orrorifica e la messa in scena realistica.
Perchè il lavoro alla base del film è inusuale ed imponente: la trama è basata sui diari, resoconti, cronache e trascrizioni di processi ed atti che hanno coinvolto la prima isteria di massa concernete la stregoneria nel Nuovo Mondo. La ricostruzione storica (gli eventi si svolgono nel 1630 circa, ai tempi delle prime colonie inglesi nel New England) è ossessiva, con abiti cuciti a mano e scenografie assemblate secondo le usanze dell'epoca. Il linguaggio usato dai personaggi è esattamente quello del tempo, sia per terminologia che per sintassi. Ogni animale che appare su schermo è vero, addestrato ma mai coartato o "aggiustato" in post-produzione. Così come la fotografia dai colori desaturati e freddi non fa mai ricorso a color correction digitale fasulla, al punto che le immagini sono talmente vive da sembrare prese da un anacronistico documentario d'epoca.
Verosomiglianza estrema nella messa in scena che permette a Eggers di rendere ancora più credibile una storia affascinante, condotta con mano ferma, che riesce ad inquietare con poco e a spiazzare costantemente.
"The Witch" è una storia di streghe, ma anche una storia sull'isolamento. E' una storia di orrore nel senso più sottile del termine, dove ogni effettiva certezza circa gli eventi viene costantemente negata su di un piano oggettivo. E' lo spettatore che deve prendere una posizione su quanto mostrato: esiste davvero una congrega di streghe che si prende gioco della famiglia della giovane Thomasin? O forse la loro è solo superstizione corroborata dagli stenti? La malattia che ha colpito il raccolto causa loro allucinazioni incontenibili o forse la sparizione del piccolo Samuel è davvero dovuta ad una strega che ne ha fatto un unguento? Non ci sono certezze, solo sensazioni.
Più che mettere da parte la ragione, lo spettatore è chiamato a calarsi totalmente nel mondo al di là dello schermo e ad interrogarsi costantemente su ciò che accade o che è accaduto. Eggers, dal canto suo, riesce sempre a glissare al momento giusto, a cambiare scena senza risultare pretenzioso: il suo è un gioco pulito, mai compiaciuto, non cerca lo spavento facile, né la finta complessità di molti horror psicologici.
La paura, in "The Witch" è pressocchè costante, data da piccoli gesti, sguardi e dal comportamento del cast umano e animale. Su di un primo piano (narrativo ed emotivo) troviamo le relazioni familiari, complesse e stratificate. Il periodo storico è indice di quella stessa complessità: il XVII secolo delle Colonie Inglesi, abitate da puritani che cercano di professare liberamente una fede troppo grande per poter trovare il giusto spazio nell'Inghilterra dei Lumi. Un mondo dove la mondanità viene aborrita, al punto che il pater familias William (Ralph Ineson) decide finanche di allontanarsi dalla colonia per trovare rifugio ai margini del bosco. Il nucleo familiare diviene quindi il solo teatro d'azione, con tutte le conseguenze possibili. Ad imprimere un colpo allo stato mentale dei personaggi è così la costante paura della caduta dallo stato di grazia, acuita dall'essere, in fin dei conti, già dei reietti. La paura di un male insito in ogni piccolo gesto comincia a corrodere i loro spiriti e a creare un primo velo di paranoia. Un paura causata proprio dalla loro fede, che li porta a vedere in ogni atto lo zampino del male.
Paranoia che si acuisce a causa dell'isolamento e che trova terreno fertile nelle relazioni e nello stato mentale dei quattro figli. La primogenita Thomasin (Anya Taylor-Joy) è entrata nella fase puberale, il suo corpo sfugge al suo stesso controllo e perde quel sangue che tanto spaventa chi le sta attorno. Il secondogenito Caleb (Harvey Scrimshaw), anch'egli vicino a diventare un piccolo uomo, comincia a provare un'insana attrazione per il corpo della sorella maggiore. Mentre i piccoli gemelli Mercy e Jonas, ancora bambini, si divertono a parlare con gli animali e a far finta di essere davvero in contatto con qualcosa di sovrannaturale.
L'incontro con l'inusuale crea un secondo livello di tensione, questa volta più sottile e meno percepibile sul piano strettamente razionale; gli atteggiamenti degli animali che circondano la famiglia possono essere del tutto legittimi, ma nel contesto in cui questa si muove sembra far presagire altro, un piano o un disegno diabolico, che si riverbera nella mente dei personaggi. L'iconografia satanica ha così le forme, ovvie ma lo stesso genuinamente spaventose, del caprone Black Phillip, ma anche quelle inedite di una lepre, il cui sguardo spaventato sembra celare altro.
Un terzo livello di tensione si ha negli episodi e nelle visioni che costellano la vita dei personaggi. Le immagini delle streghe intente a servirsi della carne dell'infante o ad attrarre a sé le vittime sono volutamente oniriche, lontane dalla messa in scena del resto del film, site a quel confine tra il verosimile ed il fantastico impossibile da razionalizzare e per questo al contempo reali e fasulle. I dialoghi sulla stregoneria portano al sospetto, a far esplodere quella paranoia montante in un doppio climax disturbante: da un lato la "possessione" di Caleb, sequenza di una semplicità disarmante e proprio per questo infinitamente efficace; dall'altra l'apparizione, anch'essa ammantata di onirismo, della strega nella stalla. E proprio quando una certezza sembra materializzarsi, Eggers vira nuovamente verso il verosimile, senza però sovvertire necessariamente quanto visto o quanto lo spettatore abbia deciso di credere di aver visto sino a quel momento.
Tanto che la tensione e l'incertezza regnano sovrane sino alla fine, in modo sempre sottile e per questo insostenibile. Non c'è mai un vero calo, nell'ultimo atto, anche quando la vicenda sembra essersi sgonfiata. Non c'è tregua per lo spettatore, nonostante il ritmo sia sempre pacato, lento, inesorabile.
"The Witch" finisce così per vivere davvero di opposti complementari: lento, ma costantemente teso, semplice e al contempo complesso, lineare eppure stratificato, realistico seppur pregno di visoni demoniache ed oniriche. Un horror atipico, originale seppur non innovativo (le influenze di "Antichrist" e di molto cinema di Roman Polanski, forse non volute, sono lo stesso avvertibili), diretto con mano sicura da un esordiente che padroneggia alla perfezione la materia e il mezzo. Uno sguardo lucido ad un passato fosco, talmente spaventoso da riuscire a spiazzare persino Stephen King, che ne ha lodato sperticatamente le doti, così verosimile da venir lodato persino da vere congreghe di satanisti.
Visivamente splendido, raffinatissimo, recitato benissimo... anche un po' furbo, ma che un film così complesso raggiunga un pubblico così vasto è una testimonianza del suo valore
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