sabato 20 maggio 2017

Song to Song

di Terrence Malick.

con: Michael Fassbender, Ryan Gosling, Rooney Mara, Natalie Portman, Cate Blanchett, Patti Smith, Holly Hunter, Bérénice Marlohe, Val Kilmer, Lykke Li, Louanne Stephens.

Usa 2017


















C'è qualcosa in Malick che spaventa il pubblico; qualcosa che lo spiazza sin nel profondo, che lo agita, causandone reazioni di odio viscerale incontrollato e molto spesso ingiustificato.
E' la coerenza, la sua capacità di portare avanti un discorso di de-costruzione della grammatica e del sistema di messa in scena (anche sul piano produttivo) che nel cinema ordinario oramai è del tutto sparito. Perché relegato Godard a pura "merce da festival", con Herzog dato quasi per disperso e con Lynch e Wong Kar-Wai oramai ai limiti del ritiro dalle scene, è lui l'ultimo cineasta di una certa fama in grado di poter sezionare il mezzo cinematografico per eviscerarne gli schematismi, bandirli e ricrearlo a nuovo linguaggio. Un linguaggio così lontano dalla narrazione filmica ordinaria che lo spettatore comune, oramai abituato alla comodità del dialogo come mezzo di narrazione al posto della pura immagine e quindi disabituato alle forme estreme del cinema d'autore, non può che sentirsi disorientato dinanzi a pellicole che ne richiedono l'apertura mentale e sensoriale per poter essere davvero comprese, prima ancor che apprezzate.



Non stupisce di conseguenza l'astio virulento contro i suoi ultimi lavori; se il pubblico si era lasciato incantare per una volta dalle ipnotiche immagini di "The Tree of Life", complice anche la pubblicità dovuta alla meritata vittoria a Cannes, altrettanto non ha fatto, neanche in sede di quegli stessi festival che lo osannavano, con i successivi "To the Wonder" e "Knight of Cups". E a torto, perché, sebbene il primo risulti come un'opera ambiziosa e malriuscita, è comunque palese come lo stile di Malick sia in continua evoluzione e come riesca a comunicare sempre qualcosa di nuovo anche quando le sue immagini finiscono per somigliarsi.



"Song to Song" diviene così un punto d'arrivo, nonché un'eccezione nella sua filmografia, sopratutto su di un piano tematico. Se nelle precedenti opere Malick narrava storie che intrecciavano il quotidiano con l'universale, si faceva trascinare dalla contemplazione e dai ritmi di un mondo naturale avulso da ogni conflitto umano e non o narrava la vita di un uomo comune raffrontandola al mito, ora il suo sguardo si posa su quei sentimenti e quei rapporti squisitamente umani di cui i suoi personaggi sino ad ora hanno vissuto, ma lasciandoli relegati su di un piano strettamente terreno, quasi del tutto materiale, come ai tempi del suo esordio "Badlands" (1972) ed avvicinandosi in parte al cinema di Wong Kar-Wai. Ed il risultato è ancora una volta straordinariamente riuscito.



Malick segue un pugno di personaggi le cui storie, in realtà, sono trite e gli archi caratteriali talvolta prevedibili. Fulcro della vicenda è il produttore musicale Cook (Fassbender), che intraprende una relazione amorosa con l'aspirante musicista Faye (Rooney Mara) ed amicale con BV (Gosling), anch'egli artista dilettante in cerca di affermazione ed anch'egli innamoratosi di Faye; Cook si innamora poi perdutamente della bellissima cameriera Rhonda (una Natalie Portman bionda ed incredibilmente sensuale), che trascina in un vortice di perdizione. A fare da sfondo, il mondo del businness della musica, con Iggy Pop che ricorda i corteggiamenti da parte dei produttori e Patti Smith che fa da nume tutelare alla giovane aspirante artista.



Già sulla carta, la storia in sé non dice nulla di nuovo; ed anzi, l'arco narrativo che vede protagonista Ryan Gosling ricalca in parte quello da lui attraversato in "La La Land". E' lo stile di Malick che ovviamente fa passare la storia in secondo piano, lasciando tutto lo spazio ai personaggi e alla loro interiorità.
Non c'è qui la propensione verso l'assoluto, la ricerca spasmodica di un "qualcosa" di più grande. I protagonisti sono semplicemente in cerca di sé stessi, di un'affermazione individuale e di una relazione. Il sentimento amoroso, da tramite, si fa traguardo sempre più arduo non tanto da conseguire, quanto da trattenere. Il girotondo di amori, di storie che iniziano e finiscono è infinito, tanto che persino il finale si perde volutamente nella contemplazione di una pura possibilità.
L'anima dei personaggi si fa ancora più smarrita proprio perché, paradossalmente, privata di una tensione ultraterrena; e quando questa tensione viene riscoperta, porta a conseguenze tragiche, ossia non salva l'anima e la carne di chi la possiede. L'immanenza, con l'instabilità propria del sentimento, si fa nuovo terreno di gioco di quei sentimenti che Malick aveva in parte esplorato in "To the Wonder"e che qui divengono pieni protagonisti.



La contemplazione del caos amoroso, di queste vite nelle quali la ricerca della libertà porta alla totale frammentazione sentimentale comporta anche un cambio di stile; la natura con i suoi ritmi, i panorami metropolitani, gli interni lussuosi, quegli sfondi che divenivano in passato simboli e significati, veri protagonisti, ora restano tali, ossia sempre relegati in secondo piano; così come il mondo della musica, dei festival e dei concerti non è che una tela sulla quale si muovono i sentimenti; mai come prima lo sguardo di Malick si era avvicinato anche fisicamente ai volti ed ai corpi dei suoi personaggi, che divengono adesso i veri panorami, le vere visioni di un'infinito possibile, per quanto paradossale.



Ed in tale avvicinamento, Malick riesce perfettamente a dar corpo al flusso di coscienza che li attraversa, sino ad eviscerare quell'inquietitudine che li permea. "Song to Song" diviene così un film di volti e corpi prima ancora che di sensazioni, che grazie al trasporto totale del cast si fa perfetta rappresentazione di quel mondo interiore tanto piccolo eppure tanto vasto, in una coerenza stilistico-contenutistica perfetta.



Mancano, è vero, le ambizioni del passato, così come la tensione verso quella bellezza estetica data dall'immagine che ne ha da sempre caratterizzato lo stile. Eppure, ritagliandosi uno spazio più piccolo, Malick riesce perfettamente nella sua operazione intimista, senza eccedere e senza sbavare, in un equilibrio perfetto, trovando una nuova grandezza.

Nessun commento:

Posta un commento