sabato 8 luglio 2017

Spider-Man: Homecoming

di Jon Watts.

con: Tom Holland, Robert Downey Jr., Michael Keaton, Marisa Tomei, Jon Favreau, Gwineth Paltrow, Zendaya, Donald Glover, Jacob Batalon, Bokeem Woodbine, Tony Revolori.

Supereroistico/Azione

Usa 2017













---CONTIENE SPOILER---

Far deragliare non una, ma  ben due saghe con protagonista l'Arrampicamuri Scarlatto non è cosa da poco; se poi contiamo anche l'annichilimento dell'eredità di "Ghostbusters" che giusto un anno fa floppava nelle sale, ci si rende subito conto di come Amy Pascal sia una produttrice a dir poco pessima, che antepone il suo stentato gusto estetico e la sua dubbia visione sociale a tutto, solo per distruggere ogni forma di credibilità dei progetti ai quali prende parte.
Ma la Sony non poteva lo stesso lasciar andare la sua gallina dalle uova d'oro, quell'Uomo Ragno che a sorpresa ha infranto ogni forma di record di incassi grazie alla trilogia originaria di Raimi; tuttavia, vista la pessima accoglienza riservata a "The Amazing Spider-Man 2", come fare per ritrovare la credibilità necessaria, sopratutto con il grande pubblico? Semplice: creare ad hoc una join-venture con la Marvel Studios di Kevin Feige, il quale da anni smaniava per la creazione di un suo film su Spider-Man, solo per creare l'ennesimo reboot, questa volta totalmente concepito, sul piano della storia, dagli autori della Marvel.
Il titolo recita trionfale "Homecoming", ossia "il figliol prodigo è tornato a casa", mentre la Pascal annuncia ancora più trionfante l'avvio di un film su Venom con protagonista Tom Hardy che sarà ambientato nel medesimo universo (quindi nel MCU, di conseguenza), con grossa sorpresa di Feige e forte del tam-tam mediatico positivo che il film ha ottenuto sul web già all'uscita del suo primo trailer.
Ma con questo "Homecoming", scritto e diretto da un pugno di nullità che sul curriculum hanno giusto qualche commedia (alcune delle quali ben riuscite, altre decisamente meno) ed episodi di serie tv, al cui confronto Marc Webb sembra Takashi Miike, sono davvero riusciti a creare una pellicola quantomeno decente? A confezionare un film di intrattenimento intelligente o perlomeno non offensivo verso i neuroni dello spettatore? O questo secondo reboot è un semplice film accalappia-biglietti, privo di sostanza alcuna, come da tradizione dei Marvel Studios?
La risposta è un secco si a tutte queste domande, con tutte le immaginabili conseguenze, non per forza positive: la sostanza c'è, ma è di cattiva natura.




La sensazione che si ha durante tutta la visione, è quella di un rimando costante (ed a tratti esplicito) ad un determinato tipo di cinema: quello fantastico anni '80, che da "Stranger Things" in poi sembra aver colonizzato nuovamente ed a forza le menti degli spettatori di ogni età. Ma se, ad esempio, nei due "Guardiani della Galassia" quell'immaginario pop colorato e picaresco veniva ripreso come modello da imitare su di un piano estetico-narrativo, qui le cose sono un pò più sinistre. Non è tanto quel tipo di immaginario ad essere ripreso, quanto lo spirito egocentrista ed edonista che spesso soggiaceva a tale cinema di intrattenimento.
Lo Spider-Man che Feige, la Pascal, Watts e i sei (!!!) sceneggiatori portano in scena è, ed era ovvio aspettarselo, una versione estesa del ragazzino  petulante visto in "Captain America: Civil War". Peter Parker ha il volto monoespressivo di Tom Holland, che non riesce a trasmettere una sensazione o un'emozione che non sia un mix tra il preoccupato e lo stupefatto praticamente mai, anche se a sua discolpa va sottolineato come abbia avuto ben poco con cui lavorare.
Peter ha 15 anni e va al liceo e qui arrivano i primi problemi di scrittura e messa in scena: tornano tutti i luoghi comuni del caso; è innamorato di una ragazza "bella ed impossibile", perché lui è al solito un nerd sfigato; ha un amico sovrappeso e chiaccherone (Jacob Batalon), che vorrebbe fare il verso alle "spalle" dei supereroi nelle serie della CW, ma non riesce mai ad essere davvero simpatico, né ha la caratterizzazione sfacettata che le controparti che vorebbe imitare di solito hanno, limitandosi ad essere una spalla comica d'accatto, che fa ridere perché grasso (!); ed ovviamente c'è il bullo Flash Thompson, che come al solito si diverte ad umiliarlo. Non si capisce poi perché il Peter Parker qui ritratto debba essere considerato uno sfigato: è un nerd in una scuola dove persino il bullo è un genio dai voti alti; anzi, l'unico motivo di rivalsa che questi ha su di lui è il fatto di essere economicamente affermato; si affaccia così lo spettro di quel cinema reaganiano: Peter Parker viene bullizzato perché povero, perché non è figlio della classe dirigente.




Se già il coacervo di "già visto" e cattivo gusto sarebbe sufficiente a rendere la visione noiosa ed esasperante, questa si fa del tutto ilare quando ci si rende conto che, a causa della filosofia ultra-liberl e finto progressista della Pascal, tutti questi personaggi sono "etnici"; l'amore di Peter è una ragazza di colore, l'amico è haitiano e Flash è indiano; se suoi primi due si può tranquillamente soprassedere, fa davvero ridere vedere Parker preso a sfottò da un ragazzetto che sembra una versione da discount di Dev Patel, che non ha né il fisico né la faccia per essere pericoloso e ci si arriva finanche a domandare perché non lo si zittisca con un paio di sberle. Sono lontani i tempi in cui il bullo era una massa di muscoli con la faccia di un giovane Joe Manganiello o quando Flash Thompson riusciva ad avere un arco caratteriale completo. Di converso, vedere come nel Queens gli unici due bianchi rimasti siano Peter e la zia May fa spanciare dal ridere. Persino il rimando ad MJ che si ha verso la fine è del tutto ridicolo.
La love-story, solitamente pezzo essenziale nei film sull'Uomo Ragno, qui resta sempre in secondo piano, forse anche per l'incapacità di Watts e soci di creare una narrazione che sia davvero coinvolgente o credibile; certo è che quando finiscono per parodizzare le situazioni viste nella trilogia di Raimi, ci si accorge davvero della loro pochezza.




La caratterizzazione dell'alter-ego, dell'Arrampicamuri tanto amato da grandi e piccini, è, se possibile, anche peggiore. Nella trilogia originale di Raimi, pur con i suoi difetti di scrittura, l'eroe era un ragazzo comune che decide di sacrificarsi per il bene degli altri; nel dittico di Webb è un ragazzo che decide di fare del bene a causa dei traumi subiti. Qui è invece un semplice ragazzino che cerca il beneplacito della figura paterna, quell'Iron Man di Robert Downey Jr. che da buon miliardario egocentrico e bamboccione risulta davvero poco credibile come punto di riferimento (ed "Homecoming" è il terzo film, quest'anno, a trattare la tematica paterna tramite le figure superoisitche, dopo "Logan" e "Guardiani della Galassia vol.2", ed a conti fatti è il meno riuscito).
La catarsi si ha quando questo personaggio trova la forza di andare avanti senza l'aiuto di altri, davvero poca cosa; non ci si sente mai coinvolti dalle sue gesta appunto perché totalmente subordinate ad un piano egoistico ed egocentrico; né ci si può identificare più di tanto con un personaggio che, tolta, la maschera, è un semplice adolescente sfigato perché povero, a meno che, naturalmente, non si sia nella fascia d'età per la quale tale storia sembra essere concepita, quella pre-adolescenziale.
Ed è proprio la ripresa del modello di Tony Stark come ideale da seguire che rimarca la componente reaganiana del film, aggiungendo cattivo gusto a cattivo gusto. Certo, alla fine Spidey capisce che i soldi, la fama ed il costume high-tech non sono nulla, ma questa sua realizzazione passa sempre attraverso una lezioncina che il buon Tony vuole insegnarli; che appare del tutto vana se si tiene conto di come sia lui il primo personaggio a non essere nessuno senza l'armatura e che non dona comunque credibilità al personaggio, che non ha appunto un'identità che non sia un riflesso di qualcos'altro, di un desiderio di affermazione, di successo per il successo; che non ha, in sostanza, un indice morale vero e proprio, alla faccia dell'epiteto di "supereroe" che gli si dovrebbe affibbiare.
L'unica cosa buona che deriva da tale "riqualificazione" del personaggio sta nel fatto che almeno questa volta si sono risparmiati la sua origin-story: raccontarla per la terza volta sarebbe stato davvero troppo.




Il villain, d'altro canto, è l'unico personaggio davvero ben scritto e che riesce ad essere credibile. L'avvoltoio, che Raimi avrebbe voluto con il volto di John Malkovich, qui ha quello di un Michael Keaton che con autoironia diventa un vero "Birdman" e che gli dona il suo naturale carisma. Abbandonata la caratterizzazione che aveva nel fumetto, quella di un criminale rivale del Kingpin che usava il costume da volatile per compiere furti e, ad un certo punto, per rubare la giovinezza altrui, Tooms è qui un lavoratore che si vede soffiati gli appalti per la ricostruzione della città dopo l'attacco dei Chitauri in "The Avengers" da una grossa società e decide di darsi al contrabbando di armi costruite usando i resti dei manufatti alieni pur di mantenere la sua famiglia. Al di là delle motivazioni con cui gli autori ne giustificano le gesta, è forte la sensazione di inversione di ruoli tra buono e cattivo che il personaggio stesso sottolinea verso la fine: perché lui è considerato un cattivo quando Tony Stark fa il suo stesso mestiere, solo alla luce del sole? Ambiguità morale che gli sceneggiatori buttano subito nel cestino, avendola tirata fuori solo per dargli una momentanea tridimensionalità; fatto sta per lo spettatore con un neurone funzionante è facile accorgersi di come tale differenza sia nulla e che, come accadeva in "Doctor Strange", anche qui i "buoni" non sono tali, ma sono meri protagonisti egocentrici e sbruffoni, quasi dei bulli il cui status quo di superdivi permette loro di giustificare ogni manchevolezza.




Watts dal canto suo non se la cava neanche tanto male quando non deve dirigere gli attori; le scene d'azione non mancano e sono coreografate a dovere, anche se dirette un pò "con il pilota automatico", mancando di vera tensione; così come vera tensione latita nella scena in cui l'eroe scopre la vera identità del villain, vera e propria scopiazzatura della scena omonima che si aveva nel primo Spider-Man di Raimi, dove però la regia faceva funzionare al meglio il tutto. Del tutto ridicola, invece, la scena d'inseguimento con uno Spider-Man che guida un'Audi nuova fiammante, inserita con l'unico scopo di dare spazio agli sponsor.
Il curriculum degli sceneggiatori, d'altro canto, parla chiaro: "Piovono Polpette 2" ed "Horrible Bosses", i sei autori sono specializzati in commedie para-demenziali ed i risultati si vedono: per tutta la prima parte del film non c'è una scena in cui Spider-Man non venga usato come uno strumento comico, arrivando finanche a rifare un'intera sequenza (omaggiata esplicitamente) di "Ferris Bueller's Day Off"; con la conseguenza che, ancora, la tensione latita e, ancora peggio, l'esito umoristico è davvero scarso. Semplicemente da schiaffi è poi la trovata usata per la canonica seconda scena post-crediti: non potendo rifare quella del film con Matthew Broderick, già parodizzata in "Deadpool" con ottimi esiti, i sei "geni" decidono di crearne una ad hoc con un inedito Capitan America che si diverte a prendere per i fondelli gli spettatori, davvero un gesto chiarificatore del rispetto che provano verso chi paga.




Gioiscano dunque i bambini: Spider-Man è tornato ed il suo brand è salvo per almeno un altro decennio. Gioiscano i fanboys: questo Spider-Minchietto è stato concepito per permettere loro di identificarsi meglio, una maschera bianca che venera come loro Robert Downey Jr. e la sua filosofia di vita utilitarista ed egocentrista.
Gli spettatori più svezzati o semplicemente intelligenti, ben farebbero invece a stare alla larga da un tale misero spettacolo. E magari a rivedersi la trilogia di Raimi, che pur con tutti i suoi micidiali difetti, a confronto di un tale insulto sociale, era puro cinema d'autore.



EXTRA

Quando fu annunciato il primo reboot su Spider-Man, Donald Glover, all'epoca sulla cresta dell'onda grazie al successo di "The Community", annunciò ufficialmente che avrebbe voluto essere ingaggiato per interpretare Peter Parker.



"Autocandidatura" che i fandom accolsero con calore: Glover aveva dimostrato di avere le giuste tempistiche comiche per il personaggio e, oltre ad essere un suo fan sfegatato sin da bambino, aveva il fisico ed il volto giusto per essere credibile nei suoi panni. La Pascal decise però di ingaggiare Andrew Garfield, scelta che poi si rivelò vincente, lasciando però l'amaro in bocca all'attore afroamericano.
Deragliata anche la serie di "The Amazing Spider-Man", il nome di Glover tornò ad essere invocato a gran voce per impersonare l'Arrampicamuri nel MCU, magari nei panni di Miles Morales, lo Spider-Man "etnico" che tanto successo ha riscosso (giustamente) negli ultimi anni.
Come hanno reagito a tale entusiasmo l'ultra-liberal nazi-progressista Amy Pascal e quel Kevin Feige pur membro di una casa editrice che negli ultimi anni ha generato polemiche ed ilarità a causa della conversione forzata dei suoi supereroi in stereotipi delle minoranze razziali?
Semplice: hanno scelto un attore bianco del tutto inespressivo come protagonista e relegato il buon Glover in un ruolo totalmente ancillare; per di più ai limiti dello stereotipo razziale: un drogato che vuole acquistare armi.
Inutile sottolieneare la mancanza di coraggio e coerenza. Fa però male vedere un talento del genere totalmente sprecato su Grande Schermo, sopratutto quando persino i fan ammettono di desiderare di vederlo nei panni del protagonista, per una volta a ragione.


4 commenti:

  1. La cosa più trash del MCU è che i film stand-alone (o la maggior parte di essi), alla fine non sono altro che un continuo riciclaggio del primo film di Iron Man.
    La formula è sempre quella ovvero: prendere un personaggio di serie B o semi-dimenticato, interpretato da un attore di serie B o semi-dimencato.
    Farlo combattere contro un villan genericamente cattivo che dura un solo film.
    Far dire al protagonista tante battutine e soprattutto farlo parlare genericamente di scienza.
    Inserire Stan Lee in cameo da qualche parte.
    Inserire un fascio di luce blu verso il cielo.
    Costringere lo spettatore a sorbirsi un'infinità di titoli di coda per vedere qualche scena extra (di solito per preparare il terreno al prossimo film degli Avengers)-
    Alla fine la domanda sorge spontanea: se il primo Iron Man fosse stato un flop al botteghino, di conseguenza non ci sarebbe stato il film degli Avengers e pertanto niente MCU.
    Quindi Hollywood si sarebbe trovata nella terrificante condizione di dover sviluppare un idea originale?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Più che altro quella era la formula agli inizi: "Iron Ma n", "Iron Man 2" e "Thor" era così, privi di una vera storia. Eppoi l'hanno rifatto di recente con "Doctor Strange".
      Visti i risultati, tanto valeva farlo pure con l'Uomo Ragno.

      Elimina
  2. La tua recensione mi ha tolto tutti i dubbi che avevo riguardo al film.
    Già dal trailer mi sembrava (forse sbagliando) una trashata per bimbiminkia.
    Ora non ho dubbi.
    P.s.
    Da cineasta,regista, qual'è la tua opinione riguardo agli youtuber c.d."cinofili"in modo Federico Frusciante e Viktorlaszo88 (se sai chi sono)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Conosco solo il Frusciante: è molto preparato, le sue opinione sono quasi sempre valide; ha un unico difetto: è molto prevenuto verso determinati registi e fenomeni cinematografici, troppo "vecchia scuola". Ma per il resto, posso dire che è un grande.

      Elimina