sabato 19 settembre 2020

Mignonnes- Donne ai prmi passi

 Mignonnes

di Maimouna Doucouré.

con: Fathia Youssouf, Medina El Aidi, Esther Ghorou, Ilanah Cami-Goursoulas, Myriam Hamma, Maimouna Gueye.

Drammatico

Francia 2020











E' stato davvero troppo facile scandalizzarsi per "Mignonnes". E' facile fermarsi alla superficie, in questo caso al solo poster, per dare un giudizio morale su di un'opera che condanna lo sfruttamento del corpo femminile, percependola, al contrario, proprio come sfruttamento. D'altronde viviamo in tempi bui, dove si è impauriti dal corpo e dalla sessualità e per questo si tende a bollare come un tabù qualsiasi espressione dello stesso, a prescindere dal motivo che c'è dietro, mentre, al contempo, ci si diverte a scandalizzare spesso con provocazioni gratuite a sfondo sessuale che lasciano il tempo che trovano.
L'esordio di Maimouna Doucouré, invece, prende di petto il malcostume di mostrare corpi di infanti sessualizzandoli, prendendo una posizione netta e usando le immagini per creare sconforto, per far percepire in modo diretto tutta la mostruosità intrinseca in un comportamento del genere, sia da parte di chi osserva che, sopratutto, da parte di chi mostra.



"Mignonnes" è la storia di un duplice fallimento. Quello della società tradizionalista (in questo caso islamica e senegalese) e della società moderna nel concedere un posto di rispetto alle donne. Nella tradizione (incarnata nel racconto dal personaggio della zia) la donna è un orpello, un oggetto che l'uomo può collezionare a suo piacimento, senza avere però l'obbligo di rispettarla. E' dolorosa l'assenza della figura paterna nella vita della giovane protagonista Amy, così come l'assenza di entrambi i genitori per il personaggio, quasi speculare, di Angelica. La tradizione, ancora peggio, insegna che la donna, in quanto tale, è portatrice di un male intrinseco, un essere imperfetto e per questo perennemente soggiogato al suo ruolo di madre e moglie. L'alternativa, però, non è preferibile.



Nella società dei consumi e dei social, generalmente intesa, la donna diviene oggetto sessuale, corpo che deve muoversi in modo sinuoso e ritmato per ingenerare eccitazione, un puro strumento di piacere in fondo non tanto differente dall'oggetto domestico della tradizione. Un ruolo che, va sottolineato, non viene tanto imposto dalla figura maschile, quanto arrogato dalla stessa donna, che si vende come corpo da guardare. Da qui la sessualizzazione di quelle giovani ragazze, talvolta neanche ancora donne, le quali prendono a modello una finta forma di emancipazione. In Italia, per inciso, le chiamiamavamo "le ragazze di Non è la Rai", in America l'esempio perfetto è Millie Bobby Brown.



La storia di Amy e delle sue amiche è quella di una generazione lasciata allo sbando, priva di veri punti di riferimento che non siano asfissianti, che fa dell'apparire l'unico valore e della sessualità un gioco. D'altronde si parla pur sempre di ragazze che cercano di osservare il pene dei coetanei, ma che non sanno come si usi o a cosa serva un preservativo. Un gruppo di bambine i cui unici punti di riferimento sono adulti distrutti dalla mancanza di affetto (la madre di Amy) o in preda alla ad una bulimica mancanza di prospettive che si concretizza nella volontà di scandalizzare (il gruppo di liceali rivali). Da qui il rifiuto finale di entrambi i mondi, la ricerca, più auspicata che concretizzata visto l'uso di un registro onirico, di un modo di far convivere il proprio essere donna con una quotidianità normale, che non ne svilisca né sfrutti il ruolo o la figura.




Per questa presa di posizione netta e per il coraggio di ritrarre in modo crudo la realtà, "Mignonnes" andrebbe mostrato nelle scuole, magari per avviare un dialogo con quella generazione che sa solo collezionare i like o mostrarsi per quello che non è.

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