con: Rosanna Schiaffino, José Suàrez, Nino Vingelli, Decimo Cristiani, Tina Castigliano, Pasquale Cennamo, José Aspe, Elsa Valentino Ascoli.
Italia, Spagna 1958
Tra i vari filoni nati durante la stagione d'oro del cinema italiano, quello del cinema dell'impegno civile e politico è forse il più dirompente, non solo perché ha portato alla creazione di un genere vero e proprio (il film d'inchiesta, punto d'incontro ideale tra fiction e documentario), quanto per gli effetti indelebili che ha lasciato nel tessuto sociale, il quale sovente è stato scosso da opere pensate a tal fine, che portavano all'attenzione delle masse realtà scomode e spesso rimosse per il quieto vivere.
Se già il Neorealismo e persino la Commedia all'Italiana proponevano spaccati del costume, il Cinema Civile affrontava di petto questioni scottanti senza alcuna rielaborazione, portando davanti agli occhi del pubblico le malefatte, i complotti, lo squallore morale e talvolta persino materiale che circolava tanto nelle strade quanto nei palazzi del potere, con i loro intrighi, gli inciuci e le ruberie assortite sepolte sotto la coltre di omertà e di quella rispettabilità "sacrale" tanto propagandata dalla vecchia Democrazia Cristiana.
Una stagione in realtà mai conclusasi, visto che la filmografia a riguardo è praticamente l'unica che ha ancora una produzione attiva; e che ha portato alla creazione di film imprescindibili, oltre all'affermarsi di un pugno di autori le cui opere, benché figlie del loro tempo, sono tutt'oggi eclatanti persino sul semplice piano contenutistico, vista la forte arretratezza culturale che ha sempre caratterizzato il Belpaese. E il primo autore a dover essere citato a riguardo è il compianto Francesco Rosi, padre putativo di tutto il filone.
Campano d'origine, romano d'adozione, Rosi si forma artisticamente sotto l'ala protettrice di Luchino Visconti, per il quale scrive anche "Bellissima". La prima esperienza dietro la macchina da presa arriva precocemente, quando, nel 1952, completa la lavorazione di "Camicie Rosse" dopo la defezione di Goffredo Alessandrini. Esperienza che non lo porta immediatamente ad occupare la sedia di regista, la quale lo reclama solo nel 1958, quando dirige "La Sfida", suo effettivo esordio artistico.
"La Sfida" è un racconto che parte dalla lezione del Neorealismo e del dramma popolare per diventare subito altro, una storia a sé che riprende dai modelli di base poco o nulla. Quello di Rosi è uno stile crudo, che lo porta a guardare a fatti e persinaggi con distacco, come la materia pretende. E la storia alla base della trama è ispirata ad un fatto realmente accaduto, benché nei titoli di testa si dica il contrario: a Napoli, Vito Polara (José Suàrez) è un delinquente di bassa lega che vuole entrare nel giro del traffico ortofrutticolo, in mano ai fratelli Ajello; dei due, Salvatore (Pasquale Cennamo), il più impulsivo e violento, tenta subito di estrometterlo, ma torna su suoi passi dietro consiglio del più riflessivo Ferdinando (José Jaspe). Fatta fortuna e sposata la bellissima vicina Assunta (Rosanna Schiaffino), Vito decide di fare il classico passo più lungo della gamba...
Il termine "Camorra" viene pronunciato un'unica volta negli 83 minuti di durata, ma quello di Rosi è un perfetto antesignano dei moderni gangster-movie nostrani à la "Gomorra". Vito è il classico giovane rampante, un criminale che vive di piccoli espedienti ed ha un'ambizione più grande della sua stessa intelligenza. Il suo arco umano è classico, ma non scontato: la Camorra non tollera sgarri, la via della delinquenza porta facilmente alla fortuna e altrettanto facilmente alla morte. Nel ritrarre tale verità universale, Rosi porta in scena un mondo che fino ad allora si voleva ignorare o relegare quasi esclusivamente alla narrativa di genere. "La Sfida", in maniera opposta, è un film che vive alla luce del sole, che porta in prima piano le violenze che si consumano quotidianamente per le strade delle città e vuole dare spazio a quei personaggi squallidi che le popolano.
Lo sguardo di Rosi è, su di un primo livello, quello di un documentarista che usa il registro del dramma per parlare d'altro. Il suo racconto affonda le radici nella narrativa popolare, della quale però decide di ignorare i risvolti più frivoli. Si pensi alla storia d'amore con Assunta, interpretata dalla diva Rosanna Schiaffino, all'epoca superstar dei rotocalchi rosa di tutta la penisola; una storia che viene portata in scena con tutti i crismi possibili: gli sguardi teneri, l'inseguimento nella palazzina popolare, l'incontro focoso e il matrimonio da favola; ma che, alla fine, non è che una nota di colore che rende quel finale ancora più tragico ed il personaggio del protagonista ancora più deprecabile.
A Rosi interessa scandagliare la rete che intercorre tra l'impresa agraria e gli affari della criminalità organizzata ed è in tale aspetto che il film trova la sua perfetta dimensione, riuscendo a descrivere il mondo dei traffici e della co-dipendenza tra impresa locale e Camorra in modo talmente veritiero da risultare ancora attuale.
Tale denuncia, questa dissezione di un meccanismo simbiotico raccapricciante, viene poi immessa in una storia fin troppo umana; quello di Vito è in proposito la perfetta maschera della piccola delinquenza. Un uomo minuscolo, quasi ingenuo nella sua meschinità, un arrivista pronto a tutto pur di incartare qualche soldo. Un uomo la cui vita, alla fine, non vale niente, contrariamente a quanto lui pensa, essendo un egocentrico convinto di poter surclassare una famiglia criminale più esperta e potente. Tanto che alla fine, la vera vittima non è lui, quanto la sua neo-moglie il cui grido straziante chiude il film.
L'occhio di Rosi non si ferma alla mera cronaca degli eventi. Benché ricerchi sempre la verosimiglianza, non appiattisce la messa in scena sulle coordinate del laconico, anzi trova sempre la soluzione visiva migliore, con la conseguenza che "La Sfida" è un film bello anche sul piano strettamente estetico.
Il suo esordio resta quindi ancora oggi interessante: uno spaccato dell'Italia che fu e che per certi verso ancora è.
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