lunedì 6 maggio 2024

Interceptor


Mad Max

di George Miller.

con: Mel Gibson, Steve Bisley, Hugh Keays-Byrne, Joanne Samuel, Tim Burns, Roger Ward, Lisa Aldenhoven, Robina Chaffey, Paul Johnstone, Jerry Day, Vince Gil.

Azione

Australia 1979










Quando mise in cantiere il primo "Mad Max", George Miller, coadiuvato dall'amico produttore Byron Kennedy, di certo non aspirava a creare una vera e propria saga con protagonista il poliziotto violento interpretato da un giovane Mel Gibson. Questo primo film era in tutto e per tutto un divertissement stile Ozploitation come tanti di quelli che negli anni'70 affollavano i drive-in australiani e non, un perfetto (nonché magnifico) esponente del cinema di genere aussie tanto in voga in quegli anni in patria.
Un film minuscolo e strano sotto tutti i punti di vista, bizzarro anche per la media delle produzioni di genere australiane, figlio del talento, ma anche dell'inesperienza dei suoi autori. E la storia produttiva di quello che diventerà il primo capitolo della saga, così come la storia di come Miller è giunto al suo esordio nel lungometraggio, sono entrambe strane e complesse, come nella migliore tradizione per i cult movie.




Miller inizia una duplice carriera già divenuto diciottenne. Da una parte studia alla facoltà di medicina e inizia anche a lavorare come medico del pronto soccorso; ma dall'altra, il suo interesse verso il medium filmico lo porta ad avvicinarsi al mondo del cinema, in un periodo storico nel quale il cinema australiano inizia a sbocciare.
Fino alla metà degli anni '70, infatti, non esisteva una vera realtà produttiva nel mondo del cinema australiano, che si limitava a poche produzione interne, prediligendo la distribuzione di film esteri. Ma grazie agli aiuti e sgravi fiscali statali, esplode a circa metà del decennio una filmografia nazionale che vede come (quasi) assoluto protagonista il cinema exploitation, ossia quel cinema di genere basato sull'esagerazione e sullo sfruttamento dei trend, oltre che di tematiche e generi "tabù". Il che non impedisce ovviamente anche la nascita di un forma di cinema d'autore vero e proprio, come testimoniato dagli inizi della carriera di Peter Weir, che porterà per primo fama alla cinematografia nazionale con "Picnic ad Hanging Rock" già nel 1975.
Miller, dal canto suo, è più affascinato da un cinema più sperimentale e radicale. La sua esperienza come medico lo ha portato ad assistere agli effetti degli incidenti stradali sulle sterminate strade australiane, con corpi carbonizzati, sfracellati contro l'asfalto o ridotti in poltiglia dalle lamiere di auto e camion (il rapporto quasi carnale tra il popolo australiano e le autovetture era però già alla base di un altro film di buon successo di quegli anni, ossia "The cars that ate Paris", esordio proprio di Weir). Ed è questa la prima ispirazione per "Mad Max".
La seconda è invece data dalla crisi petrolifera che nei primi anni '70 aveva colpito praticamente tutto il mondo civilizzato, ma che in Australia aveva avuto effetti più marcati. La reazione delle autorità governative porta l'autore a dubitare della loro buona fede, fino a raggiungere la conclusione secondo la quale sono del tutto disinteressati alla creazione di un sistema alternativo che possa supplire in caso di crisi energetica; la conseguenza è quella che dinanzi allo scarseggiare delle risorse energetiche, gli uomini sarebbero regrediti a barbari assetati di benzina pronti a tutto pur di non far spegnere i propri motori. I lineamenti della storia e del mondo di Max sono così pronti e vengono fatti raffinare da Miller e Kennedy allo sceneggiatore James McCausland, che vi dà una forma pressoché definitiva



Trovati i fondi necessari alle riprese senza tra l'altro richiedere gli incentivi governativi, racimolati in un budget microscopico equivalente a meno di un milione di dollari americani dell'epoca, le riprese hanno inizio e si protraggono oltre il piano di lavorazione inizialmente stabilito a causa della scarsa esperienza di Miller e dei suoi collaboratori. Sul set regnano l'improvvisazione e lo sprezzo del pericolo: in puro stile ozploitation, spesso si gira "stile guerriglia", senza autorizzazioni e bloccando le location al volo.
A riprese finite, non si può ingaggiare un montatore esperto, quindi è lo stesso Miller a montare il film, in un lavoro che lo tiene impegnato per circa un anno e lo porta ad una realizzazione spiazzante: gran parte del girato non è di suo gradimento. Ai suoi occhi, le mancanze delle singole scene e talvolta delle singole inquadrature sono atroci, figlie, di nuovo, della sua scarsa esperienza. Il lavoro di editing si fa quindi feroce e lo porta a spendere tutte le sue energie per cercare di dare forma completa al tutto.
Forse fu quando si ritrovano a guardare il film finito che Miller e Kennedy, magari assieme alla distribuzione, si rendono conto di aver creato qualcosa di diverso e in parte straniante, ossia un film d'azione con una trama semplice da revenge movie, ma caratterizzato da un tasso di cattiveria incredibile, prima ancora che da un violenza grafica quanto mai esplicita che arriva a sfociare nel cartoonesco senza però risultare meno disturbante. Un film d'azione che forse può ambire ad essere qualcosa di più di un semplice prodotto usa&getta, qualcosa di più di un prodotto di intrattenimento con pochi fronzoli e scarse prospettive; essere, magari, un ottimo sfoggio di mestiere di tutti quelli coinvolti.




L'uscita nei cinema nel 1979 conferma tale ritrovata aspirazione; le polemiche sono forti visto l'occhio di simpatetico con il quale Miller dipinge Max e la sua cattiveria, ma qualcosa scatta con il pubblico: a prescindere dalla nazionalità e dal retroterra culturale, "Mad Max" venne apprezzato in tutto il mondo e non solo a causa della sua carica spettacolare e dell'indubbio talento del suo autore per la messa in scena; apprezzamento che si rivela trionfale persino nel mercato americano (dove però fu doppiato per celare il forte accento degli attori), cosa forse davvero insperata. Tanto che, con circa 100 milioni di dollari di incasso globale, questo strano oggetto di puro e grezzo cinema d'azione made in Australia finisce per diventare uno dei film di maggior profitto mai creati, oltre che un cult amatissimo, l'apripista di una serie e della carriera del suo autore e del suo protagonista.
Oggi, 45 anni dopo, quella di Max Rockatansky è diventata giustamente una delle saghe più famose del cinema. E a rivederlo, quel primo exploit ha perso davvero poco del suo sfavillante splendore filmico.




Se nel corso degli anni la serie è divenuta l'emblema dell'estetica post-apocalittica (post-atomica, in particolare), il primo "Mad Max" è invece ambientato in un futuro relativamente civilizzato; dove quel "relativamente" fa ovviamente la differenza. Il mondo di Max, sconvolto da un'incalzante crisi energetica, è una landa semi-desolata, dove la piccola città è quasi un ultimo bastione di civiltà che sorge al limitare di una terra selvaggia ("anarchie road", come viene battezzata) dove non esistono né leggi, né morale. Un mondo ai limiti del caos totale dove criminali motorizzati sfrecciano furiosi su auto e moto truccate, contro i quali si ergono solo pochi poliziotti, vestigia di un ordine prossimo alla rovina definitiva, avvantaggiati solo dalle loro super-auto, le Interceptor (da cui il celebre titolo nostrano). Un "futuro prossimo" di certo non remoto che rende "Mad Max" in fondo non troppo dissimile da molti altri action e revenge movie del periodo, ma del tutto diverso dal resto dei suoi sequel, dove l'ambientazione si farà via via più fantastica.
Qui, al contrario, Miller crea una sorta di far-west moderno, ispirato a suo stesso dire al west visto nei film di Sergio Leone. Un west duro, sporco, cattivo fin oltre i limiti del sadismo, tanto che se lo Straniero senza Nome di Clint Eastwood spuntasse fuori nel Outback di Max non sarebbe tutto sommato fuori posto.




L' "eroe" della storia è invece un poliziotto, almeno all'inizio. Non un fuorilegge romantico, non uno sceriffo dal cuore puro e dai modi spicci, tantomeno un antieroe di quelli propri delle fonti di ispirazione. Max è, in questa sua prima incarnazione, un personaggio a suo modo originale, benché non inedito. Basti vedere il modo in cui Miller lo introduce nei primissimi minuti del film: non ne mostra il volto, solo le mani indaffarate a smanettare sul motore della sua auto. Veniamo a sapere della sua nomea di duro quando il Night Rider (capo del branco di punk motorizzati che verranno introdotti solo in un secondo momento per poi divenire subito gli antagonisti della stori) al sentirlo nominare scoppia in lacrime dalla paura. Inizialmente vediamo Max quasi solo come un'ombra all'interno di un'auto: è questo il suo vero corpo e con essa finirà per avere un rapporto simbiotico. Un'auto che diventa arma creata ad hoc per uccidere: dopo un inseguimento spettacolare, il Night Rider viene letteralmente annientato in uno scontro violentissimo. Quando Max finalmente si palesa, il colpo di scena è servito: non è un veterano brizzolato dalla mascella squadrata, né un poliziotto-mostro assetato di sangue, bensì un giovane uomo di bell'aspetto, interpretato da un futuro sex symbol all'epoca appena ventiduenne.




L'arco caratteriale di Max è presto detto, ossia la totale distruzione della sua sanità mentale e emotiva, una lenta e inesorabile discesa verso la barbarie indotta da una violenza che cerca di evitare, ma che finisce inevitabilmente per braccarlo. Max non è un eroe, non lo è alla fine del film di certo, ma non lo è in realtà neanche all'inizio. Max è semplicemente un poliziotto, un uomo che usa la violenza per cercare di mantenere l'ordine. E' proprio il ricorso necessario a questa violenza che lo logora; da questo punto di vista, la scena più riuscita del film non avviene su schermo: dal punto di vista del suo collega e amico Goose (interpretato da Steve Bisley, amico e collega di Gibson anche nella realtà) assistiamo ai postumi di un inseguimento notturno (avvenuto tra gli stacchi per ovvi motivi economici), dove gli inseguiti sono ridotti a brandelli di carne e lamiere; ma quando Goose incontra Max, lo trova devastato, ridotto a brandelli sul piano psicologico anche se non su quello fisico.
L'abbandono dell'uniforme è la via per salvarsi dalla pazzia. Questo avviene proprio a seguito di un ennesimo atto di violenza, ossia il linciaggio di Goose da parte del nuovo capobanda Toecutter (il compianto Hugh Keays-Byrne, che tornerà poi in "Fury Road" nuovamente nei panni del villain) e del pazzo Johnny the Boy, goccia che fa traboccare il vaso agli occhi di Max. Ovviamente, in un mondo in preda al caos, non c'è via d'uscita e la violenza finisce per stroncarlo definitivamente, con l'uccisione della moglie e del figlio. Ed è qui che "Mad Max", a circa venti minuti dalla fine, cambia pelle e diventa un revenge movie vero e proprio.




Max abbraccia la violenza forse perché capisce di non poterle sfuggire. Il suo ruolo non è quello di un giustiziere e, in senso lato, neanche quello di un vendicatore: dal contesto del film è chiaro che non otterrà nulla dal bagno di sangue che sta per scatenare (cosa chiara nell'ultima, splendida immagine); la sua è pura e semplice furia, una sorta di giustizia karmica con la quale ripaga quei barbari che gli hanno portato via tutto.
E' qui che Miller disvela la sua vena sadica. La violenza è brutale, non fa sconti e il fatto che sia perorata con veicoli piuttosto che con armi convenzionali rende il tutto ancora più feroce prima ancora che spettacolare. La V8 Interceptor di Max (nella realtà una versione modificata della Ford Falcon Cupé, la quale potrebbe davvero ambire al titolo di regina delle super-auto del cinema) è l'equivalente del revolver di Charles Bronson ne "Il Giustiziere della Notte", ossia lo strumento necessario per la distruzione altrui. Quando Max non è a bordo, è come nudo, tanto da cadere in un'imboscata nella quale resta ferito. Il veicolo annienta gli avversari, la ferocia data dagli scontri è tangibile in ogni fotogramma ed è dovuta alla spericolatezza della produzione: da brividi lo stunt nella quale uno dei motociclisti viene  colpito al collo dalla ruota anteriore della sua cavalcatura, così come il frontale tra  Toecutter e il camion (benché sia visibile il cartonato usato per proteggere quest'ultimo veicolo). L'esagerazione cartoonesca della violenza, data anche dall'accelerazione del girato in fase di montaggio per coprire l'effetiva bassa velocità dei veicoli, finisce paradossalmente per rendere il tutto ancora più efferato, talvolta davvero insostenibile da vedere.
Pur tuttavia, l'apice del sadismo lo si raggiunge nell'ultima scena, in quell'epilogo da antologia dove non vengono usati veicoli: ritrovato l'imbelle Johnny, il più viscido membro della banda, Max lo lega alla cisterna che ha distrutto, lasciandogli dieci minuti per segare le manette prima che esploda o, in alternativa, segarsi via la mano. L'esito della trappola avviene fuori scena, con il protagonista che si allontana tra le urla dell'antagonista. L'unica certezza è la totale distruzione della psiche del primo: il suo sguardo è vacuo, la vendetta non gli ha dato nulla, neanche la gioia di aver ucciso chi gli ha tolto tutto. Miller, di conseguenza, non condona la violenza, né la esalta, benché la ritragga nel modo più spettacolare possibile. E gli va anche fatto un plauso per aver saputo quanto mostrare e quanto lasciare fuori scena, con alcuni degli episodi più crudi (lo stupro della ragazza e l'uccisione della famiglia di Max) che avvengono categoricamente fuori scena, evitando ogni possibile inutile spettacolarizzazione.




E "Mad Max" oggi non sarebbe ricordato se non fosse proprio per la sua carica spettacolare. La "scuola australiana" degli inseguimenti trova qui il suo più illustro rappresentante: al bando la macchina da presa fissa a terra che riprende le auto principalmente dal punto di vista di un ideale passante a bordo strada, Miller fa largo uso di crane e camera a mano montata sull'auto e moto di turno. Il risultato è che lo sguardo dello spettatore si muove al pari dei veicoli, ne sfiora talvolta la carrozzeria prima della collisione e sfreccia lungo le highway dell'outback a velocità folle. Quando poi i veicoli si cappottano e deflagrano, la spericolatezza degli stunt dà i suoi frutti in immagini al fulmicotone.
L'occhio di Miller per l'inquadratura è già qui perfettamente sviluppato; in particolare, è da lodare l'uso perfetto che fa del formato panoramico: già negli inseguimenti riesce a cucire l'inquadratura sui veicoli, ma quando su schermo ci sono i corpi degli attori le immagini diventano delle fotografie in movimento, dove l'uso del paesaggio desolato rende il tutto ancora più pittorico.




Se nella cura visiva e nel tono "Mad Max" riesce a far risaltare il talento grezzo degli autori, la loro inesperienza viene inevitabilmente a galla nella costruzione della storia e del ritmo, che oggi risultano anche più altalenanti che in passato. Certo, in un film dove ciò che conta sono i personaggi e gli inseguimenti, non ci si può certo lamentare di un intreccio basilare, tutto basato su di una serie di eventi atti a tenere insieme le singole scene. A destare un po' di fastidio è semmai l'artificiosità della sceneggiatura, che costruisce l'uccisione di Goose, Jessie e Sprog con una serie di andirivieni di incontri tra questi tre personaggi e i mototeppisti, quando una forma di cruda essenzialità sarebbe stata più in linea con il tono generale del film. 
Un motivo plausibile è forse insito nella necessità di aumentare la durata sino ai canonici 90 minuti, essenziali talvolta per ottenere la distribuzione internazionale. Con la conseguenza che il ritmo passa dall'essere adrenalinico a fiacco nel giro di pochi minuti. E se Miller riesce a passare con disinvoltura dalla brutalità degli inseguimenti alla tenerezza delle scene famigliari, non è altrettanto bravo nel rallentare i giri del motore per dilatare le lunghe sequenze che a volte preludono alla violenza.




Quasi mezzo secolo dopo la sua prima uscita in sala, dopo tre seguiti e uno spin-off in arrivo, il primo "Mad Max" riesce ancora a stupire. Il suo carattere di B-Movie artigianale e l'estetica da film a basso costo lo rendono poi originale all'interno di tutta la serie, un gioiello che si riguarda sempre con piacere.

Nessun commento:

Posta un commento