giovedì 10 ottobre 2013

Roulette Cinese

Chinesisches Roulette

di Rainer Werner Fassbinder

con: Anna Karina, Margit Carstensen, Brigitte Mira, Volker Spengler, Andrea Schober, Ulli Lommel, Alexander Allerson, Macha Mèril.

Germania, Francia (1976)

















Nel 1976 Rainer Werner Fassbinder, da sempre prolifico ai limiti del maniacale, dirige ben tre film; tra questi, "Roulette Cinese", tratto da una sua vecchia pièce teatrale, rappresenta uno dei suoi massimi capolavori, nonchè il suo film più gelido e nichilista.


L'imprenditore Gherard Christ (Alexander Allerson), sposato con la bella Ariane (Margit Carstensen) e padre di Angela (Andrea Schober), adolescente affetta da una malattia alle gambe, organizza un finto viaggio d'affari per passare un fine settimana con la sua amante di origine francese, Irene (Anna Karina); giunti nella sua villa di campagna, i due fanno una scoperta inattesa: anche Ariane ha un amante, Kolbe (Ulli Lommel), giovane aiutante di Gherard, ed entrambi si sono a loro volta rifugiati nella villa di campagna per un week-end di passione; l'incontro tra le due coppie è stato in realtà organizzato da Angela, la quale decide di smascherare la loro ipocrisia coinvolgendoli in un progressivo gioco al massacro nel quale attrae anche la governante Kast (Brigitte Mira), suo figlio Gabriel (Volker Spengler), giovane anarchico dalle aspirazioni di letterato, e la sua stessa badante Traunitz (Macha Mèril), affetta da mutismo.


Fassbinder smaschera le ipocrisie malamente nascoste della borghesia media; il tradimento del coniuge, perno di tutta la narrazione (come rivangato nell'epilogo) diviene l'emblema dello squallore morale della classe media; squallore che di fatto i suoi esponenti non vogliono nemmeno coprire: dinanzi alla scoperta del tradimento reciproco, la reazione dei coniugi Christ è una semplice risata, un'accettazione totale e serena, come se il tradimento fosse tutto sommato un'attività normale, tranquillamente accettabile ed accostabile all'unità familiare; tuttavia, i rancori tra i coniugi sono solo nascosti, non eliminati dalla scoperta: a tal proposito il personaggio di Angela inscena una serie di incontri e scontri che culminano, nel finale, nel gioco della "roulette cinese" che permette a tutti i personaggi, coperti da un parziale anonimato, di parlare liberamente; è solo ora che la cattiveria intrinseca si disvela: ogni rancore viene rinfacciato mediante il gioco, senza paura e senza filtri, e i personaggi si mostrano in tutta la loro intrinseca mostruosità.


Degli otto protagonisti, due sono il vero perno dell'indagine fassbinderiana; da una parte vi è l'angelico Gabriel (interpretato da un sempre bravo Volker Spengler), un giovane proletario totalmente sottomesso alla madre, che trova unicamente nella scrittura creativa uno sfogo; quello di Gabriel è un inferno in terra: una vita sacrificata al nulla e sulla quale ha solo una minima capacità di manovra; nel finale Angela gli rinfaccia tutte le sue mancanze, portandolo ancora più a fondo nella sua crisi personale; ed è proprio Angela il fulcro effettivo di tutta l'opera: una piccola ragazza afflitta da una malattia fisica che ne ha acuito i rancori verso i genitori; nella sua personale visione, è la sua malattia che ha portato i genitori al tradimento, che ne ha causato la rottura dell'unità; reazione vista non come forma di consolazione, bensì come atto di vigliaccheria, che porta la ragazza a voler disvelarla per poter ferire deliberatamente i cari; Angela è un essere meschino, manipolatore, che non si fa scrupoli pur di distruggere qualsiasi cosa le si para innanzi e di sottomettere le persone come fossero le sue bambole (inquadrate come piccoli cadaveri), un "mostricciattolo insensibile" che per prima ha sottomesso  Traunitz, sorta di suo ideale dopplegangher adulto che si muove come un demone suadente e silenzioso; la manipolazione della prima sulla seconda si evince dalla magnifica scena del ballo, fulgido esempio di inquietante e sottilissima cattiveria.


Gli altri cinque personaggi formano un unicum, la manifestazione di ogni difetto che la borghesia possiede: oltre l'ipocrisia, la cattiveria gratuita (Kast urla "fascista" ad un automobilista che le taglia la strada), l'opportunismo (Irene ha conosciuto Gherard a causa di una storia di soldi), il cinismo (Gherard e Kolbe parlano delle prestazioni sessuali di Ariane come se niente fosse) e la passione morbosa (il rapporto saffico che scorre sottopelle tra Irene e Ariane); nel ritrarre il loro disfacimento, Fassbinder non usa sconti: li porta alla distruzione totale e totalizzante in un massacro senza limiti; l'eviscerazione dei difetti che vengono visti e non rivelati diviene insostenibile: nessuno sopporta che gli sia rivelata la verità, l'illusione della rispettabilità è talmente radicata nei personaggi che all'atto della disvelazione reagiscono solo con la violenza; violenza fortemente voluta da Angela per liberarsi dal suo inferno, ma che le sarà negata solo per infliggerle un castigo più grande; violenza che non si sopisce neanche a seguito della prima vittima e che si riversa, fuori scena, su uno dei personaggi, non è dato sapere chi perchè non ha importanza, ciò che conta è che il tabù è stato infranto e che nulla (forse) sarà come prima.


Nel mettere in scena lo scontro tra aguzzini e vittime, Fassbinder esaspera la sua famosa profondità di campo ed indugia ancora più che in passato con i carrelli laterali; l'origine teatrale della scrittura si infrange grazie ad una costruzione della scena controllatissima e fatta di molteplici inquadrature, spesso oblique dall'alto e dal basso; magnifico anche l'uso della scenografia: le superfici riflettenti vengono usate per frammentare le immagini dei personaggi e duplicarli in una serie di doppi, eviscerazione dei loro pensieri con cui idealmente si scontrano all'interno dello schermo, aumentando al contempo la freddezza e il cinismo dell'atmosfera, fino all'insostenibile; e sono proprio i termini "cattivo" e "freddo" che meglio descrivono "Roulette Cinese", intesi nelle loro migliori accezioni: un'opera che non fa sconti, nasce per provocare e scioccare e riesce perfettamente nel suo intento, a testimonianza dell'immenso talento di un grandissimo autore.

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