lunedì 9 novembre 2015

Il Gatto a Nove Code

di Dario Argento.

con: James Franciscus, Karl Malden, Catherine Spaak, Cinzia De Carolis, Pier Paolo Capponi, Rada Rassimov, Horst Frank.

Thriller

Italia, Francia Germania- 1971
















Il successo internazionale di critica e pubblico de "L'Uccello dalle Piume di Cristallo" (1970) lanciò immediatamente Dario Argento nell'olimpo del cinema di genere. Un nuovo autore era nato, un regista in grado di riprendere stilemi consolidati per riorganizzarli in modo personale. Un autore che tanto avrebbe dato alla cinematografia nazionale e al genere tutto, ma che per il momento, alla sua seconda prova dietro la macchina da presa, deluse ogni aspettative.
Uscito appena un anno dopo il suo folgorante esordio, "Il Gatto a Nove Code" (1971) rappresenta infatti un passo indietro per Argento: un thriller più canonico nella costruzione e nella messa in scena, che parte da presupposti poco credibili nella storia per allontanarsi in tutto e per tutto dal "giallo" e rifarsi al più blando thriller d'indagine americano. Con risultati talmente scarni da costringere lo stesso regista a prenderne successivamente le distanze.



A seguito di un furto in una industria farmaceutica, uno dei ricercatori viene ucciso in modo da farne credere il suicidio. Il giornalista Carlo Giordani (James Franciscus) e l'enigmista non-vedente Franco Arnò (Karl Malden), consci della messa in scena, indagano.




Tutti (o quasi) gli elementi che resero interessanti l'esordio di Argento vengono qui a mancare. La violenza viene asciugata sino all'essenziale, l'erotismo escluso quasi del tutto (l'eccezione è data da un topless della bellissima Catherine Spaak, che però a causa del ridicolo parrucco non riesce ad essere eccitante quanto dovrebbe) e la stilizzazione visiva si ripresenta solo grazie alle soggettive dell'assassino, ancora più marcate che in precedenza. Manca una vera ispirazione, una vena non semplicemente "di genere" che anche nei film a venire avrebbe caratterizzato il miglior cinema dell'autore. L'unica forma di sperimentazione è data dalla giustapposizione con le parentesi comiche, data dall'uso di spalle (il poliziotto fissato con la cucina della moglie, lo scassinatore sfigato) o di vere e proprie situazioni gonfiate al limite del ridicolo (il gay bar) che finiscono per strappare qualche risata senza risultare troppo invasive o forzate.
Per il resto, "Il Gatto a Nove Code" è un thriller blando, dove la costruzione è schematica, talvolta artificiosa e forzata (scoperta l'identità del "colpevole", si fatica a capire come possa ottenere informazioni riguardo ai due improvvisati detective e sopratutto al fotografo, prima vera vittima). I brividi latitano e il gioco di specchi del "whudunnit" non coinvolge più di tanto.




L'intera opera è fredda, anche a causa della mancanza di stile nell'esecuzione degli omicidi e nella scarsa ricercatezza della tensione. Quello di Argento, qui, è puro mestiere, che non si fa disprezzare, ma neanche stupisce, al punto da deludere immancabilmente le aspettative. Le uniche note davvero rimarchevoli sono date dal cast, dove compare come co-protagonista il grande caratterista Karl Malden in una rara trasferta capitolina; e, ovviamente, negli effetti speciali: la sequenza della morte sotto il treno stupisce tutt'oggi per perizia immaginifica e realismo nell'esecuzione.
Quanto al resto, è un semplice thriller diretto con il pilota automatico, privo di guizzi, con una trama a tratti risibile ed orfano delle intuizioni geniali proprie dell'autore. Ma anche, il che è ancora peggio, dei tratti stilistici che hanno fatto la fortuna del "giallo".

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