lunedì 9 giugno 2025

Predator: Killer dei Killer

Predator: Killer of Killers

di Dan Trachtenberg e Joshua Wassung.

Animazione/Azione/Fantastico/Splatter

Usa 2025


















I fan di Predator possono dormire sogni tranquilli: da quando Disney ha resuscitato il brand con Prey, sembra che l'interesse verso gli smembramenti del cacciatore alieno più famoso di sempre sia risorto. E quando si tratta di spremere un brand, si sa che Disney la fa da maestra. Ecco quindi che solo quest'anno escono ben due prodotti con il marchio Predator: Badlands, previsto per novembre, oltre che questo Killer of Killers; ed entrambi sviluppati dal Dan Trachtenberg di Prey.
Killer of Killers segna poi un ulteriore primato, ossia il primo prodotto d'animazione dedicato al cacciatore Yautja, oltre che uno dei primi lungometraggi ad essere sviluppati totalmente con l'Unreal Engine. E se l'animazione è tutto sommato di buona fattura, persino al netto di uno stile grafico che a prima vista sembrerebbe stonare con la storia che racconta, questo cartoon lascia perplessi come sempre per una scrittura tutt'altro che brillante.














Scrittura che poggia su di una costruzione ad episodi: tre storie ambientate in tre epoche diverse, con un ultimo atto che riunisce i tre protagonisti, ossia Ursa, una feroce guerriera vichinga, Kenji, spadaccino ed erede reietto del titolo di samurai, oltre che Torres, giovane pilota americano della Seconda Guerra Mondiale.
Una struttura che non può che far credere che questa operazione all'inizio fosse pensata per una serie, ma che sia stata rimaneggiata in corso d'opera come lungometraggio ad episodi, come successo qualche anno fa con lo sfortunato Books of Blood, sempre prodotto da Disney per la piattaforma Hulu. E le dichiarazioni di qualche giorno di Tony Gilroy, secondo le quali Disney pare abbia affermato come "lo streaming sia morto", non possono che cementificare tale impressione.



















Struttura a parte, la vera perplessità sulla scrittura di Killer of Killers riguarda la caratterizzazione dei personaggi. Passi anche che Torres si comporti in maniera irrazionale perché è un giovanissimo pilota, ma sentirlo parlare come un teenager moderno fa cascare un po' le braccia. 
Meno buoni si può essere verso la storia di Kenji, in cerca di vendetta verso il fratello il quale si è semplicemente limitato a seguire gli ordini del tirannico padre, in un contesto storico, quello del Giappone del XV secolo, dove difficilmente un nobile che decide volontariamente di contravvenire alle direttive del genitore sarebbe sopravvissuto al peso della vergogna.
Più particolare è il caso della vichinga Ursa, condottiera donna in un mondo dove benché alle donne fosse concesso di combattere al pari degli uomini, difficilmente sarebbe riuscita a guidare una razzia. Il tutto mosso anch'esso dalla solita vendetta per un torto subito in gioventù, tanto che poi la storia di Torres, "semplice" soldato che si fa valere in battaglia, finisce per risultare fresca, ma, al contempo, anche per stonare. Va da sé che nel suo passare da cattiva irredenta e ultraviolenta a figura materna, paradossalmente è proprio Ursa ad avere la caratterizzazione più sfaccettata, restando pur sempre un personaggio estremamente antipatico. Di converso, fa davvero ridere vedere un pilota della Seconda Guerra Mondiale che impara a pilotare veicoli alieni nel corso di una manciata di secondi.


















Killer of Killers cerca poi di fare chiarezza sulla mitologia degli Yautja, stabilendo come non siano semplici cacciatori in cerca di facili trofei, ma dei "killer di killer" appunto, cacciatori di assassini, il che cozza con lo status di soldati sia della gran parte dei personaggi dei precedenti film, sia con quello di, sempre lui, Torres e i suoi commilitoni: possibile che una specie tecnologicamente avanzata e con il culto dello scontro armato non sappia distinguere tra soldati e assassini?
Tutti difetti di scrittura imputabili non solo (e forse non tanto) a quel Trachtenberg fortemente convinto del fatto che i Comanche fossero così stupidi da aver scoperto la caccia sugli alberi solo nel XVIII grazie ad una ragazzina agitata, quanto al co-sceneggiature Micho Robert Rutare, qui alla sua prima ventura nelle produzioni di serie A e con un curriculum di lungo corso nella peggiore serie B.
















Alla fine, Killer of Killers regala ai fan quello che vogliono, ossia circa un'ora e mezza scarsa di cacciatori alieni che sventrano tipi tosti, qui con un livello di violenza inedito per la serie, pur da sempre caratterizzata da forti dosi di splatter. Se ci si accontenta di così poco, lo si potrebbe anche apprezzare, altrimenti non si può che ridere davanti ad una scrittura adolescenziale, anche quando bilanciata da una messa in scena di buona caratura.

giovedì 5 giugno 2025

Diva Futura

di Giulia Louise Steigerwalt.

con: Pietro Castellitto, Barbara Ronchi, Tesa Litvan, Denise Capezza, Lidija Kordic, Alfonso Postiglione.

Biografico/Drammatico

Italia 2024 












E' possibile rievocare con nostalgia gli esordi del porno italiano senza sembrare ipocriti, ora che viviamo tra le macerie del berlusconismo e con i postumi del culto dell'apparire?
Perché creare un biopic su Riccardo Schicchi e la sua casa di produzione, Diva Futura, solleva immediatamente tale cocente quesito. E questo, ovviamente, perché l'Italia nella quale Schicchi iniziò la sua carriera è stata immediatamente spazzata via assieme alla DC, sostituita dallo sfruttamento delle forme femminili a fini commerciali in quella televisione che tanto le ostracizzava, nonché dall'esaltazione della voracità sessuale maschile reindirizzata verso il consumo compulsivo di qualche prodotto.
Benché pioniere, Schicchi è stato sostanzialmente sorpassato da chi ha avuto le sue stesse intuizioni, ma ha saputo applicarle allo spettacolo mainstream, con conseguenze disastrose sul piano culturale e sociale.
Giulia Louise Steigerwalt, attrice e sceneggiatrice di lungo corso e qui al suo secondo lungometraggio, forse è cosciente di tale aspetto, così come dei molti lati oscuri della sua figura umana, per questo struttura il suo Diva Futura come una commistione tra rievocazione e dramma puro, finendo per creare un'opera fatalmente debole e persino poco sincera.





















Un film, il suo, scisso in due parti distinte. La prima, forse la più riuscita, è una rievocazione dei primissimi anni di Diva Futura e dell'avvento delle sue star, Ilona Staller, Moana Pozzi e in parte Eva Henger, oltre che dell'ingresso nell'azienda di Debora Attanasio, inizialmente segretaria e collaboratrice di Schicchi. Una rievocazione "scorsesiana", che condensa l'ascesa al successo e l'imposizione nel costume nazionale con un montaggio veloce, movimenti di macchina fluidi e musica pop. 
Lo Schicchi qui ritratto è un libertino a-morale, mai immorale, un uomo che ha il culto delle forme femminili e detesta ogni forma di maschilismo. Il nudo diventa così celebrazione ma anche liberazione di una donna che la società conservatrice ancora vuole a-sessuato. Il che è anche in parte vero: benché il filone del "chiappa e spada" imperasse nei cinema e anche nel cinema "impegnato" il nudo in Italia non mancasse mai davvero, la rivoluzione sessuale, alla fine degli anni '70, non aveva portato ad una vera forma di emancipazione femminile, con la donna che doveva essere sempre e comunque vista come madre e moglie, pena lo scandalo.
L'altra faccia di una tale celebrazione è, appunto, quella di farla sembrare una forma nostalgica di un mondo che sembra appartenere ad un'altra era geologica. Nel XXI secolo, l'Italia è forse l'unico Paese rimasto al mondo dove si è fin troppo celebrata la liberazione sessuale e l'esaltazione mediatica del corpo femminile e quelle immagini di belle donne libere di spogliarsi non possono più essere viste come liberatorie, né come il simbolo di una ribellione della donna contro una visione sociale di stampo patriarcale che le vuole solo come madri e mogli. Per intenderci: dopo le veline, le letterine, le paperette e Flavia Vento messo sotto il tavolo di Teo Mammuccari (tra l'altro citato nello stesso film), il nudo e il porno, in Italia, non sono che la celebrazione della fantasia maschile e nulla più.
E' per questo che, dopo circa un'ora, Diva Futura cambia pelle e si muove verso i canonici territori del drammone all'italiana.


















In questa seconda parte, la Steigerwalt condensa tutti i drammi che hanno afflitto Schicchi fino alla sua tragica morte: il collasso dell'industria del porno in video, la crisi coniugale, la malattia. Con lui, in parallelo, assistiamo anche ai drammi di Moana, anch'ella segnata dalla crisi artistica e politica fino alla morte prematura per malattia, e, in tono minore, a quelli della Staller, segnata dal conflitto per l'affidamento del figlio, oltre che del tragico ingresso di Eva Henger nell'industria del cinema a luci rosse.
Il tono cambia radicalmente e ogni scena viene porta su schermo nel modo più ovvio, con gli attori che si scambiano battute sulla tragedia di turno. Scrittura e messa in scena divengono quindi irrimediabilmente convenzionali, tanto che l'unico tocco di classe continua ad essere anche qui la ricostruzione dei filmati di repertorio con gli attori, oltre che il lavoro degli attori. Il fianco, tuttavia, il film lo scopre davvero quando si incarta tra flashforward e flashback, appaiati talvolta in modo arbitrario, ma soprattutto quando decide di affrontare il tema, scottante, su come lo sdoganamento della pornografia abbia cambiato la società italiana.





















Sarebbe stato interessante declinare la carriera di Schicchi sulla falsariga del deperimento del costume italiano. Ovviamente non si può giudicare (più di tanto) un film per quello che non fa, ma qua e là Diva Futura sembra anche voler ritrarre il cambiamento di costume che, volente o nolente, la diffusione dell'erotismo spicciolo ha generato. 
Assistiamo così alla scena nella quale Schicchi scopre come esistano generi di pornografia del tutto disgustosi, che umiliano la donna per il ludibrio del pubblico maschile e come questi prodotti, bene o male, siano stati generati indirettamente proprio dopo che il pubblico si è assuefatto all'eros "pulito" che lui vendeva. Il consumo di pornografia porta inevitabilmente alla degenerazione morale diffusa? Un quesito spinoso, che il film evoca, ma subito mette da parte in favore del territorio sicurissimo del dramma umano.
Allo stesso modo, assistiamo all'esordio nella pornografia internazionale di Eva Henger, esperienza che lei stessa ha definito come traumatica. L'industria dell'eros finisce così per sfruttare quei corpi fino a distruggerli? Anche questa tematica viene sollevata solo per essere subito messa da parte, forse per paura delle risposte, le quali potrebbero essere davvero scomode e far sembrare lo stesso Schicchi come uno sfruttatore, cosciente o meno che fosse.
Di fatto, la degenerazione del costume italico viene suggerita, ma mai davvero affrontata: si, il costume è cambiato, si, il costume è cambiato in peggio; la colpa è di Schicchi e di quelli come lui? Può darsi di si, può darsi di no, chi lo sa. Quando poi ci si accorge che la figura di Silvio Berlusconi viene evocata solo ed esclusivamente per datare temporalmente la morte di Moana Pozzi, ci si rende conto di come forse sarebbe stato meglio prendere una distanza chirurgica da determinati quesiti, lasciandoli magari fuori dal discorso. Soprattutto quando, nel finale, si torna alla celebrazione dell'eros libero e gioioso, in quella che appare una chiusa davvero poco sincera.




















"Questione morale" a parte, il ritratto di Schicchi che emerge è anch'esso contraddittorio. Per tutto il film viene celebrato come un pioniere e ritratto come una vittima dei falsi moralismi italiani, soprattutto nella scena dell'arresto, che si imputa al suo ruolo di produttore pornografico. Arresto che nella realtà è avvenuto nel 2007, periodo nel quale di certo un ruolo del genere non poteva generare scandalo, né nel quale il suo arresto potesse essere un modo per "silenziarlo" o eliminarlo dalla concorrenza. Il film però scopre le carte solo nell'ultima scena, sui titoli di coda, quando si da atto delle accuse e delle condanne, le quali non hanno nulla a che vedere con la morale o con il costume.
Un ritratto che più che ambiguo, si fa contradditorio, che forse vuole essere controverso come controversa fu di fatto la sua figura, ma che più che nell'ambiguità finisce per sprofondare nella schizofrenia. Questo perché forse era impossibile fare un ritratto del tutto assolutorio di Schicchi, ritrarne le luci senza ritrarne le ombre. Prendere una posizione ambivalente porta inevitabilmente alla contraddizione e, anche qui, meglio sarebbe stato ritrarlo con il giusto distacco.





















Diva Futura è così un'opera sicuramente interessante, ma malriuscita, che alterna una prima parte ispirata ad una seconda fiacca, ovvia e contraddittoria. A salvarsi è così solo il cast, con un Pietro Castellitto affiatato, una Barbara Ronchi perfettamente in parte e con una Denise Capezza che, sebbene non somigli più di tanto alla vera Moana, riesce a riprodurne perfettamente la solarità e il carisma.