sabato 1 giugno 2013

Tetsuo II- Body Hammer

 di Shinya Tsukamoto

con: Tomorowo Taguchi, Shinya Tsukamoto, Nobu Kanaoka, Sujin Kim, Hideaki Tezuka.

Cyberpunk

Giappone (1992)



















Trionfatore nei festival di mezzo mondo, "Tetsuo" (1989) creò il mito di Tsukamoto: autore-demiurgo capace di scrivere, dirigere, montare, fotografare ed interpretare una pellicola graffiante e suggestiva; credito che però non gli valse nulla di fronte ai produttori, i quali lo costrinsero, letteralmente, a girare una pellicola commerciale: "Hiruko the Goblin" (1991), horror per teen-agers che, sebbene divertente, non ha davvero nulla a che vedere con i temi e con lo stile del maestro nipponico; esperienza che tuttavia gli permise di ottenere un cospicuo budget per il suo successivo e ben più ambizioso lavoro: "Tetsuo II- Body Hammer", rielaborazione dei temi del suo esordio nonchè anticipazione di quelli del successivo capolavoro "Tokyo Fist" (1995).




Sequel solo nominale, "Body Hammer" riprende il tema della trasformazione del corpo in elemento artificiale per declinarla in modo del tutto originale; questa volta il protagonista (sempre interpretato da Tomorowo Taguchi) è un uomo tranquillo, sposato e padre di un piccolo bimbo, la cui vita viene sconvolta quando un gruppo di malfattori rapisce il figlio; atto che risveglia il suo istinto omcida, il quale dà il via ad una strana mutazione: il suo corpo diviene un'arma ambulante capace di distruggere tutto ciò che gli si para innanzi.





Come nel successivo "Tokyo Fist", si diceva, Tsukamoto declina qui per la prima volta un tema che sarà centrale nella sua filmografia successiva: il risveglio dei sensi assopiti; la società moderna, non solo post-industriale, con le sue torri di acciaio e le immense colate di cemento, ha sepolto e asfissiato ogni pulsione corporea; l'istinto omicida viene qui visto dall'autore come passione primigenea dell'uomo, che lo distingue dagli oggetti inanimati e freddi di cui si circonda; la trasformazione della carne in metallo e cemento (il pilastro che spunta dalla spalla del mutante è una novità rispetto a quanto visto nella pellicola precedente) è letteralmente paradossale se confrontata con quanto visto nel primo "Tetsuo"; la catarsi, dunque, va ricercata nell'atto fisico della distruzione cui il cyborg si presta: l'annientamento totale e definitivo della società che ne ha recluso i sensi, come mostrato nell'ultimissima sequenza, è l'unica forma di liberazione del corpo, che deve necessariamente passare per il tramite della macchina, o, più specificatamente, dell'arma; il corpo umano, soggiogato dalla pietra e dal ferro, deve farsi esso stesso cannone ("Hammer" proprio nel senso di strumento di distruzione) per liberarsi; catarsi perfettamente simboleggiata dai corpi muscolosi che si flettono nelle sequenze dell'acciaieria, nelle quali la splendida fotografia si tinge di colori caldissimi a risaltare la pulsione intrinseca del corpo.





E proprio i cromatismi della fotografia sono uno dei pezzi forti della pellicola; abbandonato il livido bianco e nero del film precedente, Tsukamoto immerge questo sequel in un'atmosfera ancora più fredda e straniante mediante l'uso del solo colore blu, declinato in ogni sua sfumatura: dall'azzurro opaco degli interni dell'appartamento del protagonista al verde acqua mischiato al nero pece della scena finale nell'acciaieria; colori freddi gustosamente giustapposte alle tonalità caldissime del rosso e dell'arancione, ossia la perfetta metafora, a livello cromatico, dello scontro tra la pulsione corporea  pronta a sgorgare e il metallo che la frustra.





Con un budget più alto. inoltre, Tsukamoto può sperimentare inquadrature ancora più forti: movementi impossibili della mdp, montaggio ancora più serrato e spezzato nelle singole scene e immagini sempre più emblematiche, in cui i soggetti non sono praticamente mai al centro dell'interesse, quasi come se l'autore li stesse rincorrendo all'impazzata; il risultato è semplicemente esplosivo, una bomba sensoriale perfetta erede dello sperimentalismo sfrenato degli esordi, un attentato dirompente ed abbagliante ai sensi dello spettatore come se ne sono davvero visti pochi nella storia della Settima Arte.




Il limite intrinsesco del film, però, risiede nell'approccio narrativo dell'autore: come il Cronenberg di "Scanners" (1981), Tsukamoto trincera nettamente le sue riflessioni all'interno di una narrazione squisitamente di genere; la maggior parte enfasi viene lasciata più che sulle implicazioni filosofiche, sulla storia e sui personaggi, in particolare sugli scontri tra mutanti e sullo splatter, invero non troppo marcato ma comunque presente.

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