Di Brian
Synger
Con: Hugh
Jackman, Patrick Stewart, Anna Paquin, Ian McKellen, Famke Jannsen, Halle
Barry, James Marsden, Rebecca Romijin, Ray Park, Bruce Davison.
Super-eroistico/Azione
Usa (2000)
Nati nel 1963 sulla falsariga dei "Doom Patrol" della Dc Comics, gli X-Men sono tra i personaggi più apprezzati dell'universo Marvel: un gruppo di mutanti, il cui numero cresce e diminuisce nel corso degli anni con una velocità impressionante, la cui caratteristica è data dall'estrema umanità dei singoli personaggi; l'empatia generata da figure quali il Professor X, Bestia, Kitty Pryde o il ferino Wolverine (vera e propria maschera tragica celata sotto la scorza di rude canadese artigliato) è innegabile e riesce subito a far presa sul pubblico; i temi dell’intolleranza e della paranoia per il diverso garantirono il successo della testata anche presso il grande pubblico, visto anche il periodo fu prodotta: gli anni '60-'70; la contestazione e la Controcultura di massa bene erano rappresentati, nel fumetto, dalla Confraternita dei Mutanti, dalla Scuola per Giovani Dotati e dalla lotta per l’accettazione del mutante (ossia il "diverso"). Protagonisti di una serie infinita di storie e cross-over, la cui complessità e il cui alto numero di colpi di scena e twist narrativi rasentano spesso il ridicolo, gli X-Men sono diventati, nel corso degli anni, un vero e proprio caposaldo all'interno dell’universo Marvel, spesso plasmato proprio dalla complessità folle ed improbabile delle avventure dei mutanti.
Temi quali il significato della parola "umano",
l'intolleranza e l'amicizia virile tra reietti di sicuro non sono nuovi nel
cinema di genere (in particolare nel horror e nella fantascienza), ma si
prestano sempre bene a nuove declinazioni; nella trasposizione su grande schermo,
però, non tutto va come dovuto; la sceneggiatura di David Hayter (più famoso
come doppiatore che come scrittore: è la voce di Snake nella serie videoludica
"Metal Gear Solid") riprende tali temi solo come base per un discorso
meramente pretestuoso: la lotta per l'accettazione e lo scontro tra
integrazione e ribellione sono solo una scusa per far scontrare i due gruppi di
super uomini avversi; pretesto bello e buono, impostato alla bene e meglio in
un prologo vero e proprio corpo estraneo rispetto al resto della pellicola, e
in una prima scena, ambientata al Congresso degli Stati Uniti costruita come
una specie di talk show a botta e risposta del tutto improbabile.
Perfino il tema della mutazione come trasformazione del
corpo e della mente, in teoria un topos essenziale in tale tipo di narrazione,
viene solo sfiorato in paio di scene con protagonista Rogue; il tema della
perdita dell’identità, proprio del personaggio di Wolverine, è anch’esso una
mero pretesto per avviare la narrazione, che non trova compimento alla fine
della pellicola e che sembra messo lì solo per allungare il brodo.
La caratterizzazione dei singoli personaggi, inoltre, è sciatta e monocorde: Wolverine è l'eroe bello e dannato, Rogue diviene la fanciulla in pericolo, Jean Grey la bella da conquistare di turno e Ciclope il saccente primo della classe; tutti gli altri personaggi mostrati (Tempesta, Mystica e soci) sono alla stregua di mere comparse; le uniche note di interesse vengono data dai capigruppo, Xavier e Magneto, anch'essi monodimensionali, ma il cui scontro di vedute, perlomeno, è credibile, e dal rapporto di amore paterno tra Wolverine e Rogue (qui caratterizzata come Kitty Pryde nel fumetto), a tratti finanche toccante.
Ulteriore nota dolente è data dalla regia di Singer: lo
stile dell'autore di "I Soliti Sospetti" (1995) è irriconoscibile, la
costruzione delle scene è sciatta e derivativa, riprendendo molti stilemi visivi
da "Matrix" (1999) e appiattendosi subito sui soli effetti speciali. La vicenda
narrata, già in partenza poco interessante, diviene così stucchevole e la noia viene
evitata solo grazie all'azione, che perlomeno non manca, anche se nella parte
finale la mancanza di idee narrative e visive si nota fin troppo: il climax
nella Statua della Libertà sembra uscito da una produzione low-budget per la
linearità delle coreografie e il manierismo visivo.
Successo stratosferico in tutto il globo, l’esordio degli X-Men su grande schermo è tutto fuorché indimenticabile: un pop-corn movie senza la minima pretesa narrativa o spettacolare, sciatto nella messa in scena e superficiale nella narrazione, che fa il piacere dei fans (e forse neanche di tutti visto le vistose mancanze nel roster dei personaggi) e di pochi altri, il cui stile infantile ed esangue diventerà malauguratamente il modello di base per la maggior parte dei film supereroistici a venire.
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