martedì 26 novembre 2013

Cronos

di Guillermo del Toro

con: Federico Luppi, Ron Perlman, Claudio Brook, Margarita Isabel, Tamara Shanath, Mario Ivan Martinez.

Fantastico

Messico (1993)












Se grazie a pellicole di successo quali "Hellboy: The Golden Army" (2008), "Blade II" (2002) e sopratutto "Il Labirinto del Fauno" (2006) Guillermo del Toro è riuscito a crearsi una solida reputazione di autore visionario, ai tempi del suo esordio, nei primi anni '90, furono in pochi a restare incantati dalla sua opera prima, "Cronos". Primo lungometraggio nel quale il regista messicano prova a ribaltare la tradizione dell'horror vampiresco con una favola nera a tratti visionaria e dall'affascinante antefatto fanta-storico, ma decisamente poco riuscita.


Nel 1535 l'alchimista Fulcanelli (Mario Ivan Martinez) inventa il Cronos, un marchingegno in grado di allungare la vita di chiunque lo possieda; nel XX secolo, il Cronos viene accidentalmente ritrovato da Jesus Gris (Federico Luppi), un anziano antiquario di Città del Messico; Jesus attiva per caso l'oggetto, i cui effetti non tardano a manifestarsi sul suo corpo; nel frattempo, il vecchio miliardiario De La Guardia (Claudio Brook) e suo nipote Angel (Ron Perlman) si mettono sulle tracce dell'artefatto per carpirne il potere.


La mitiologia di riferimento di Del Toro affonda le sue radici nell'horror classico e nel fantasy; la storia di un ordigno creato da un alchimista cinque secoli e mezzo prima dell'inizio della storia è sicuramente affascinante e ben avrebbe potuto dare un respiro epico alla narrazione, ma viene malauguratamente relegata dall'autore (qui anche sceneggiatore) a mero antefatto alla vicenda, la quale risulta inveitabilmente piatta; l'intero film si struttura come una favola fantastica, nella quale Jesus è chiamato ad affrontare una situazione fuori dall'ordinario, il "wonder" proprio di ogni narrazione favolistica che qui irrompe nella vita quotidiana sotto la forma scaraboidea dell'ordigno; gli effetti del Cronos sulla vita dell'anziano antiquario vengono descritti come l'rriompere di una forza ignota, forse maligna, sicuramente oscura, che minaccia l'ordine naturale; tuttavia del Toro è perennemente indeciso sull'approccio da usare: talvolta costruisce le scene come se volesse narrare una fiaba horror, talaltra come un semplice fantasy favolistico; il mix tra i due registri stride apertamente: la suspanse latita anche nelle sequenze più cupe e cruente, mentre la traccia più squisitamente fantasy, incarnata dal rapporto tra Jesus e la nipotina Aurora, risulta piatta e priva di mordente.
L'inesperienza del regista si avverte anche nel ritmo inutilmente lento, che appesantisce la narrazione e porta presto alla noia, complice anche una mancanza di idee nello sviluppo, ingessato e lineare, avvertibile fin dalle prime battute. Non aiutono inoltre gli inserti comici, dati dai personaggi di Perlman e Brook, il cui umorismo appare spesso fuori luogo (il narcisismo di Angel) e che finisce per snatuare la loro natura di cattivi di turno.


Laddove del Toro riesce a stupire è nella rilettura del mito del vampiro; il succhiasangue immortale torna in parte alle sue origini classiche di non morto condannato ad una vita eterna e a patire la sete di sangue come una maledizione; purgato da ogni riferimento sessuale e fascinoso, il vampiro riassume le fattezze di un cadavere semovente il cui corpo cade a pezzi e il sangue torna ad essere l'elisir per la vita eterna come nelle pagine del primo Dracula.


E proprio come Tim Burton fa con i suoi freaks, anche del Toro sovverte la natura maligna del mostro, il quale diviene il vero eroe della storia; il vampiro, benchè di nuovo rappresentato come un vecchio decadente come nelle origini, qui non incarna più l'ossessione della vita eterna e la fascinazione per la giovinezza; Jesus, una volta "maledetto" dal Cronos, continua ad essere un comune "uomo medio", la cui ingenuità viene contropposta alla cattiveria dei De la Guardia, ossia i "normali"; che tuttavia di normale non hanno davvero nulla: il vecchio è un ricco misantropo alla disperata ricerca della longevità, mentre Angel è un narcisistico opportunista, violento e privo e scrupoli; la sovversione dei concetti di "bene" e "male" viene affiancata ad una sottile ma efficace critica sociale: il "buon vampiro" è un lavoratore di sani prinicpi umanitari e familiari, mentre i due cattivi sono ricchi capitalisti che cercano di decuplicare i loro averi mediante la promessa della vita eterna e l'uccisione di chiunque vi si frapponga; del Toro tenta persino una lettura "cristologica" del personaggio di Jesus, tornato alla vita per mano di una divinità arcana, senza però riuscire a dare una forma simbolica, o anche semplicemente umorisitca, al tutto.


Fortunatamente, il gusto visionario di del Toro si disvela prepotente già in questo esordio: dal design del dispositivo dalla forma insettoidale, vero e proprio topos di tutta la sua filografia (la forma "a cuscio" presagisce, oltre i mostri mutanti di "Mimic" anche le armate dorate di "Hellboy: The Golden Army") alle spldendide visioni del suo interno, descritte come una sorta di orologio "xenomorfo", passando per il bellisismo prologo "d'antàn", nel quale la sorte dell'alchimista viene svelata con un moviemnto di crane semplicemente perfetto; tutta la carica visiva dell'autore è già presente e pronta ad esplodere, come farà nel decennio successivo con esiti di gran lunga migliori di questo esordio ambizioso, malriuscito, ma tutt'altro che disprezzabile.

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