di Rainer Werner Fassbinder
con: Volker Spengler, Ingrid Caven, Gottfried Jonh, Elizabeth Trissenaar, Eva Mattes, Karl Scheydt, Gunther Kaufman.
Drammatico
Germania (1978)
---SPOILERS INSIDE----
Il 31 Maggio 1978, Armin Meier, ex compagno di Fassbinder, si toglie la vita a seguito della separazione dal grande regista tedesco; distrutto dal dolore, Fassbinder elabora il grave lutto mediante la realizzazione di "Un Anno con 13 Lune", in cui riveste i ruoli di regista, sceneggiatore, produttore e direttore della fotografia e che completa in soli 25 giorni; il risultato è uno dei suoi capolavori, un esempio magistrale di melò sobrio e al contempo straziante.
Il 1978 è (stato) un anno con 13 lune, in cui una particolare congiunzione astrale colpisce le persone più sensibili rendendole più ancora succubi dei sentimenti; Elvira, già Erwin (Volker Spengler) è un transessuale che vive sullo sfondo dell'anno con 13 lune i suoi ultimi giorni di vita, segnati dall'abbandono del compagno Christoph (Karl Scheydt), dalla forte amicizia con la prostitua Zora (Ingrid Caven), dal ricongiungimento con la sua ex moglie Irene e la figlia Marie-Ann (Elizabeth Trissenaar e Eva Mattes) e sopratutto con Anton (Gottfried John), l'uomo che in passato lo convinse ad operarsi per cambiare sesso.
Erwin/Elvira è il canonico protagonista fassbinderiano: superbamente interpretato da Volker Spengler, Erwin è un angelo asessuato, una creatura fragile distrutta da una vita travagliata e da un mondo che non lo accetta; Erwin non può amare: non riesce ad amare Christoph, il cui rapporto si è oramai esaurito, non può amare Irene e Marie-Ann, poichè non più uomo e quindi non più inquadrabile nei ruoli di marito e padre; non può trovare consolazione nei rapporti occasionali, vista la sua natura eramfraodita, di essere nè uomo né donna (e difatto nella prima scena, in cui cerca di abbordare un omosessuale, viene pestato); tantomeno può amare Anton, il quale si rivela un semplice aguzzino totalmente disinteressato ad ogni accadimento della vita.
Al contempo, Erwin non riesce a distaccarsi dagli affetti: il distacco iniziale con Christoph è forte e violento, si sontanzia in una minaccia (la splendida scena dello specchio) e causa la morte interiore di Erwin; un distacco visto come una tragedia, che Fassbinder cocnretizza nella scena del mattatoio, nel quale il corpo di Erwin diviene quello di un manzo fatto a pezzi sotto gli occhi increduli dello spettatore; e così come da Christoph, Erwin non sa distaccarsi da Anton, o meglio dal suo ricordo, dalla sua immegine sbiadita.
Come l'Hans de "Il Mercante delle Quattro Stagioni" anche Erwin è vittima della malignità altrui, e come l'Herman di "Despair" e Querelle anch'egli sottostà ad una serie di forze opposte e complementari che ne disgregano l'identità: transesuale ma non omosessuale, solo eppure irresistibilmente attratto dalla sua (ormai ex) famiglia, Erwin/Elvira vaga tra le macerie di una vita accompagnato solo da Zora, angelo custode che lo segue e lo protegge, senza però riuscire a salvarlo dalla spirale degli eventi; e, ancora, come il Franz de "Il Diritto del più Forte", Erwin non può allontanarsi da Anton, nonostante il dolore che gli provoca; Anton è l'emblema dell'"amore fassbinderiano": un amore che si sostanzia nel possesso schiacciante, nell'umiliazione del partner a fini egoistici; fu Anton a convincere Erwin a divenire Elvira, promettendogli amore ne caso in cui fosse donna; ed è sempre lui ad everlo fatto operare, per poi abbandonarlo; Anton è un uomo meschino, cinico, interessato solo al suo compiacimento a scapito di qualsiasi altra cosa.
Ed è proprio Anton il protagonista della seconda parte del film, nella quale assistiamo alla descrizione, cinica e distaccata, della sua non-vita; Anton è un gangster arricchitosi con la speculazione edilizia, un uomo che vive rinchiuso in un palazzo ciclopico e che vive solo esperienze false, ricostruite ceretosinamente per sempbrare vere; Anton vive nell'illusione della realtà, sperimentendo emozioni fasulle, costruite ad hoc per portare brio in una vida fredda, nella quale si dimena come un bambino; Anton incarna il lato "artistico" di Fassbinder: un regista che crea immagini per evocare emozioni e che, fatalmente, finisce per vivere solo di quelle emozioni artefatte e costruite a tavolino; così come Erwin incarna il lato più umano dell'autore: una creatura spaesata, dapprima a causa della violenza delle sue emozioni e poi distrutta dalla mancanza di amore.
Abbandonate le atmosfere sirkiane delle origini, Fassbinder trattiene ogni forma di eccesso per tutta la durata della narrazione; le vicissitudini di Erwin sono descritte dall'autore con distacco e cinismo; l'emozione non esplode mai, viene perennemente trattenuta; ogni eccesso viene bandito, sia quando la storia si dipana mediante il semplice dialogo (come nella scena del convento), sia quando l'autore ricorre a immagini forti, che si imprimono nella mente dello spettaotre indelebili e furiose, ma mai compiaicute, regalando emozioni incredibili; si va dalle già citate scene dello specchio (da antologia per forza visiva e semplicità della messa in scena) e quella del mattatoio (scioccante eppure calzante), fino allo straziante epilogo, nel quale la scissione tra personaggi secondari e spettatore scompare del tutto, generando una commozione vera, genuina e per questo indimenticabile.
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