di Pierfanceso Diliberto (Pif)
con: Cristiana Capotondi, Pif, Alex Bisconti, Ninni Bruschetta, Ginevra Antona, Claudio Gioè, Barbara Tabita.
Commedia
Italia (2013)
La commedia all'italiana, sarà pure inutile ricordarlo, è morta e sepolta; tramutatasi nel grottesco metaforico di "Fantozzi" (1975), ultimo exploit di un genere in grado di dissacrare i mali della società nostrana in modo acido, irriverente e fatalmente veritiero, essa si è poi autodistrutta grazie al lavoro di registi del calibro di Carlo Vanzina, Neri Parenti, Enrico Oldoini e di attori quali Boldi, De Sica e, più di recente, Checco Zalone, che, purgandola di ogni riferimento effettivo alla realtà e di ogni valenza metaforica, hanno trasformato uno dei filoni d'eccellenza del cinema nazionale in una vergognosa macchina dello squallore; a quasi quarant'anni dal canto del cigno della commedia all'italiana, fa piacere vedere come un autore esordiente, proveniente dal videomaking televisivo e messo per la prima volta dietro ad una macchina da presa, riesca a risollevare le sorti di un genere ormai straziato e martoriato.
La vita di Arturo (Pif) si intreccia e si scontra, fin dal suo concepimento, con gli eventi catastrofici che affliggono la città di Palermo; concepito durante un regolamento di conti tra boss della mala, da piccolo cresce nel mito di Giulio Andreotti; la sua formazione viene influenzata dall'omertà di chi lo circonda, ma la sua forte curiosità lo porta ad interrogarsi sugli eventi che sconvolgono l'Italia degli anni di piombo: che cos'è davvero la mafia? Fino a che punto la si può ignorare?
Nell'intrecciare la vita di Arturo, suo alter ego, con gli eventi della Mattanza e degli Anni di Piombo, Pif adotta uno stile non troppo dissimile da quello dei suoi documentari video; prologo ed epilogo sono girati con la sua handycam d'ordinanza, come una sorta di docufiction che incornicia il film vero e proprio; la voce narrante dell'autore/attore accompagna la visione come trait d'union tra i vari punti di vista, unificando gli eventi della vita di Arturo con quelli dei vari boss mafiosi, trai quali Totò Riina, vero e proprio comprimario.
L'effetto è ironico e tragico: il punto di vista del piccolo Arturo è quello, universale, di qualsiasi giovane cresciuto in quegli anni: una persona che assiste inerme alle stragi e alle uccisioni, la cui coscienza viene risvegliata dalla crudeltà degli eventi a scapito dell'indifferenza degli "adulti"; l'ironia pungente ed acida di Pif si sostanzia nella caratterizzazione dei personaggi: dal piccolo e ingenuo Arturo, che vede in Andreotti una figura paterna putativa, ai genitori ignoranti, passando per i boss trucidi e zotici.
La commistione tra la tragicità degli eventi e la leggerezza dello stile riesce miracolosamente a restare in equilibrio per tutta la narrazione; le stragi di mafia, l'omicidio del giudice Chinnici (descritto come "angelo custode") e le stragi del '92 coesistono perfettamente con l'ironia secca e brutale con cui Pif descrive l'omertà dei palermitani; un'omertà stupida e codarda, che l'autore mette in scena e condanna senza appello, disegnando i suoi personaggi come dei fantocci vuoti e idioti (il presentatore televisivo) o ignoranti (i genitori di Arturo), perfette incarnazioni dell'italiano medio dell'epoca (e non solo), che si chiudeva in sè stesso (e nelle illusioni televisive) per sfuggire alla cruda realtà. E all'idiozia becera di mafiosi e conniventi, l'autore contrappone la purezza eroica dei magistrati e delle forze di polizia, ai quali il film è dedicato, gli unici ad dimostrare un vero senso civico in quegli anni; senso civico che si tramuta in senso del dovere nel bellissimo finale, ove l'autore invita a non commettere gli errori del passato e a non dimenticare il sacrificio di chi si è battuto contro una piaga sociale non solo meridionale.
Nonostante sia al suo esordio nel lungometraggio, Pif (alias Pierfrancesco Diliberto) dimostra delle eccellenti doti di regista: il ritmo del film è veloce, la costruzione delle scene non si ingolfa mai, nè risulta forzata; alcune soluzioni visive sono a dir poco geniali, come la messa in scena delle stragi, mostrate dal punto di vista dei personaggi secondari; qualche incertezza, invece, sorge sul piano della scrittura; a trovate geniali come l'adorazione per Andreotti e il suo ruolo di padre vile e fasullo di un intera generazione, si affianca una storia d'amore un pò pretestuosa e forzata e una caratterizzazione dei personaggi talvolta superficiale, come nel caso del giornalista amico del piccolo Arturo; difetti che, fortunatamente, passano in secondo piano grazie all'entusiasmo della messa in scena e, sopratutto, al rigore civile e morale che Pif dimostra per tutta la durata della pellicola: un rigore unico, che non si vergogna di declinare con le armi dell'ironia e della dissacrazione e proprio per questo infinitamente efficace e graffiante, fino al commovente.
Nessun commento:
Posta un commento