giovedì 5 dicembre 2013

Il Vangelo Secondo Matteo

di Pier Paolo Pasolini

con: Enrique Irazoqui, Margherita Caruso, Susanna Pasolini, Marcello Morante, Mario Socrate, Settimio di Porto, Enrico Maria Salerno, Umberto Bevilacqua, Ninetto Davoli.

Italia , Francia (1964)


















Nel 1964 Pier Paolo Pasolini era uno scrittore ed un regista affermato; la cultura "di sinistra" che permeava le sue opere era purgata da ogni stretto riferimento marxista e dogmatico e spesso accostata alla sacralità in modo diretto, come nello splendido finale di "Mamma Roma" (1962); la sua formazione cattolica e il suo sentimento religioso di stampo laico e, anche qui, privo di dogmi e oscurantismi era noto ai più fin dai suoi esordi come editorialista; eppure, l'entrata in produzione de "Il Vangelo Secondo Matteo" fu comunque accompagnata da scandali e sensazionalismi sia sul fronte della classe intellettuale "di sinistra", sia (come prevedibile) negli ambienti cattolici più oltranzisti; quello che gli "intellettuali" dell'epoca non avevano inteso (o non avevano voluto intendere) era la natura strettamente umanitaria della fede del grande autore di origine emiliana; umanità che la rendeva di per sé stessa rivoluzionaria e al contempo fortemente "cattolica", come si evince da ogni singolo fotogramma del suo capolavoro.


Quello di Pasolini è un intento rivoluzionario e al contempo caritatevole: restituire ai popoli la figura di Cristo così come veniva concepita nel Vangelo, prima che la retorica ecclesiastica e borghese, da un lato, e quella marxista, dall'altro, ne traviassero o oscurassero il messaggio "rivoluzionario"; in particolare, Pasolini riprende la figura del Cristo come descritta nella versione di Matteo, ossia quella che presenta un Salvatore più vicino alla sua natura umana che divina, un "Dio fatto uomo" che non rinuncia alla sua natura umana e che anzi la accetta come tale: Gesù è Dio E uomo, e solo l'accettazione di questa sua duplice natura da parte del lettore/spettatore può permettergli di accogliere davvero il suo messagio di redenzione.


La messa in scena della vita di Cristo diviene l'emblema della lotta per l'emancipazione dei popoli; la figura di Gesù si carica di una componente rivoluzionaria unica (almeno sul grande schermo), così come presentata nelle pagine dei testi sacri; il messaggio evangelico diviene così al contempo testo di fede e invito al risveglio; il messaggio di Gesù, secondo Pasolini, è rivoluzionario fin nel midollo: laddove la società imponeva la violenza e la sopraffazione, egli predicava amore e perdono, laddove la legge del "mos maiorum" tollerava la vendetta di sangue, egli invitava a porgere l'altra guancia; e non per nulla fu l'autore stesso a dichiarare che "mi sembra un'idea un po' strana della Rivoluzione questa per cui la Rivoluzione va fatta a suon di legnate, o dietro le barricate, o col mitra in mano: è un'idea almeno anti-storicistica. Nel particolare momento storico in cui Cristo operava, dire alla gente 'porgi al nemico l'altra guancia' era una cosa di un anticonformismo da far rabbrividire, uno scandalo insostenibile: e infatti l'hanno crocifisso. Non vedo come in questo senso Cristo non debba essere accepito come Rivoluzionario"; Pasolini, in sotanza, si oppone tramite questa sua visione al concetto "retrogrado" del messaggio evangelico proprio della Chiesa antecedente al Concilio Vaticano II per cui è solo la fede cieca a portare la salvezza al popolo; e al contempo tira uno "schiaffo morale" agli pseudo-rivoluzionari dell'epoca presentandogli il simbolo della società conservatrice che tanto aborriva per quello che era: l'unico vero rivoluzionario della storia. E nel ritrarre il Cristo come un anticonformista, riportandolo alla sua dimensione primigenea e spogliandolo di ogni connotazione conservatrice e "medioevale", Pasolini resta fedele alla sua filosofia e ai temi suoi cari; di fatto, non vi è poi molta differenza tra il Cristo de "Il Vangelo" e qualsiasi altro personaggio della filmografia pasoliniana: anch'egli è un diverso, un estraneo in un mondo ingiusto, il quale anzicchè subirne passivamente le leggi ed assorbirne la corruzione, tenta di cambiarlo in meglio, sacrificando tutto sé stesso per il proprio ideale.


Per la prima volta al cinema la figura di Cristo si riappropria della sua componente sacrale; purgato da ogni velleità agiigrafica e ricattatoria, abbandonata la paura per ogni forma di retorica e abbracciata la natura sacrale del testo di origine, Gesù non è più il semplice protagonista di una serie di eventi narrati come un romanzo (come avveniva nei kolossal americani del decennio precedente), ma una figura carismatica, la cui predicazione viene costruita da Pasolini quasi esclusivamente mediante una serie di primi piani dall'espressività sbalorditiva, volti ad eliminare ogni forma di separazione tra il messaggio e lo spettatore, che per la prima volta si ritrova "faccia a faccia" con gli insegnamenti evangelici.


Un Gesù "emancipatore" il cui volto è quello di Enrique Irazoqui, studente di origine iberica e attore non professionista, scelto da Pasolini proprio per quel suo viso "ordinario" (in ossequio ai canoni neorealistici che ancora segue in questa sua fase artistica) perfetto per dare una fisionomia "universale" al Salvatore, ma la cui voce è quella alta e suadente di Enrico Maria Salerno; una voce ferma e forte, perfetta per predicare il messaggio evangelico di salvazione presso la massa, per risvegliarla dal torpore e imprimere per sempre in essa le parole della salvezza. Un Salvatore ritratto anche e sopratutto come uomo: ai miracoli e alla Resurrezione, Pasolini affiancha anche gli episodi più "umani" della vita di Gesù, come l'ira contro i mercanti, proto-borghesi che hanno insozzato la casa del Padre con i concetti "luridi" del profitto e dell'affermazione individuale, o come la critica contro i Farisei, coloro che "hanno imbiancato i sepolcri", ossia i sacerdoti rei di aver piegato la parola di Dio ai propri fini, simbolo di una Chiesa corrotta e lontana dai popoli; o ancora e sopratutto il monologo sulla "spada", nel quale il Cristo afferma di non essere venuto sulla Terra per portare la pace, ma per mettere i padri contro figli qualora qualcuno di questi si rifiuti di seguire la parola di Dio. Il Cristo, per Pasolini, è tanto umano quanto divino: redentore e rivluzinario, Salvatore e al contempo distruttore e proprio per questo messia il cui messaggio di fede e speranza è universale, non conosce barriere nè eccezioni, capace di arrivare a tutti gli uomini grazie ad un'opera di laicizzazione che l'autore affronta n modo certosino, ma privo di qualsiasi carica polemica.


In ossequio allo "spirito dell'ambivalenza", Pasolini mischia anche qui la tradizione neorealista con il suo sincero amore per l'arte neoclassica; la pittoricità delle inquadrature raggiunge qui l'apice: la Terra Santa, ricstruita tra i Sassi di Matera (all'epoca davvero "Terra degli Ultimi") diviene uno sfondo roccioso ed avvolgente, i cui paesaggi duri incorniciano perfettamente la fisicità degli attori non professionisti, tutti doppiati con accenti meridionali; ai volti "umili" l'autore affianca un commento musicale "classico", con arie di Bach e Mozart, raggiungendo vette di liricità unica; la fascinazione del sacro prende così la forma dell'arte classica rivisitata con un occhio moderno e del tutto anticonformista, che non ha paura di osare combinazioni ardite pur di trasformare una storia vista (allora come ora) come retaggio della borghesia capitalista e conservatrice in un messaggio di speranza per l'umanità tutta; e non per nulla, nell'ultima scena, la Resurrezione, Pasolini usa un commento musicale "post-modernista", ibrido di vecchio e nuovo, di sacro e profano: "Gloria", una messa cantata nel quale si mischiano le parole in latino del cerimoniale con il ritmo congolese della musica.

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