lunedì 16 dicembre 2013

Lo Hobbit- La Desolazione di Smaug

The Hobbit- The Desolation of Smaug

di Peter Jackson

con: Ian McKellen, Martin Freeman, Richard Armitage, Ken Scott, Orlando Bloom, Evangeline Lilly, Aidan Turner, Lee Pace, Luke Evans, Stephen Fry, Sylvester McCoy, Benedict Cumberbatch.

Fantasy/Avventura

Usa, Nuova Zelanda (2013)







Ad un anno esatto dall'uscita del primo "Lo Hobbit. Un Viaggio Inaspettato" (2012), Jackosn e soci tornano per la prosecuzione delle avventure di Bilbo, Gandalf e company con la seconda parte della trilogia-prequel de "Il Signore degli Anelli": "La Desolazione di Smaug"; un secondo capitolo più breve e rutilante, ma anche molto meno riuscito del precedente.


Superate le insidie degli orchi di Uzog, Bilbo (Martin Freeman), Thorin (Richard Armitage) e la compagnia dei nani proseguono il loro cammino verso la Montagna Solitaria; nel frattempo Gandalf (Ian McKellen) decide di separarsi momentaneamente dal gruppo per investigare sul male che si raduna a Bosco Atro, il regno elfico di re Thranduil (Lee Pace) e suo figlio Legolas (Orlando Bloom).


Accantonato definitivamente ogni rimando al testo di origine, Jackson intesse un avventura a tutto tondo; il viaggio dello Hobbit e dei nani diviene una quest più simile ad un road movie che ad un racconto fantasy; i luoghi visitati, le avventure e le insidie si moltiplicano a dismisura, tanto che spesso si fa fatica a seguire il fluire magmatico delle vicende; la narrazione diviene così estremamente frammentata e, malauguratamente, anche frammentaria; dopo un primo atto in cui la trama si concentra esclusivamente sul viaggio del gruppo, i punti di vista si moltiplicano e si accavallano; si hanno così ben 5 trame che si intersecano: Bilbo alla ricerca dell'Archengemma, Thorin che cerca di sconfiggere il drago Smaug, Gandalf alle prese con il mistero di Dor Guldur, Bard in cerca della redenzione per gli errori commessi dai suoi avi e, dulcis in fundo, una love story "interspecie" tra il nano Kili e la bella elfa Tauriel. Cinque storie che si intrecciano spesso malamente, finendo per spezzare reciprocamente la tensione delle rispettive narrazioni, sopratutto quella che vede il minuscolo Bilbo affrontare da solo e disarmato il gigantesco drago; Jackson, di fatto, non sempre riesce a dosare gli eventi, i rimandi e le singole azioni, finendo talvolta per tediare l'attenzione; fortunatamente, il picco nero di piattezza narrativa ed emotiva de "Le Due Torri" (2002) viene evitato, sopratutto grazie alle massicce dosi di azione frenetica e ben orchestrata.


Ad un secondo tempo fin troppo caotico e frammentato, si giustappone una prima parte dove l'azione e la narrazione sono ben miscelate e in cui Jackson dimostra nuovamente di aver assimilato perfettamente l'estetica e la grammatica del cinema d'avventura; anche grazie ad un buon utilizzo del 3d e delle riprese a 48 fps, l'autore neozelandese confeziona una delle sequenze più divertenti e adrenaliniche di sempre: la fuga nei barili nel fiume; divertente, veloce, infarcita di un'ironia ai limiti del goliardico, è la perfetta erede di un cinema d'avventura d'antan eppure modernissimo (non solo per l'uso della tecnologia digitale, ma sopratutto per il montaggio veloce e gli splendidi inserti in soggettiva), che richiama alla mente le migliori peripezie di un'altra mitica serie d'avventure made in Usa, l'insuperata saga di Indiana Jones.


Eppure, tra un fuga rocambolesca e l'altra, Jackson commette un errore madornale, un "peccato originale" che rende questa "Desolazione di Smaug" tutto fuorchè memorabile: la mancanza di empatia verso storia e personaggi; per le quasi tre ore di durata della pellicola non ci si riesce mai ad appassionare davvero alle disavventure di Bilbo e soci; le immagini scorrono fredde, i pericoli non spaventano, le vittorie non esaltano; tutta la narrazione risulta glaciale e inerte, non riuscendo mai a coinvolgere; colpa anche della natura "transitiva" di questo secondo capitolo: privo di un prologo vero e proprio, atto a far entrare in sintonia lo spettatore con i personaggi, ma anche fatalmente di un epilogo in grado di soddisfare le aspettative; il tutto scorre sullo schermo senza guizzi di sorta, lasciando interdetti quando, a proiezione finita, ci si accorge, sventuratamente, della natura di film-episodio che gli autori hanno voluto conferire alla pellicola, mero viatico per il gran finale in uscita tra un anno, alla faccia del rispetto per il pubblico pagante.

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