sabato 30 agosto 2014

Brazil

di Terry Gilliam

con: Jonathan Pryce, Kim Greist, Robert De Niro, Ian Holm, Katherine Helmond, Bob Hoskins, Michael Palin, Ian Richardson, Peter Vaughn, Jim Broadbent, Charles McKeown, Jack Purvis.

Fantastico/Grottesco

Inghilterra (1985)















---SPOILERS INSIDE---

Quanto è grande la forza salvifica dell'immaginazione? Può un essere umano fare affidamento completamente su di essa per sopravvivere in un mondo alienante?

Al suo terzo film in solitaria, Gilliam risponde a tali quesiti dando sfogo a tutta la sua carica visionaria e, coadiuvato in sede di script da Charles McKeown (poi suo collaboratore anche per "Le Avventure del Barone di Munchausen" e "Parnassus") e da Tom Stoppard, crea il suo primo e più grande capolavoro.


In un futuro (passato) non lontano, un XX secolo abbruttito da una burocrazia autoritaria e asfissiante, Sam Lowry (Jonathan Pryce) è un impiegato del Ministero dell'Informazione privo di alcuna ambizione; schiacciato da una madre volitiva e dipendente dalla chirurgia plastica (Katherine Helmond), deriso dall'amico Jack (Michael Palin), suo superiore, Sam sfoga la sua intima frustrazione nei propri sogni, nel quale prende la forma di un guerriero alato ed ama una bellissima donna (Kim Greist).
La sua vita letteralmente in frantumi quando un guasto nel sistema informatico porta alla cattura di un innocente al posto di Harry Tuttle (Robert De Niro), idraulico-terrorista che ben presto invade la sua privacy; ma soprattutto quando scopre che la donna dei suoi sogni esiste davvero ed è a sua volta sospetta di essere affiliata ai misteriosi terroristi che combattono il sistema impazzito con attentati dinamitardi.


L'immaginario di Gilliam si espande a dismisura; in un unico, incredibilmente omogeneo calderone fa confluire Gerorge Orwell e Fellini, Kafka e Pirandello, nostalgia per il passato i visioni fantasy potentissime; "Brazil" è da un punto di vista estetico-stilistico l'apice assoluto della sua poetica: un mondo onirico smisurato che si infrange contro una utopia negativa inquietantemente verosimile.
Solitamente accostato alle distopie classiche, il mondo di "Brazil" non ha, in fin dei conti, molto in comune con le visioni pessimistiche di Huxley ed Orwell; non nel senso, ed è bene precisarlo, secondo il quale la burocrazia tecnocratica di Gilliam sia meno terrorizzante dell'eugenetica del primo o della dittatura totalitaria del secondo; quello di Gilliam, di fatto, non è un vero e proprio futuro distopico, quanto la naturale evoluzione di un presente già di per sè stesso folle, del quale la visione futuribile di Gilliam è un'iperbole. E nel dar vita ad un mondo ormai disumanizzato, l'autore abbandona i toni cupi ed apocalittici della distopia classica per usare un registro grottesco; quello di Gilliam è uno sberleffo, una pernacchia macabra e nerissima rivolta contro lo spettatore, chiamato a confrontarsi con alcune delle paure più urgenti che possa sperimentare: la fine dell'individualità e della mente.



Nel mondo di "Brazil", l'arida realtà de "I Banditi del Tempo" (1981) ha avuto la meglio sui sogni del piccolo protagonista Kevin; la tecnologia ha inghiottito ogni cosa: orrende tubature sbucano dal terreno al posto delle piante, palazzoni dal freddo design razionalista oscurano i cieli, la notte è illuminata dai neon e marmo e cemento avvolgono le persone in ambienti stretti ed alienanti. Gilliam crea una visione post-moderna totale, più compatta delle visioni di "Blade Runner" (1982), ma al contempo anche più sfrenata.
Il gretto materialismo della burocrazia ha istupidito le persone riducendole ai minimi termini: ogni individuo è un mero lavoratore, un piccolo ingranaggio di un gigantesco meccanismo che non si inceppa (quasi) mai e che schiaccia tutto e tutti. In questo mondo, solo i difetti dell'uomo comune sopravvivono e trovano piena affermazione: la gretta voglia di successo (Jack) o l'ossessione della falsa giovinezza eterna, forma esteriore di una lascivia lussuriosa ed irrefrenabile (Mrs.Lowry). Tutto il resto è lavoro: organizzazione millimetrica di ogni singolo gesto, esecuzione razionale e funerea di ogni pensiero subordinato ad ordini, moduli, richieste, ricevute installate su tonnellate e tonnellate di carta o sintetizzate in freddi computer. Efficienza puramente virtuale: la tecnologia, lasciata a sé stessa, diviene folle, incontrollata e causa solo danni (la "sveglia" meccanizzata di Sam che gli fa fare tardi a lavoro, il sistema di riscaldamento che cresce come un essere vivente fino a divorare l'appartamento); e l'organizzazione fiscale del lavoro ha finito per istupidire le persone, in grado solo di dare ordini e riceverli blaterando come automi, come l'assistente di Spoor (Bob Hoskins) o come le milizie parafasciste, capaci solo di sparare e ferire.



Quello di "Brazil" è un mondo nel quale la quotidianità più arida ha divorato ogni forma di vita, riplasmando la società in una parodia di sè stessa, nella quale ogni difetto viene gonfiato all'iperbole; la smania di controllo della burocrazia si è trasformata in una tirannide fascistoide che svuota l'individuo di ogni caratteristica non misurabile; la mancanza di valori morali e affettivi ha ridotto le persone a simulacri privi di vera vita, capaci solo di espandere i propri difetti oltre i limiti del parossistico. La visione di Gilliam altro non è che una versione beffarda delle paure più recondite di Kafka: un sistema imperscrutabile che stringe l'individuo in una morsa mortale senza nemmeno sapere perchè; un potere onnipresente ed onnipotente che si alimenta della sua stessa mancanza di senso e si tutela grazie ad arzigogolate e folli traversie burocratiche, divenendo labirinto mentale prima ancora che politico.
La città in cui si muovono Sam e gli altri personaggi sembra uscita dritta dritta dalle pagine de "Il Processo", con le sue linee verticali infinite, la sua geometricità austera e grigia; e come il Fellini di "8 e 1/2", Gilliam sovverte le ordinarie regole della messa in scena invertendo l'onirico e il reale; per le scene di veglia, l'autore filma tutto usando grandangoli stroboscopici in modo da duplicare la grandezza degli ambienti, che diventano così dei deserti di cemento e marmo o, peggio, degli uffici-prigione che strozzano Sam come una tomba lavorativa; nei sogni invece usa obiettivi classici, restituendo proporzione alle forme per sottolinearne la forza salvifica e la sicurezza.


Ma se la tecnologia ha definitivamente conquistato la realtà, che né è stato del giovane Kevin, dei suoi sogni, delle sue fantasie liberatorie?
Kevin è cresciuto, è diventato l'impiegato Sam Lowry ed ha definitivamente messo da parte ogni volontà sovversiva, limitandola all’escapismo onirico. Sam è, di fatto, una versione onirica e fantastica del Winston Smith di "1984"; laddove Smith era "l'ultimo uomo pensante sulla Terra", Sam è l'ultimo uomo sognante, l'unico essere in grado di non limitare le sue fantasie alla cupa realtà, ma di usarle evadere da essa.
Ma a differenza di quanto accadeva con Kevin (e con lo stesso Smith del capolavoro di Orwell), Sam è perfettamente cosciente del divario tra sogno e realtà; incarnato nel fisico minuto e dallo sguardo insicuro di Jonathan Pryce, egli sa che le sue fantasie sono tali e nulla più: non vuole cambiare il mondo, non vuole fuggire da esso, né abbattere il sistema; nella realtà non ha ambizioni carrieristiche, si accontenta della routine del suo Archivio e degli ordini del buffo mr.Kurtzmann (Ian Holm); ma soprattutto, la sua percezione del reale è totalmente conformata a quella degli altri: non ha orrore dei metodi disumani del governo, non ha ribrezzo per lo squallore del tenore di vita a cui l'umanità si è abituata; tanto meno è colpito dalla violenza cieca dei misteriosi terroristi. Sam è in tutto e per tutto un uomo comune, un figlio dei suoi tempi "elevato" solo grazie alle sue fantasie oniriche, che però confina alle sole ore del sogno, senza che mai interferiscano con la veglia, ossia con la realtà.


Il ruolo del sovversivo viene così dapprima relegato in secondo piano e cucito addosso al personaggio di Tuttle, a cui Robert De Niro dona un'aura ironica e beffarda unica; ma anche Tuttle non è un ribelle nel senso stretto del termine, quanto un dissenziente, un uomo che ha differenza di Sam non si adegua alle ottuse esigenze burocratiche e tappa le falle del sistema autonomamente.
Più che un terrorista, Tuttle è l'ultimo vero uomo libero sulla Terra, ideale controparte fisica ed ironica dell'eroe alato che Sam sogna di essere.


Ed è quando la netta distinzione tra sogno e veglia viene a mancare che cominciano i guai per Sam. L'incontro con Jill, la donna dei suoi sogni, è del tutto fortuito, generato da un errore nel virtualmente perfetto meccanismo della burocrazia; incontro che ne sconvolgerà l'esistenza e lo porterà, solo da questo momento, a divenir una scheggia impazzita, un ingranaggio del meccanismo statale che si divincola dalla sua loggia per incarnare quell'ideale mitico che ha sempre sognato. La realtà diviene così il terreno per mettere in atto le sue fantasie e, viceversa, il sogno viene contagiato dalle esperienze reali, divenendone pura metafora; la città, con i suoi palazzi grigi e ciclopici, divide gli amanti promessi, un nero samurai cattura la donna e perseguita l'eroe, solo per poi rivelarsi anch’esso come l’eroe, causa dei propri mali; un mr.Krutzmann di pietra impedisce al Sam alato di raggiungere la sua amata e mostri dai volti mostruosi (i burocrati)  e spettri (le vittime del sistema) cominciano a perseguitarlo. I ruoli si invertono: il sogno diviene incubo, la realtà l'unico luogo in cui Sam può coronare le sue fantasie; l'incontro con Jill lo cambia: ora lui è davvero l'eroe delle sue fantasie; la sua percezione del reale cambia: i poliziotti diventano figure mostruose e per la prima volta si accorge delle vittime degli attentati, in una scena in netta antitesi con quella del ristorante nel primo atto. Sam diviene davvero un sovversivo, un uomo a cui non importa più nulla del sistema, cambiato dalla forza dell'amore. Un amore "impossibile", ma che Gilliam decide di coronare in modo trionfale alla fine del secondo atto con quello che è forse il bacio più bello della storia del Cinema.


Ma l'amore può davvero salvare l'individuo?
Una domanda retorica dato il contesto del film; in un mondo privo di emozioni vere, dove la vita è ridotta ad una serie infinita di atti da compilare e di ricevute da strappare, in cui ogni sentimento è privato di significato ed ogni azione va catalogata, l'amore vero e puro non può trovare spazio. Il grottesco acido e divertito di Gilliam si fa nel terzo atto genuinamente pessimista; il sogno si fa incubo ancora più orrendo, corsa a perdifiato verso una speranza (vana) di salvezza. Un uomo che ha sfidato il sistema e ne ha smascherato le falle non può vivere, deve essere schiacciato, negato per poter consentire allo Stato di sopravvivere. Colui che lo strozza è in realtà una sua controparte, quel Jack suo ex migliore amico che incarna tutti gli ideali, gretti ed materialisti, che Sam ha sempre schivato; e che ora diviene perfetta incarnazione del male in terra: un traditore, un burocrate che scambia la vita di un suo amico per la propria affermazione, trasfigurandosi in un torturatore mostruoso e grottesco.



E Sam viene punito, distrutto nel corpo, ma non nella mente.
Massacrato il suo io fisico, Sam continua a sognare la sua fuga, il suo romanzo d'amore con Jill, una vita agreste dove il verde dei prati inglesi sostituisce il grigio della metropoli; un sogno nostalgico, nel quale continua a cantare le note della canzone che dà il titolo al film; ma pur sempre un sogno.
Eppure, per uomo per il quale il sogno l'unico strumento di affermazione, è un vero castigo o una liberazione?



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