venerdì 1 agosto 2014

Terminator

The Terminator

di James Cameron

con: Arnold Schwarzenegger, Linda Hamilton, Michael Biehn, Paul Winfield, Lance Henriksen, Earl Boen.

Azione/Fantascienza

Usa (1984)













Si potrebbe creare una categoria apposita per i cineasti che dopo aver esordito con pellicole ai limiti del B-Movie diventate subito dei cult amatissimi, hanno raggiunto le vette di Hollywood dirigendo kolossal dai budget stratosferici, ma prive di smalto e mordente; è successo con Sam Raimi, con Tim Burton (che con "Planet of the Apes" e "Alice in Wonderland" ha ridefinito per ben due volte il concetto stesso di "film brutto"), Geroge Miller e Peter Jackson; senza contare gli autori europei passati dall'altra parte dell'oceano, come Andrey Konchalovskiy o Mathieu Kassovitz, il cui exploit americano ha messo in imbarazzo persino sé stesso; o, peggio, i "figli della diaspora di Hong Kong" John Woo e Ringo Lam, caduti in disgrazia dopo gli eccellenti esordi in patria.
In questo enorme e multietnico calderone, un nome potrebbe brillare sopra tutti gli altri, ergendosi con prepotenza e spocchia: quello di James Cameron; unico autore a memoria d'uomo in grado di mantenere in un primo momento un grado di credibilità elevato anche quando possiede tutti i mezzi che la Mecca del Cinema può fornire, salvo poi creare due delle pellicole più genuinamente inutili di sempre: "Titanic" (1997) e "Avatar" (2010), veri e propri inni alla superficialità narrativa e allo spettacolo onanistico.
Eppure, in quei suoi primi dieci anni di carriera, Cameron riusciva davvero a fondere le istanze dello spettacolo più puro e divertente con narrazioni se non complesse, quanto meno affascinanti; e quel suo primo, enorme, successo commerciale, "Terminator", è qui a testimoniarlo, con trent'anni sul groppone ed una carica visionaria oggi ancora più sorprendente.


E se l'ascesa agli onori delle major di Raimi ha, sulla carta, dell'incredibile, quello di Cameron è semplicemente sbalorditiva; egli esordisce infatti, alla fine degli anni '70, come tecnico degli effetti speciali e scenografo in produzioni di serie B, tutte prodotte dalla factory del mitico Roger Corman (che, è sempre bene ricordarlo, nel decennio precedente aveva dato i natali artistici ad autori del calibro di Martin Scorsese e Francis Ford Coppola), tra le quali spicca l'ameno "I Magnifici Sette dello Spazio" (1980); nel 1981, Cameron compie un doppio salto qualitativo: crea i magnifici effetti visivi di "1997: Fuga da New York" e esordisce come regista in "Piranha Paura", seguito di "Piranha" (1978), a sua volta esordio di un altro grande artigiano del fantastico americano, Joe Dante; ma "Piranha Paura", di fatto, altro non è che un horror sgangherato, co-prodotto e girato in Italia per contenere i costi di produzione e privo già all'epoca di qualsiasi valore di interesse. Fu però grazie ad un soggiorno romano (e, secondo la leggenda messa in giro dallo stesso autore, ad un sogno febbrile) che Cameron concepisce il soggetto di "Terminator": un cyborg-killer venuto dal futuro per uccidere il futuro leader della resistenza umana contro le macchine, prima ancora che venga messo al mondo.


La realtà dei fatti è, come al solito, più prosaica; l'idea di un cyborg assassino inarrestabile ed assetato di sangue umano fu coniata precedentemente dal compianto Michael Cricthon in "Westworld" (1973), dove, nell'epilogo, il robot pistolero interpretato da Yul Brynner insegue il protagonista in una fuga al fulmicotone; tuttavia, pur partendo da uno spunto non nuovo, Cameron riesce a creare una storia originale e sopratutto una serie di visioni sci-fi semplicemente sconvolgenti.
Il conflitto tra uomo e macchina qui raggiunge il punto di non ritorno; le macchine di "Terminator" hanno come unico scopo quello di annientare l'essere umano, schiacciarne le carni e frantumarne le ossa; non viene data spiegazione sulle origini del conflitto, se non in via meramente pretestuosa; ciò che conta è la visione dello stesso: il futuro più cupo che mente umana abbia concepito; quello di Cameron è un mondo perennemente avvolto dalle tenebre (ancora più di quello di "1997: Fuga da New York" e di "Blade Runner"), in cui la resistenza umana è composta non da eroi, ma da superstiti impegnati in una lotta disperata per la vita; la città in cui si muovono è un cumulo di macerie lastricata di ossa, il rottame di un passato annichilito in cui si aggirano robot disumani e giganteschi il cui unico scopo è uccidere; non c'è speranza, nel futuro di "Terminator"; persino la missione del solitario Kyle Reese (Michael Biehn, poi apprezzato caratterista) non porta alla riscrittura degli eventi (come invece accadeva, nel mondo dei comics, nello splendido "Giorni di un Futuro Passato" di Chris Claremont, altra probabile fonte di ispirazione per Cameron), ma alla mera salvaguardia di una storia già scritta, che assicura la semplice sopravvivenza dell'uomo, non la sua vittoria totale.


E la macchina più letale di tutte resta lui, il Terminator, l'unico robot antropomorfo del film divenuto giustamente un icona pop immediatamente riconoscibile ed imitatissima; il Terminator vive su schermo grazie a due elementi inseparabili: la presenza scenica di Arnold "Mr. Olympia" Schwarzenegger e gli inquietanti SFX di Stan Winston;  Schwarzenegger, al suo terzo ruolo importante al cinema, si cala perfettamente nel personaggio come un attore vero e proprio; si prepara seguendo un addestramento paramilitare, perde peso e trasforma il suo fisico in quello di una perfetta macchina da guerra su due gambe (anche se all'epoca aveva già cominciato a fare uso di sostanze anabolizzanti) e mette i suoi lineamenti duri e i suoi occhi gelidi totalmente al servizio della macchina da presa del regista; il risultato è un personaggio inquietante, un mostro inarrestabile che fa tremare lo spettatore fin dalla sua prima entrata in scena, nudo e armato delle sue sole mani, con le quali riesce a stappare le viscere di un umano come se niente fosse.


Gli effetti di make-up di Winston, rivisti oggi, non perdono un grammo della loro perfezione; con un budget non esorbitante, il compianto genio degli effetti visivi trasforma il viso dell'ex Mr.Universo in un ibrido di carne e acciaio terrorizzante e rivoltante, un connubio ai limiti del cyberpunk talmente reale e fisico da sembrare vero; e nel design dell'endoscheletro del robot, Winston e lo stesso Cameron raggiungono la fusione perfetta tra la fisionomia umana e la disumanizzante componente metallica, creando un icona della fantascienza indimenticabile.


Ma "Terminator" è anche e sopratutto un film figlio del decennio in cui è stato prodotto: gli anni '80, la decade post-moderna per antonomasia, le cui istanze di ibridazione si realizzano, qui, nel connubio, da qui in poi indissolubile, tra azione e fantascienza. Cameron riesce a mascherare bene i pochi soldi della produzione e crea un action semplicemente perfetto, nel quale gli adrenalinici inseguimenti sono inframezzati da momenti riflessivi e didascalici mai pesanti; come i migliori artigiani americani, Cameron sa dosare il ritmo, ma sopratutto creare un'atmosfera unica: la Los Angeles del presente è anch'essa cupa e opprimente come quella del futuro; più della metà del film è ambientata di notte o in interni: l'action si combina, così a sua volta con il noir e le sue atmosfere sordide ed urbane; L.A. è qui una giungla d'asfalto infestata da un predatore feroce e indomito e la narrazione si sviluppa, dal secondo atto in poi, come un unico, grande e frammentato inseguimento tra il Terminator, Sarah e Kyle, nel quale i ruoli di cacciatore e preda non si invertono mai, in modo da garantire una tensione perenne fino al finale, spettacolare e non scontato. Su tutto, però, Cameron ha il merito di aver purgato una trama ai limiti dell'inverosimile da ogni risvolto comico o anche più semplicemente ironico, lasciando l'atmosfera cupa ed opprimente inalterata e perennemente carica per tutta la durata del film.


E nonostante (ed è bene continuare a sottolinearlo) il budget striminzito, egli crea scene d'azione al fulmicotone, inseguimenti automobilistici perfettamente coreografati, sulla scia della scuola di George Miller e del suo primo "Mad Max" (1979), ed esplosioni spettacolari, tanto da far sembra il film una produzione di serie A e non un semplice B-Movie ideato e prodotto con tante idee e, sopratutto, tonnellate di puro, genuino ed immenso mestiere.


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