lunedì 8 giugno 2015

I Tre Volti della Paura

di Mario Bava.

con: Boris Karloff, Michéle Mercier, Lidia Alfonsi, Glauco Onorato, Mark Damon, Susy Anderson, Massimo Righi, Jacqueline Pierreux.

Horror

Italia, Francia, Usa (1963)















Di tutti i "generi" e filoni cinematografici, Mario Bava non poteva di certo non cimentarsi nel "film a episodi" che tanto andava in voga negli anni '60. Prima del trittico di "Tre Passi nel Delirio" (1968) e a cavallo tra la fine del suo filone gotico e l'ingresso definitivo nel "giallo", Bava crea una piccola antologia dell'orrore artigianale, che affonda le radici nella narrativa classica ottocentesca, riletta in chiave moderna e filtrata in un'atmosfera onirica ammaliante; tre "filoni" dell horror che il grande autore omaggia in modo sentito e divertito.
Di certo non un capolavoro, come al solito a causa della qualità altalenante dei singoli episodi, ma sicuramente una pellicola gustosa, che come nel caso del coevo "La Ragazza che sapeva Troppo" sa anche quando prendersi poco sul serio.


Introdotto da un redivivo Boris Karloff, il mito dell'horror classico americano, "I Tre Volti della Paura" presenta tre episodi totalmente distinti tra loro per influenze e setting; la cornice, con Karloff elevato ad icona ed ideale controparte filmica del Rod Serling di "Ai Confini della Realtà", permetta a Bava di riflettere sulla falsità del mezzo filmico; Karloff si rivolge sin dal primo istante direttamente al pubblico spezzando la magia, l'illusione di verosomiglianza invitandolo a riflettere in modo giocoso sui vampiri e sui mosti; nell'epilogo, la finzione viene frantumata in modo geniale: Bava si allontana dal suo personaggio per svelare tutto il lavoro "occulto" che aiuta la messa in scena: un cameraman seduto ed intento ad inquadrare ed un'intera squadra di addetti alla scenografia che corre attorno al personaggio per creare l'illusione di una corsa a cavallo; non per nulla, è l'ultima scena del film: lo spettacolo è finito, lo spettatore sta per alzarsi e può scoprire tutti i trucchi che lo hanno intrattenuto negli 85 minuti precedenti.


IL TELEFONO

Primo episodio, tratto da un racconti di F.G. Snyder, che permette a Bava di entrare definitivamente a contatto con il thriller e di girare quello che è a tutti gli effetti il primo film del genere a colori in Italia.
La superstar dell'epoca Michéle Mercier è una bella prostituta perseguitata da uno strano osservatore, che la chiama ossessivamente al telefono per annunciarle la sua uccisione.
Thriller da camera che Bava costruisce su di un unica, geniale intuizione, che 33 anni dopo sarà ripresa da Wes Craven in "Scream": il telefono come strumento persecutorio. La tensione regge bene per tutta la prima parte e la regia elegante aiuta a creare un'atmosfera asfissiante, con lo squillo assordante del telefono a tastare sui nervi dello spettatore. Ma una volta svelato il primo colpo di scena la narrazione si fa prevedibile, sino ad un finale "telefonato".


I WURDALAK

Da un racconto di Tolstoy. Il patriarca di una famiglia di contadini russi (Karloff) parte alla ricerca di un bandito che terrorizza le campagne; al suo ritorno sembra essere divenuto un wurdalak, un vampiro; ma è davvero così?
Il miglior episodio del trittico, nonchè il più lungo. Bava ritorna alle atmosfere gotiche mittleuropee de "La Maschera del Demonio" (1960) immergendole in colori vividi e innaturali: verdi accesi e rosa purpurei. Il gotico diviene incubo su pellicola, narrazione semicosciente di una maledizione inarrestabile. A prescindere dal fatto che sia invecchiato non benissimo, resta incredibile come l'atmosfera pregna sia tutt'oggi godibile e, a tratti, ancora stupefacente.


LA GOCCIA D'ACQUA

Da un racconto di Ivan Chechov. Una tanatroprattrice (Jacqueline Pierreux) ruba l'anello di una neodefunta, che torna a perseguitarla.
Il meno riuscito dei tre episodi, con una tensione non sempre all'altezza ed un finale intuibile sin dal principio. Ma anche l'episodio dove Bava dà sfoggio di tutta la sua maestria stilistica ed estetica, creando una perfetta "casa infestata" addobbata con pezzi di bambolotti e gatti randagi, elementi presto entrati nell'immaginario collettivo. Sopratutto, con la visione della defunta crea una delle immagini orrorifiche più forti mai apparse su schermo, un ghigno in grado tutt'oggi di perseguitare i sogni dello spettatore.


EXTRA

L'episodio "I Wurdalak" sarà ripreso nel 1972 da Giorgio Ferroni ed espanso a lungometraggio in "La Notte dei Diavoli", riuscito esempio di gotico moderno italiano condito da un sapiente uso degli effetti splatter.


Distribuito nei paesi anglofono con il titolo "Black Sabbath", "I Tre Volti della Paura" fu d'ispirazione per l'omonimo gruppo metal di Ozzy Osburne, che lo scoprì durante una turnè nel 1968.




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