venerdì 4 dicembre 2015

Fratelli

The Funeral

di Abel Ferrara.

con: Christopher Walken, Chris Penn, Annabella Sciorra, Isabella Rossellini, Vincent Gallo, Benicio Del Toro, Gretchen Mol, Paul Hipp, Victor Argo.

Usa 1996















---CONTIENE SPOILERS---

Nel 1996 la poetica di Ferrara raggiunge un ulteriore culmine. Dopo la fusione totale tra le istanze di genere e le esigenze introspettive, culminate nel capolavoro "Il Cattivo Tenente" (1992) ed il successivo superamento degli schematismi propri del genere e della cinematografia occidentale tutta, il grande autore newyorkese crea un nuovo exploit dove fonde, questa volta definitivamente, il registro del gangster movie e lo spaccato morale di una comunità, questa volta circoscritta a quella cattolica-italoamericana, ossia il suo territorio ideale. "Fratelli" (il titolo italiano ben si adatta alla tematica della famiglia dissezionata nel film) rappresenta un'ulteriore apice nella sua carriera, una pellicola incredibilmente lucida eppure profondamente dolorosa, un nuovo viaggio sentito nel territorio del Male e del dolore, ultima collaborazione con l'amico Nicolas St.John ed excursus definitivo nel buio dell'animo umano, forse ancora più disperato e totalizzante del precedente "The Addiction" (1994).


Come da tradizione, Ferrara riprende il genere e lo piega ai propri fini. Il gangster movie classico qui viene trasfigurato in tragedia, come già avveniva ai tempi della New Wave con "Il Padrino" (1972); non per nulla, giusto un paio d'anni prima usciva nelle sale il "Carlito's Way" di De Palma, ideale punto d'arrivo dell'opera di riscrittura del filone. E sempre come da tradizione, Ferrara e St.John vanno oltre, scardinandone tutte le convenzioni.
I tre fratelli Tempio non hanno nulla a che spartire con i criminali che solitamente solcano gli schermi, neanche quelli più smaliziati e stanchi presentati da De Palma e Pacino, i quali non sono che un riflesso, nel film, richiamati nella scena iniziale con le immagini di "La Foresta Pietrificata" (1936): la figura di Bogart, il film nel film, testimonia la totale estraneità di ogni romanticismo al mondo di "Fratelli". I suoi personaggi sono più complessi, più vicini alla realtà di quanto si possa credere. Persone chiamate a fronteggiare le più umane delle emozioni e gli aspetti più turpi della vita da strada, alle quali ogni forma di idealizzazione, anche solo metaforica, viene negata.


I tre protagonisti Ray (Walken), Cesarino detto "Chez" (uno straordinario Chris Penn, premiato con la Coppa Volpi a Venezia) e il defunto Johnny (Vincent Gallo) sono tre figure perse nei meandri della loro stessa oscurità.
Ray è il classico personaggio "ferrariano": un uomo vinto dall'idea dell'ineluttabilità del Male, al pari dei vampiri i "The Addiction". Impersonificato nelle movenze rigide e nel volto luciferino di un Christopher Walken al solito sublime, è un "dannato" lontano anni luce da ogni forma di redenzione. "Ci dicono che tutto quello che facciamo è una libera scelta, ma allo stesso tempo ci dicono che abbiamo bisogno dell Grazia di Dio per fare il bene" e "Se faccio qualcosa di sbagliato è perchè Dio non ha concesso la Grazia. Se questo mondo fa schifo, è colpa sua". Non c'è possibilità ammenda nel suo mondo: Ray è perso nel concetto steso di dannazione, percorre la via della vendetta in modo automatico, seguendo una specie di copione scritto dal quale è impossibile deviare. La coscienza del suo male ne acuisce la portata totalizzante, non lo rende libero da nulla, ma ancora più schiavo. Se in "The Addiction" il finale aperto e vago lasciava presagire una forma di superamento del dolore causato dalla presa di coscienza, ora questo dolore è ineludibile, questa realizzazione annichilente. Si può solo accetare la perdizione, essere cosciente che, dinanzi a Dio, si verrà castigati all'Inferno. Nè più, nè meno.



Johnny, il più giovane dei tre, è il ribelle, l'anticonformista e provocatore. A discapito delle origine cattoliche, aderisce al partito comunista, intrigato dalle idee del compagno Stein (un cameo di David Patrick Kelly), si diverte a provocare gli altri criminali, ad inveire contro la smania di potere. Arriva ad intrecciare una pericolosa relazione con la moglie del boss Gaspare (Benicio Del Toro) per il solo gusto di infangarlo, sbattendola in faccia al fratello Chez solo per provocarne le ire. Johnny non ha morale: non è sicuramente un buono, ma ha degli ideali, ossia la lotta contro quella categoria di che sfrutta il prossimo per il profitto. Un'aderenza al marxismo, la sua, che intreccia alla formazione criminale per perseguire una personale forma di "giustizia sociale" con la violenza, in un trionfo, nei fatti, dell'egoismo più sfrenato. Non è un eroe, Johnny, ma un "semplice" ribelle, una scheggia impazzita che decide di infrangere le tradizioni familiari (lo scontro frontale con gli "affari") e sociali (l'aderenza al comunismo); un uomo che tenta di disfarsi di ogni forma di costrizione, ma che, inevitabilmente fallisce. Un personaggio che nasce morto, vive solo nei ricordi degli altri personaggi e al quale viene negata ogni forma di tragicità, morendo per mano di un comune ragazzo.



Chez, ultimo polo del trio, è l'ideale antitesi di Ray e Johnny. Non ha l'indole egoista del più giovane, né il cinismo criminale del maggiore. Chez è cosciente del male, ma anche del fatto che la libera scelta lo possa eliminare. Coscienza che, tuttavia, provoca anche in lui dolore e follia. Dolore dovuto alla constatazione di come il prossimo vi si abbandoni coscientemente al male: nella scena della prostituta, la sua ira viene ingenerata dalla scelta della ragazza, poco più di una bambina, di prostituirsi anche quando può non farlo. La realizzazione del Male ingenera ferocia, dovuta all'incredulità con cui vi si concede spontaneamente. La follia, successiva, è solo in parte dovuta all'ereditarietà: il padre, gangster di vecchia data, gli ha trasmesso la tara dell'insania, così come trasmise il "peso" del male al fratello Ray. Follia dovuta all'incapacità di raggiungere una catarsi o anche semplicemente un compromesso con la sua natura violenta, sostanziandosi in un climax distruttivo, nel quale decide di porre fine al dolore proprio e altrui proprio con la violenza, con quel male che tanto a lungo lo ha corroso.



Sullo sfondo, come nella tragedia classica, gli orrori degli "eroi" si riverberano sulle donne, il trio di mogli interpretato dalle bellissime Isabella Rossellini, Annabella Sciorra e Gretchen Mol, nel quali si confrontano con i drammi, le paure e le debolezze dei personaggi maschili, sottolineando la totale mancanza di romanticismo in questi "gangster" di un mondo crudo e dolorante. Le donne sono le uniche depositarie della ragione, coro mai ascoltato del raziocinio, di quel Bene che i personaggi maschili ignorano o schivano per abbandonarsi alla violenza del mondo.




Un mondo, quello di "Fratelli", ammantano nell'oscurità. Abbandonati i contrasti forti di "King of New York" (1990), resta solo il buio a cingere i corpi dei personaggi, che come nella tradizione del gangster movie classico appaiono quasi sempre a mezza figura, cui Ferrara concede pochissimi primi piani, come al solito straordinariamente incisivi. Un mondo nel quale il dolore non trova una chiusa, se non nella circolarità della morte insensata. Nel quale l'omicidio è futile: il ribelle e dannato Johnny viene giustiziato per motivi puramente pretestuosi da un perfetto nessuno, all'uscita di quel cinema nel quale amava perdersi, ossia fuori dalla tradizione filmica, ma anche fuori da qualsiasi abbellimento.
La vendetta non è catarsi. Il castigo non è foriero di pace. L'uccisione del "colpevole" è il punto di non ritorno per Ray, l'apice dell'abisso in cui si precipita scientemente, rinnegando totalmente quell'umanità che la figura femminile tentava, invano, di risvegliare. Omicidio che si fa tramite irrimediabile per l'autodistruzione.
Solo nella morte, nel lutto definitivo, i tre fratelli ritrovano la pace, incarnata dalla bellissima sequenza nel quale intonano, divertiti e appassionati, "Tonight will be the night", abbracciati e sorridenti, in un ricordo del passato (remoto? recente?) che ritorna a testimoniarne la ritrovata comunione.

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