di Alexandre O.Philippe.
Documentario
Usa 2010
Due generazioni nate e cresciute nel segno di "Star Wars". Un fandom enorme ed in costante crescita. Intere schiere di individui (matti? Deviati? Semplicemente entusiasti?) disposti ad affermare candidamente come "Star Wars" sia la loro unica ragione di vita. Un fenomeno inarrestabile, irrefrenabile, irraggiungibile, quello della creatura di Lucas, che si è imposto fin dalla prima, timida ma trionfale comparsa in sala nel 1977.
E nel 2010, cinque anni dopo la stoccata finale de "La Vendetta dei Sith" (2005) e al contempo cinque anni prima dell'avvento de "Il Risveglio della Forza" (2015), il documentario "The People vs. George Lucas" cerca di chiarire lo stato delle cose, in particolare il rapporto controverso tra il creatore e gli adepti, in quella che è divenuta una vera e propria divinazione religiosa, attraverso una divisioni in capitoli tematici,dissezionando l'opera di Lucas, il suo approccio alla stessa e le reazioni dei fans.
Perchè "Star Wars", oramai, è un fenomeno di massa, un ciclone che ha invaso le vita di milioni di persone, che a loro volta hanno omaggiato, sfottuto, ripristinato ed esaltato il loro "tesoro" in milioni di modi possibili attraverso internet. Parodie su parodie, scene ricostruite con pupazzetti in stop motion, attori improvvisati, costumi tirati su alla bene e meglio o addirittura uova dipinte a mano. Il tutto per testimoniare l'amore verso la creatura del filmmaker di Modesto. Un amore che non conosceva confini. Almeno fino al 1997.
L'opera di Philippe, a tratti divertita, talvolta inaspettatamente spiazzante, dà voce al contrasto avvenuto a seguito dell'uscita delle "Edizioni Speciali", intervistando fanboys da tutto il mondo, tra i quali spiccano Neil Gaiman e, nelle vesti di guest star illustri, l'ex "secondo padre" della saga Gary Kurtz, nonchè Francis Ford Coppola.
Edizioni Speciali che hanno commesso il peccato di togliere una certezza fondamentale al pubblico: l'opera cinematografica (ed in generale l'opera d'arte) in ultima istanza non appartiene a chi la osserva (o la compera), ma al suo creatore, che in quanto tale può sempre decidere di modificarla. Affermazione categorica, che Lucas persegue con tutte le sue forze pur di rivendere il tanto amato marchio. Nonostante la sua accorata testimonianza al Congresso degli Stati Uniti, nel 1988, dove, in un processo vero, accusava Ted Turner di aver vandalizzato alcuni classici del cinema americano proponendone una versione a colori sul suo network televisivo.
Sorge, dunque, un primo ed urgente dubbio: tale statuizione è vera o quantomeno condivisibile? Ognuno, naturalmente, finisce per pensarla come vuole, ma su tutto svetta il cinismo di Lucas nel non voler restituire ai fans, ossia alla sua principale fonte di reddito e sostegno, quella prima, imperfetta ma mai dimenticata versione della "trilogia classica".
Ancora più sorprendente è il confronto generazionale tra chi è cresciuto amando proprio quella prima trilogia ed i giovani che si sono avvicinati all'universo lucasiano con la vituperata (ed obiettivamente inferiore) nuova trilogia. La rabbia dei fans più anziani è tangibile, talvolta persino condivisibile, ma appare quantomai interessante vedere come i bambini apprezzino anche le trovate più stupide dei nuovi film. E ciò se si tiene conto di come, a detta dello stesso autore, essi siano destinati proprio ad una platea di giovani. Un "tradimento" verso i fans di vecchia data utile a capire la trasformazione del filmmaker: se prima la sua attitudine era quella di un Walt Disney, in grado di creare film per infanti trattando loro, però, come adulti intelligenti e, così, conquistando un pubblico trasversale, ora Lucas è più simile ad un qualsiasi regista di film d'animazione occidentale, convinto che il pubblico giovane sia per forza di cose stupido e che, di conseguenza, vada abbindolato a suon di battutine e luci colorate.
Tradimento che si palesa in quel mitico Maggio del 1999, quando la febbre dei fans esplode alla prima de "La Minaccia Fantasma". Un'attesa spossante, durata sedici lunghissimi anni, ripagata con un film talmente brutto da far infuriare anche gli aficionados più irriducibili. D'obbligo, in questa parte, assaltare il personaggio di Jar Jar Binks, ripetendo per l'ennesima volta la sua fastidiosità. E se le posizioni d'odio sono collaudate, più curiose sono quelle dei fanboys francesi, che anzi apprezzano il personaggio proprio per la sua totale estraneità al contesto serioso del film. Sopratutto, è l'intervento di Neil Gaiman a suscitare interesse, affermando come un personaggio mal riuscito sia sempre una parte delle visione dell'autore e che, per questo, nessun fan può arrivare a chiedergli di cancellarlo.
Critica al vetriolo anche sull'impero commerciale di Lucas, con le migliaia di giocattoli che negli anni sono stati prodotti. Semplicemente agghiacciante è la testimonianza dei fans più accaniti, che, con loro stessa sorpresa, si sono ritrovati a comprare qualsiasi oggetto avesse il logo di "Star Wars" sulla confezione: decine di edizioni Home-Video, centinaia di riproposizioni in scala del medesimo personaggio, senza contare i costumi, i pigiami e le mutandine a tema.
Si arriva alla parte più controversa: l'odio viscerale verso Lucas. L'odio ingenerato dalla delusione dei nuovi film, ma anche del terribile "Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo" (2007). Odio per una volta non campato in aria, ma dovuto alla presa di coscienza di come Lucas non abbia più talento alcuno e, men che meno, rispetto per l'intelligenza del suo pubblico.
L'esempio chiarificatore è l'ormai mitico episodio di "South Park" intitolato "The Chinese Syndrome", dove Lucas stupra le sue creature e con esse l'infanzia degli spettatori. Ed anche qui il film di Philippe si dimostra attento a non prendere posizioni, ma a dare a ciascuna "parte" il giusto spazio, tra chi appoggia la satira di Parker & Stone e chi invece se ne infischia.
La testimonianza che resta, tra la visione dei fans e le dichiarazioni di conoscenti, è comunque quella di un uomo che per anni si è opposto al controllo creativo dei produttori sulle sue opere, che ha sempre cercato di dare il meglio di sé sperimentando nuove vie, ma che alla fine ha letteralmente "ceduto al lato oscuro", tramutandosi in un mercante privo di inventiva, un produttore che pensa solo al profitto, preoccupato solo di accalappiare un'audience più giovane e facilmente plagiabile. Un uomo che arrivato alla vetta di Hollywood, ha deciso di ritirarsi, di non fare nulla perchè ora soddisfatto sotto il profilo economico. Un uomo che, nelle parole dell'amico e mentore Coppola che chiudono il film, può anche aver creato un impero transmediatico, ma il cui talento era immane, talmente grande da poter (una volta) eclissare la sua opera più famosa.
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