mercoledì 30 dicembre 2015

Il Ponte delle Spie

Bridge of Spies

di Steven Spielberg.

con: Tom Hanks, Mark Rylance, Alan Alda, Domenenick Lombardozzi, Amy Ryan, Francis Gary Powers, Jesse Plemons, Will Rogers, Sebastian Koch.

Usa, Germania, India 2015















Alle soglie dei settant'anni e con oltre cinquanta regie accreditate, Spielberg continua a sorprendere. Perchè su di lui è stato scritto tutto ed il contrario di tutto: prodigio della Nuova Hollywood, distruttore di un nuovo modo (all'epoca) di intendere la narrazione filmica, innovatore ineguagliato, massacratore di botteghini, artista raffinato, ruffiano indefesso e chi più ne ha più ne metta.
Dinanzi allo spettacolo, spiazzante ed eccelso, de "Il Ponte delle Spie" converrebbe rivedere e ripercorrere la sua carriera e capire, con distacco, quanto di effettivamente valido ci sia stato e quanto, invece, sia frutto di sopravvalutazione.



Stati Uniti, 1957. Dopo una sortita della C.I.A., Rudolf Abel (Mark Rylance), spia sovietica sotto copertura, viene tratto in arresto. Per difenderlo nell'imminente processo viene nominato James Donovan (Tom Hanks), avvocato specializzato in diritto assicurativo, il quale riesce a convincere il giudice di merito ad evitare la condanna a morte. Tempo dopo, a seguito della cattura del giovane pilota Francis Powers (Austin Stowell) da parte delle autorità sovietiche e dello studente Frederic Pryor (Will Rogers) da parte della DDR, Donovan viene ingaggiato dall'Agenzia per trattare lo scambio di prigionieri.


Più che un thriller d'altri tempi o un pamphlet sullo scontro tra morale nazionale e diritto, l'ultima fatica di Spielberg è uno spaccato dei primi anni della Guerra Fredda. Uno spaccato integerrimo ed incredibilmente asciutto. Tralasciata ogni retorica, messo da parte lo spirito patriottico e la ridondanza di "Salvate il Soldato Ryan" (1998) e "Lincoln" (2012), l'autore, coadiuvato nientemeno che dai fratelli Coen in sede di script, traccia una descrizione ferma e marcata della paranoia imperante negli States, dando spazio ai filmati di propaganda mostrati ai bambini su come comportarsi un caso di attacco nucleare causticamente giustapposti al giuramento di fedeltà alla bandiera e a personaggi secondari rozzi, stupidi e fieramente violenti, che non si farebbero problemi a calpestare la legge pur di giustiziare il "pericolo rosso". Descrizione al vetriolo figlia della genialità del duo di sceneggiatori, il cui tocco si sente anche e sopratutto negli sprazzi di umorismo che costellano anche le sequenze più serie, come l'incontro tra Donovan e il capo della DDR o quello con la finta famiglia di Abel.
Ma se questa rievocazione dell'America che fu è riuscita e interessante, il merito è anche del regista.


Spielberg plasma Donovan come un "eroe per caso", un uomo qualunque chiamato a recitare una farsa, ossia un processo vistosamente afflitto da vizi procedurali, il cui esito è già scritto; ma che, nonostante tutto, riesce a tirare fuori il meglio da un situazione a lui sfavorevole. Nella seconda parte, questa "spia per caso" deve affrontare l'ostilità dei vertici della Repubblica Democratica Tedesca, pronti a tutto per arrivare alla ribalta internazionale e per questo ancora più pericolosi dei Sovietici. Descrizione che pur viziata da inesattezze storiche (prima di divenire un affermato civilista, il vero Donovan era stato consulente dell'OSS durante la II Guerra Mondiale, il che spiega il suo reclutamento da parte della C.I.A.), riesce a convincere e che ben si poggia sulle spalle di uno stagionato Tom Hanks. Un uomo comune chiamato a reggere le vite di tre persone e i destini delle due sfere mondiali il quale non si cura delle critiche o delle minacce di una società becera e che per questo diviene fin da subito simpatico, nonostante il finale fin troppo ottimista, decisamente spielberghiano ed indigesto.


Finale che tutto sommato mal si sposa con il tono del film, secco ed immediato, privo di ogni volontà agiografica e per questo decisamente convincente. Una sorta di "nuovo corso" nel cinema di un autore solitamente avezzo alle semplificazioni e alle spettacolarizzazioni narrative, che qui ritrova, come in "Munich" (2005), un gusto per la semplicità classica, quasi eastwoodiana, davvero gradita, che rende questo suo ultimo exploit uno dei migliori della sua carriera.

1 commento:

  1. Da amate della storia ho molto apprezzato il film. Spielberg continua a darmi soddisfazioni dopo "Lincon". Anche la morale dietro l'ho trovata giusta per il tema tratto.

    P.S Gli scambi da battute tra Tom Hanks e Mark Rylance (James B. Donovan e Ruldolf Abel nel film) sono fantastici.

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