di David Lynch.
con: Sheryl Lee, Ray Wise, Kyle McLachlan, Chris Isaak, Kiefer Sutherland, Michael J.Anderson, Frank Silva, Pamela Gidley, David Bowie, Moira Kelly, Dana Ashbrook, James Marshall, Grace Zabriskie, Al Stroebel, Walter Olckewicz, Harry Dean Stanton, Jurgen Prochnow, David Lynch.
Usa, Francia 1992
---CONTIENE SPOILERS---
Il trionfo televisivo di "Twin Peaks" fu travolgente: tra il 1990 e il 1991 la stravagante e morbosa indagine dell'agente Cooper e dello sceriffo Truman ipnotizzò il pubblico mondiale, scardinando un pò per volta i clichè della produzione televisiva a stelle e strisce per creare un nuovo modello espressivo. La creatura di Lynch e Frost era davvero una singolarità eccezionale e di successo, qualcosa di impensabile fino a qualche tempo prima e che sarebbe rimasta ineguagliata a lungo.
Ma la fortuna finì per voltare le spalle al serial più rivoluzionario di sempre: quella scombinata ed incolore seconda parte della seconda stagione sancì la chiusura anticipata dello sguardo sulla ridente e marcia cittadina dello stato di Washington. Il pubblico cominciò a disinteressarsi dei misteri della Loggia Nera, del Metodo Tibetano, delle torte del Double R e via dicendo. Disinteresse causato dalla distruzione della colonna portante della storia: la scoperta dell'assassino di Laura Palmer, mistero cardine, vera e propria ragione d'essere della serie, che si trova così privata del suo motore principale, afflosciandosi su sottotrame inutilmente complesse e convulse per giungere ad un epilogo, provvisorio, spiazzante, dove al disvelamento dell'arcano che vive sotto Twin Peaks si somma il mistero sul destino di Cooper ed Annie.
Per Lynch fu una vera e propria condanna: sopprimere la sua creatura più amata e complessa in ottemperanza ai dettami degli esecutivi della CBS, preoccupati del solo share e finanche, alla prova dei fatti, in torto. Uno smacco dal quale decide di vendicarsi: un anno dopo la cancellazione, coadiuvato dallo sceneggiatore principale della serie Robert Engels, resuscita Laura Palmer e i misteri della Loggia Nera con un lungometraggio per il Grande Schermo: "Fire Walk with Me", che nei piani dell'autore doveva essere il primo di una serie di film volti ad ampliare l'universo del serial, ma che finì per restare l'unico e, sino ad ora, l'ultimo sguardo sullo stesso.
Presentato in concorso alla 43ma edizione del Festival di Cannes, il revival finì per dividere critica e pubblico: i fans della serie si trovarono spiazzati dalla violenza e dall'erotismo esplicito, mentre gli spettatori comuni semplicemente non potevano assimilare l'effettiva portata del dramma portato in scena dall'autore. Quanto alla critica, pure abituata al cinema di Lynch, fu disorientata da un'opera criptica, dove il simbolismo diviene strumento narrativo totale, la narrazione si sfalda in doppi e tripli piani temporali, il racconto si scinde in tre luoghi fisici saldati a fuoco con quello della mente; operazione facile da deridere, fischiare in maniera ottusa in quella stesse sede che giusto due anni prima aveva consacrato "Cuore Selvaggio".
Rivisto oggi, "Fire Walk with Me" è semplicemente l'opera più potente e disperata di Lynch, il punto di svolta nella sua filmografia che da qui in poi diverrà più cruda, ancora più sperimentale e lontana da ogni compromesso. Se "Velluto Blu" (1986) era il seme, l'ovulo dal quale si dischiude tutta la sua poetica e la serie di "Twin Peaks" il primo frutto, "Fire Walk with Me" è la maturazione completa della visione del suo autore, fatta e finita in ogni suo singolo, spiazzante e conturbante aspetto.
"Twin Peaks" era la ricerca di una verità all'interno di uno e più misteri; "Fire Walk with Me" è la creazione di quel mistero, un'allucinazione lunga 135 minuti volta a creare il presupposto portante del suo predecessore. Il sistema simbolico creato in televisione è ancora vivo e presente, ma su di esso Lynch ne installa uno nuovo, ancora più complesso e sfaccettato. Il tutto per raccontare una storia in realtà già scritta: gli ultimi sette giorni di vita di Laura e prima ancora la morte di Teresa Banks (Pamela Gidley), con l'avvio delle indagini. Storia che non è né vuole essere narrazione, ma viaggio nella mente della sua protagonista, Laura, per la prima volta soggetto e non oggetto, alla quale Sheryl Lee conferisce un'espressività stupefacente, le cui risa isteriche, lacrime e lo sguardo perso divengono maschera di una personalità alla deriva. Descrizione che si fa catarsi nel momento della morte, ma ancora prima somma espressione dell'orrore. Un orrore antico, quello dello spirito maligno Bob, che incarnatosi nel corpo di Leland (Ray Wise) muta nel più quotidiano: la violenza domestica, l'abuso paterno che diviene incesto, ossia il massimo orrore possibile.
Un orrore che non lascia spazio ad altri sentimenti: eliminati i riferimenti al cast secondario, obliato in sala in montaggio da un'opera di edizione che ha portato ad eliminare quasi due ore di girato e recuperabile solo nella recente edizione in Blu-Ray, lo sguardo di Lynch si posa unicamente su Laura e si purga di ogni deriva grottesca o demenziale che caratterizzava la serie. A regnare sovrano in "Fire Walk with Me" è il sentimento negativo: la paura, lo shock emotivo, la violenza e la perdizione. Facile è stato per i fans sentire un tradimento, abituati com'erano ad una visione stratificata e manichea, dove l'amore celava l'orrore sotto una coltre superficiale. Coltre che ora è stata scrostata via: la primissima inquadratura è in tal senso esemplare, con la distruzione del mezzo televisivo e la conseguente espansione del mondo di Twin Peaks sul Grande Schermo, dove non c'è bisogno di edulcorarne i contenuti, ponendosi verso la serie come un doppio, l'ennesimo all'interno del mito, uno specchio deformato che ne amplifica i contenuti in modo sfacciato.
L'ordinaria tripartizione in atti viene ripensata: il primo atto è un antefatto, il secondo un mistero nel mistero, mentre il terzo è il vero corpo centrale della narrazione.
Distrutto il mezzo televisivo, torniamo indietro di circa un anno rispetto all'epilogo delle avventure di Cooper: Gordon Cole (Lynch) invia a Green Meadow l'agente Chester Desmond (Chris Isaak, cantautore all'epoca di fama e grande amico di Lynch), al quale si unisce il più giovane agente Sam Stanley (Kiefer Sutherland, che accettò il piccolo ruolo lavorando gratis pur di collaborare con l'autore), per investigare sulla morte di Teresa Banks.
Green Meadow, nuovo "luogo della mente", è il primo doppio che Lynch ci presenta, una versione più oscura di Twin Peaks, una sua visione distorta dove il marcio è venuto totalmente a galla per affogare ogni singola vita. Ma prima ancora, Lynch decide di giocare con la mente dello spettatore su di un piano squisitamente razionale: Desmond è anch'egli un doppio, questa volta di Cooper, che al metodo tibetano preferisce un approccio totalmente razionale, che lo porta ad interpretare in modo logico ogni indizio. Nell'incipit dell'indagine è chiamato ad interpretare il primo "freak" del film, una stana donna vestita di rosso, della quale sviscera ogni singolo simbolo usando la pura coscienza razionale, spiegandone ogni significato a Stanley, alter-ego dello spettatore, tralasciando solo la rosa blu, nuovo simbolo del mistero, dell'irrazionalità che resta tale anche per gli indefessi uomini dell'F.B.I., sorta di X-Files ante literam.
Ma la forte razionalità di Desmond viene in ultimo eliminata, "cancellata" nel momento in cui ritrova la chiave di volta del mistero della Banks, quell'anello con il marchio della Loggia il cui significato arriverà puntuale solo tramite lo specchio della più pura irrazionalità. Lynch è chiaro: i misteri, vecchi e nuovi, che propone e ripropone non possono essere risolti solo ed esclusivamente tramite il ricorso ad un processo totalmente logico, ma assimilati su di un piano più interno, nel cuore pulsante della mente, lì dove il pensiero si fa più astratto ed ogni simbolo capace di assumere diversi ma univoci significati.
Ogni elemento di Green Meadow che viene presentato è uno speccchio deforme del suo corrispettivo di Twin Peaks. Lo sceriffo Cable (Gary Bullock) è un vecchio corrotto che vede l'azione dei federali come un'invasione di campo, circondato da un vicesceriffo indisponente ed una segretaria sghignazzante. L'Hap's Diner è il corrispettivo del Double R, dove un doppio vecchio e sfatto della invece bellissima Norma dà informazioni puramente circostanziali agli investigatori. L'ingresso di Hap's è di per sé stesso emblematico: una porta murata, un passaggio ocluso, forse un tempo aperto verso un altro mondo. Non c'è una realtà ulteriore, ora, solo quella che si avverte: gli spiriti che vi hanno risieduto ora sono andati. Altro simbolo, questa volta decisamente criptico, è quello dell'elettricità: l'insegna del locale è per metà bruciata, una lampada accesa illumina ad intermittenza i volti dei personaggi. Il simbolo della paura ritorna, ma si carica di un significato arcano: forse un non-luogo, zona di passaggio, forse ancora infestato dalle vecchie presenze che da lì hanno corrotto tutta la cittadina. Uno degli avventori del locale è uno strano uomo di mezza età, seduto al fianco di una splendida donna che parla in francese; l'uomo chiede agli agenti se vogliono avere informazioni sulla "ragazzina" uccisa, ripetendo la domanda due volte, come due sono gli omicidi compiuti dagli spiriti maligni: Teresa Banks e Laura.
La stessa Teresa Banks non è che una caricatura di Laura Palmer, una ragazza totalmente distrutta dal Male che la ha posseduta, il cui aspetto è per questo una specie di parodia della ragazza di Twin Peaks: capelli corti, come a mutilarne la bellezza giovanile, ed ossigenati, ossia "corrotti" da un agente esterno, labbra perennemente scarlatte e sguardo luciferino.
I due detective giungono al trailer park, dove esaminano la scena del delitto. Qui ritorna il simbolo dell'elettricità, appaiato ad un'altro strano personaggio: Carl Rodd (Harry Dean Stanton), gestore del parcheggio, il quale sembra perennemente spaventato da qualcosa o qualcuno e che, alla vista di una strana signora che sembra essere reduce da un atto di violenza, trasale esclamando una frase enigmatica:"Vedete, sono stato in molti luoghi. Ora voglio restare qui.", riferendosi alle apparizioni, forse. Ed è all'incirca qui che lo sguardo razionale si ferma, sparisce sull'orlo della scoperta, dinanzi al simbolo "motore" di parte della vicenda: da qui in poi Lynch si rivolgerà direttamente alla mente dello spettatore, portando il subconscio latente della scrittura a galla.
A Philadelphia, Gordon Cole e Cooper sono in attesa di qualcosa: un sogno ha rivelato a Dale come si sarebbe manifestato qualcosa di strano ed importante. Dal nulla giunge Phillip Jeffries (David Bowie), ex agente F.B.I. dato per disperso da circa due anni. Jeffries è un enigma, un uomo che viene letteralmente dal nulla e che scompare verso il nulla; un'incognita che porta con sé dei misteri (la "Judy" di cui parla), ma anche delle verità; una delle sue prime battute è "Viviamo dentro un sogno!", ossia la coscienza che quanto accade su schermo altro non è se non un riflesso della parte più a-razionale della mente dei personaggi (e con loro dell'autore che li porta in scena).
L'arrivo di Jeffries è già di per sé stesso rivelatore della sua natura ubiqua: Cooper entra ed esce da una stanza dei monitor dove osserva una telecamera che riprende il corridoio adiacente; non riesce a cogliere sé stesso nel momento in cui osserva la videocamera: il suo sguardo è unico, totalmente puntato verso il "qui" e l'a "adesso"; ma l'arrivo di Jeffries spezza l'unicità e sdoppia l'immagine di Cooper, che vive ora di due forme, una "apparente" (ossia l'immagine statica nel monitor) ed una "noumenica" (ossia il vero Cooper che continua a muoversi), in un primo sdoppiamento che anticipa (o ripete, a seconda che si veda il film come una continuazione della serie) quello che avverrà nella Loggia Nera. Tanto che Jeffries sembra riconoscerlo: vedendolo chiede, stizzito e urlante, a Cole se sa chi sia davvero, rivelando di averlo già visto in un altro luogo, forse quello da cui arriva.Torna ancora il simbolo della porta: Cooper non poteva attraversarla e continuare a contemplare il monitor, ma con l'arrivo del visitatore le carte sono scombinate, il piano temporale sfasato: osservatore e osservato possono coincidere arrivando a coesistere in due luoghi diversi.
Jeffries racconta di "averli visti": anche lui come Cooper è stato "toccato" dagli spiriti maligni; e la sua visione si fa visione dello spettatore, che assiste ad una "riunione" di tutti i simboli della serie, tra i quali Bob e l' "Uomo da un altro luogo", che esclama una parola misteriosa e carica di potere, "garmonbozia", il cui significato per ora è precluso. Tra i tanti spuntano anche la signora anziana con il bambino, ossia la visione criptica dell'episodio 9. E così come è giunto in scena, Jeffries scompare, forse riportato nella Loggia, per poter lasciare spazio al cuore del film: la cronaca degli ultimi giorni di vita di Laura Palmer.
Quel mistero che si è disvelato poco alla volta durante la prima parte della serie ora è sotto i nostri occhi. La controversa vita di Laura viene dipinta a tinte forti, senza compromessi. Il viaggio nel subconscio di una mente distrutta dalla violenza è talmente vivido da fare male.
Perseguitata da Bob, Laura si abbandona volontariamente al male più terreno: la prostituzione per e con Jacques Renault (Walter Olckewicz) e la droga, sniffata in modo nervoso ad ogni occasione. Il vero orrore, tuttavia, si cela tra le mura di casa, vero e proprio teatro del Gran Guignol privato; il rapporto ambivalente con Leland è insostenibile; la prima sequenza nella quale i due si incontrano su schermo è un abuso gratuito, feroce nella sua vacuità e per questo irrimediabilmente brutale, cui seguono, quella stessa sera, le lacrime del genitore, nuovamente padrone di sé.
Della dicotomia bene/male ora esistono solo due simboli: lo scapestrato Bobby Briggs (Dana Ashbrook), sinonimo di perdizione totale, e l'amante James (James Marshall), viatico per la salvezza e sinonimo di amore puro ed incondizionato. Ma Laura è oramai corrosa dal fuoco del peccato che le divampa dentro, risvegliato dagli abusi di Bob e incarnato in due sequenze: la prima, ambientata all'ingresso del Roadhouse e all'inizio di una "notte brava", ossia alle soglie della consumazione del peccato, dove la Signora del Ceppo (Catherine Culson), ossia la "veggente", scruta all'interno dell'animo della ragazza e la ammonisce su come quel fuoco, pur avendone distrutto l'innocenza, potrebbe ancora essere spento. La seconda è l'incipit di un'altra visione: Laura guarda il dipinto di un angelo custode appeso alla sua camera che poco alla volta scompare, simboleggiando la sua totale perdizione poco prima della sua morte.
Il sacrificio di Laura avviene in modo cosciente: è lei stessa ad autodistruggersi. Durante una visione nella quale viene travalicato lo spazio e il tempo, entra nella Loggia Nera, ossia la manifestazione di tutto il Male; ad attenderla c'è l'agente Cooper, il quale la redarguisce sull'anello, lo stesso che aveva Teresa Banks. L' "Uomo da un altro Luogo" esclama le parole fatali "con questo anello, io ti sposo", sancendo l'unione indissolubile tra la ragazza e la Loggia. L'anello è accettato, l'innocenza è perduta: il destino di Laura da qui in poi sarà segnato e non le resterà che salvare l'amica Donna da un destino simile. Tornano nuovamente il simbolo della porta e l'ubiquità: attraversata la soglia del dipinto, Laura può contemplare sé stessa, ossia scrutare ancora più in profondità nel suo animo.
La morte arriva puntuale alla fine; luogo dell'omicidio è il vagone di un treno deragliato, ossia un viaggio interrotto, una tragedia che ha strozzato una vita di punto in bianco. La violenza non è catartica, ma puramente distruttiva: la tragedia si consuma puntuale e Lynch, come sempre, la dipinge in modo vivido e disturbante. Non c'è speranza di salvezza per Laura: gli angeli l'hanno abbandonata, l'Uomo con Braccio Solo (Al Stroebel), che pure aveva tentato di avvertirla, non riesce a salvarla, bloccato nuovamente da una porta, questa volta chiusa. L'omicdio si consuma: il mistero è completo, avvolto nella plastica e pronto per essere analizzato, sviscerato e contemplato da quanti vi si avvicenderanno.
Il delitto è compiuto: Bob ha accettato il sacrificio. Ma se Laura vi si era abbandonata volontariamente, altrettanto non è successo per Leland. Il dolore e la sofferenza dell'uomo vengono asportati: non avrà ricordi di quella notte; il male può solo pretendere la vita di chi lo sceglie, non di chi viene scelto da esso. La "garmanbozia" è il dolore dell'uomo, trasformato il crema di mais e consumato dagli spiriti.
Ma nell'ultima sequenza, Lynch ha quasi un ripensamento: un angelo custode appare a Laura, ora al fianco di Cooper, che la accoglie nella Loggia allo stesso modo in cui ella stessa lo accoglierà nella serie. La Grazia torna dinanzi a lei, tanto lontana eppure tanto vicina: Laura si commuove. Forse c'è ancora una speranza di salvezza.
"Twin Peaks" era la ricerca di una verità all'interno di uno e più misteri; "Fire Walk with Me" è la creazione di quel mistero, un'allucinazione lunga 135 minuti volta a creare il presupposto portante del suo predecessore. Il sistema simbolico creato in televisione è ancora vivo e presente, ma su di esso Lynch ne installa uno nuovo, ancora più complesso e sfaccettato. Il tutto per raccontare una storia in realtà già scritta: gli ultimi sette giorni di vita di Laura e prima ancora la morte di Teresa Banks (Pamela Gidley), con l'avvio delle indagini. Storia che non è né vuole essere narrazione, ma viaggio nella mente della sua protagonista, Laura, per la prima volta soggetto e non oggetto, alla quale Sheryl Lee conferisce un'espressività stupefacente, le cui risa isteriche, lacrime e lo sguardo perso divengono maschera di una personalità alla deriva. Descrizione che si fa catarsi nel momento della morte, ma ancora prima somma espressione dell'orrore. Un orrore antico, quello dello spirito maligno Bob, che incarnatosi nel corpo di Leland (Ray Wise) muta nel più quotidiano: la violenza domestica, l'abuso paterno che diviene incesto, ossia il massimo orrore possibile.
Un orrore che non lascia spazio ad altri sentimenti: eliminati i riferimenti al cast secondario, obliato in sala in montaggio da un'opera di edizione che ha portato ad eliminare quasi due ore di girato e recuperabile solo nella recente edizione in Blu-Ray, lo sguardo di Lynch si posa unicamente su Laura e si purga di ogni deriva grottesca o demenziale che caratterizzava la serie. A regnare sovrano in "Fire Walk with Me" è il sentimento negativo: la paura, lo shock emotivo, la violenza e la perdizione. Facile è stato per i fans sentire un tradimento, abituati com'erano ad una visione stratificata e manichea, dove l'amore celava l'orrore sotto una coltre superficiale. Coltre che ora è stata scrostata via: la primissima inquadratura è in tal senso esemplare, con la distruzione del mezzo televisivo e la conseguente espansione del mondo di Twin Peaks sul Grande Schermo, dove non c'è bisogno di edulcorarne i contenuti, ponendosi verso la serie come un doppio, l'ennesimo all'interno del mito, uno specchio deformato che ne amplifica i contenuti in modo sfacciato.
L'ordinaria tripartizione in atti viene ripensata: il primo atto è un antefatto, il secondo un mistero nel mistero, mentre il terzo è il vero corpo centrale della narrazione.
Distrutto il mezzo televisivo, torniamo indietro di circa un anno rispetto all'epilogo delle avventure di Cooper: Gordon Cole (Lynch) invia a Green Meadow l'agente Chester Desmond (Chris Isaak, cantautore all'epoca di fama e grande amico di Lynch), al quale si unisce il più giovane agente Sam Stanley (Kiefer Sutherland, che accettò il piccolo ruolo lavorando gratis pur di collaborare con l'autore), per investigare sulla morte di Teresa Banks.
Green Meadow, nuovo "luogo della mente", è il primo doppio che Lynch ci presenta, una versione più oscura di Twin Peaks, una sua visione distorta dove il marcio è venuto totalmente a galla per affogare ogni singola vita. Ma prima ancora, Lynch decide di giocare con la mente dello spettatore su di un piano squisitamente razionale: Desmond è anch'egli un doppio, questa volta di Cooper, che al metodo tibetano preferisce un approccio totalmente razionale, che lo porta ad interpretare in modo logico ogni indizio. Nell'incipit dell'indagine è chiamato ad interpretare il primo "freak" del film, una stana donna vestita di rosso, della quale sviscera ogni singolo simbolo usando la pura coscienza razionale, spiegandone ogni significato a Stanley, alter-ego dello spettatore, tralasciando solo la rosa blu, nuovo simbolo del mistero, dell'irrazionalità che resta tale anche per gli indefessi uomini dell'F.B.I., sorta di X-Files ante literam.
Ma la forte razionalità di Desmond viene in ultimo eliminata, "cancellata" nel momento in cui ritrova la chiave di volta del mistero della Banks, quell'anello con il marchio della Loggia il cui significato arriverà puntuale solo tramite lo specchio della più pura irrazionalità. Lynch è chiaro: i misteri, vecchi e nuovi, che propone e ripropone non possono essere risolti solo ed esclusivamente tramite il ricorso ad un processo totalmente logico, ma assimilati su di un piano più interno, nel cuore pulsante della mente, lì dove il pensiero si fa più astratto ed ogni simbolo capace di assumere diversi ma univoci significati.
Ogni elemento di Green Meadow che viene presentato è uno speccchio deforme del suo corrispettivo di Twin Peaks. Lo sceriffo Cable (Gary Bullock) è un vecchio corrotto che vede l'azione dei federali come un'invasione di campo, circondato da un vicesceriffo indisponente ed una segretaria sghignazzante. L'Hap's Diner è il corrispettivo del Double R, dove un doppio vecchio e sfatto della invece bellissima Norma dà informazioni puramente circostanziali agli investigatori. L'ingresso di Hap's è di per sé stesso emblematico: una porta murata, un passaggio ocluso, forse un tempo aperto verso un altro mondo. Non c'è una realtà ulteriore, ora, solo quella che si avverte: gli spiriti che vi hanno risieduto ora sono andati. Altro simbolo, questa volta decisamente criptico, è quello dell'elettricità: l'insegna del locale è per metà bruciata, una lampada accesa illumina ad intermittenza i volti dei personaggi. Il simbolo della paura ritorna, ma si carica di un significato arcano: forse un non-luogo, zona di passaggio, forse ancora infestato dalle vecchie presenze che da lì hanno corrotto tutta la cittadina. Uno degli avventori del locale è uno strano uomo di mezza età, seduto al fianco di una splendida donna che parla in francese; l'uomo chiede agli agenti se vogliono avere informazioni sulla "ragazzina" uccisa, ripetendo la domanda due volte, come due sono gli omicidi compiuti dagli spiriti maligni: Teresa Banks e Laura.
La stessa Teresa Banks non è che una caricatura di Laura Palmer, una ragazza totalmente distrutta dal Male che la ha posseduta, il cui aspetto è per questo una specie di parodia della ragazza di Twin Peaks: capelli corti, come a mutilarne la bellezza giovanile, ed ossigenati, ossia "corrotti" da un agente esterno, labbra perennemente scarlatte e sguardo luciferino.
I due detective giungono al trailer park, dove esaminano la scena del delitto. Qui ritorna il simbolo dell'elettricità, appaiato ad un'altro strano personaggio: Carl Rodd (Harry Dean Stanton), gestore del parcheggio, il quale sembra perennemente spaventato da qualcosa o qualcuno e che, alla vista di una strana signora che sembra essere reduce da un atto di violenza, trasale esclamando una frase enigmatica:"Vedete, sono stato in molti luoghi. Ora voglio restare qui.", riferendosi alle apparizioni, forse. Ed è all'incirca qui che lo sguardo razionale si ferma, sparisce sull'orlo della scoperta, dinanzi al simbolo "motore" di parte della vicenda: da qui in poi Lynch si rivolgerà direttamente alla mente dello spettatore, portando il subconscio latente della scrittura a galla.
A Philadelphia, Gordon Cole e Cooper sono in attesa di qualcosa: un sogno ha rivelato a Dale come si sarebbe manifestato qualcosa di strano ed importante. Dal nulla giunge Phillip Jeffries (David Bowie), ex agente F.B.I. dato per disperso da circa due anni. Jeffries è un enigma, un uomo che viene letteralmente dal nulla e che scompare verso il nulla; un'incognita che porta con sé dei misteri (la "Judy" di cui parla), ma anche delle verità; una delle sue prime battute è "Viviamo dentro un sogno!", ossia la coscienza che quanto accade su schermo altro non è se non un riflesso della parte più a-razionale della mente dei personaggi (e con loro dell'autore che li porta in scena).
L'arrivo di Jeffries è già di per sé stesso rivelatore della sua natura ubiqua: Cooper entra ed esce da una stanza dei monitor dove osserva una telecamera che riprende il corridoio adiacente; non riesce a cogliere sé stesso nel momento in cui osserva la videocamera: il suo sguardo è unico, totalmente puntato verso il "qui" e l'a "adesso"; ma l'arrivo di Jeffries spezza l'unicità e sdoppia l'immagine di Cooper, che vive ora di due forme, una "apparente" (ossia l'immagine statica nel monitor) ed una "noumenica" (ossia il vero Cooper che continua a muoversi), in un primo sdoppiamento che anticipa (o ripete, a seconda che si veda il film come una continuazione della serie) quello che avverrà nella Loggia Nera. Tanto che Jeffries sembra riconoscerlo: vedendolo chiede, stizzito e urlante, a Cole se sa chi sia davvero, rivelando di averlo già visto in un altro luogo, forse quello da cui arriva.Torna ancora il simbolo della porta: Cooper non poteva attraversarla e continuare a contemplare il monitor, ma con l'arrivo del visitatore le carte sono scombinate, il piano temporale sfasato: osservatore e osservato possono coincidere arrivando a coesistere in due luoghi diversi.
Jeffries racconta di "averli visti": anche lui come Cooper è stato "toccato" dagli spiriti maligni; e la sua visione si fa visione dello spettatore, che assiste ad una "riunione" di tutti i simboli della serie, tra i quali Bob e l' "Uomo da un altro luogo", che esclama una parola misteriosa e carica di potere, "garmonbozia", il cui significato per ora è precluso. Tra i tanti spuntano anche la signora anziana con il bambino, ossia la visione criptica dell'episodio 9. E così come è giunto in scena, Jeffries scompare, forse riportato nella Loggia, per poter lasciare spazio al cuore del film: la cronaca degli ultimi giorni di vita di Laura Palmer.
Quel mistero che si è disvelato poco alla volta durante la prima parte della serie ora è sotto i nostri occhi. La controversa vita di Laura viene dipinta a tinte forti, senza compromessi. Il viaggio nel subconscio di una mente distrutta dalla violenza è talmente vivido da fare male.
Perseguitata da Bob, Laura si abbandona volontariamente al male più terreno: la prostituzione per e con Jacques Renault (Walter Olckewicz) e la droga, sniffata in modo nervoso ad ogni occasione. Il vero orrore, tuttavia, si cela tra le mura di casa, vero e proprio teatro del Gran Guignol privato; il rapporto ambivalente con Leland è insostenibile; la prima sequenza nella quale i due si incontrano su schermo è un abuso gratuito, feroce nella sua vacuità e per questo irrimediabilmente brutale, cui seguono, quella stessa sera, le lacrime del genitore, nuovamente padrone di sé.
Della dicotomia bene/male ora esistono solo due simboli: lo scapestrato Bobby Briggs (Dana Ashbrook), sinonimo di perdizione totale, e l'amante James (James Marshall), viatico per la salvezza e sinonimo di amore puro ed incondizionato. Ma Laura è oramai corrosa dal fuoco del peccato che le divampa dentro, risvegliato dagli abusi di Bob e incarnato in due sequenze: la prima, ambientata all'ingresso del Roadhouse e all'inizio di una "notte brava", ossia alle soglie della consumazione del peccato, dove la Signora del Ceppo (Catherine Culson), ossia la "veggente", scruta all'interno dell'animo della ragazza e la ammonisce su come quel fuoco, pur avendone distrutto l'innocenza, potrebbe ancora essere spento. La seconda è l'incipit di un'altra visione: Laura guarda il dipinto di un angelo custode appeso alla sua camera che poco alla volta scompare, simboleggiando la sua totale perdizione poco prima della sua morte.
Il sacrificio di Laura avviene in modo cosciente: è lei stessa ad autodistruggersi. Durante una visione nella quale viene travalicato lo spazio e il tempo, entra nella Loggia Nera, ossia la manifestazione di tutto il Male; ad attenderla c'è l'agente Cooper, il quale la redarguisce sull'anello, lo stesso che aveva Teresa Banks. L' "Uomo da un altro Luogo" esclama le parole fatali "con questo anello, io ti sposo", sancendo l'unione indissolubile tra la ragazza e la Loggia. L'anello è accettato, l'innocenza è perduta: il destino di Laura da qui in poi sarà segnato e non le resterà che salvare l'amica Donna da un destino simile. Tornano nuovamente il simbolo della porta e l'ubiquità: attraversata la soglia del dipinto, Laura può contemplare sé stessa, ossia scrutare ancora più in profondità nel suo animo.
La morte arriva puntuale alla fine; luogo dell'omicidio è il vagone di un treno deragliato, ossia un viaggio interrotto, una tragedia che ha strozzato una vita di punto in bianco. La violenza non è catartica, ma puramente distruttiva: la tragedia si consuma puntuale e Lynch, come sempre, la dipinge in modo vivido e disturbante. Non c'è speranza di salvezza per Laura: gli angeli l'hanno abbandonata, l'Uomo con Braccio Solo (Al Stroebel), che pure aveva tentato di avvertirla, non riesce a salvarla, bloccato nuovamente da una porta, questa volta chiusa. L'omicdio si consuma: il mistero è completo, avvolto nella plastica e pronto per essere analizzato, sviscerato e contemplato da quanti vi si avvicenderanno.
Il delitto è compiuto: Bob ha accettato il sacrificio. Ma se Laura vi si era abbandonata volontariamente, altrettanto non è successo per Leland. Il dolore e la sofferenza dell'uomo vengono asportati: non avrà ricordi di quella notte; il male può solo pretendere la vita di chi lo sceglie, non di chi viene scelto da esso. La "garmanbozia" è il dolore dell'uomo, trasformato il crema di mais e consumato dagli spiriti.
Ma nell'ultima sequenza, Lynch ha quasi un ripensamento: un angelo custode appare a Laura, ora al fianco di Cooper, che la accoglie nella Loggia allo stesso modo in cui ella stessa lo accoglierà nella serie. La Grazia torna dinanzi a lei, tanto lontana eppure tanto vicina: Laura si commuove. Forse c'è ancora una speranza di salvezza.
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