di Steven Spielberg.
con: Liam Neeson, Ralph Fienness, Ben Kingsley, Caroline Goodall, Embeth Davitz, Jonathan Sagall.
Storico/Biografico
Usa 1993
Qual'è il modo migliore per rappresentare una tragedia umana della portata della Shoah?
Di certo, in un passato neanche troppo remoto ai tempi di quel fatidico 1993, ben si poteva far riferimento al capolavoro di Resnais "Notte e Nebbia", che con il suo distacco quasi chirurgico creava una catarsi spietata verso quei terribili fatti. Eppure, intraprendere un procedimento opposto, che porti lo spettatore ad essere emotivamente coinvolto il quelle immagini, in quegli orrori che la Storia minaccia costantemente di obliare relegandoli a puri dati, tracce di inchiostro sui libri di testo, è un registro davvero più efficace, non solo sul piano strettamente drammaturgico.
E Spielberg lo aveva forse intuito alla vigilia delle riprese del suo "Schindler's List", adattamento del romanzo omonimo di Thomas Kennelly dell' '82, che doveva previamente essere affidato a Roman Polanski. Perché creare un dramma a tinte forti, quasi una favola nera sull'Olocausto, sembrerebbe una scelta scontata se si pensa alla filmografia dell' "eterno Peter Pan di Hollywood", al suo stile magico ed infantile. Ed era prevedibile anche a causa della storia personale di Spielberg, delle sue origini ebraiche mai rinnegate seppur mai influenti nel suo modo di fare di cinema, che gli consentono una forte vicinanza empatica ai fatti.
Pur tuttavia, per quanto scontata, tale scelta si rivela azzeccatissima, poiché "Schindler's List", pur al netto di qualche sequenza troppo marcata, riesce davvero a commuovere, a smuovere anche il più impietrito spettatore con immagini dotate di una potenza inimmaginabile.
La critica più veritiera che può esserergli mossa venne formulata niente meno che da Kubrick in persona: la Shoah è la storia di un gigantesco fallimento, ma Spielberg ha creato l'apoteosi di un trionfo. Non deve neanche stupire che sia stato proprio il più grande regista di tutti i tempi a muovere una tale obiezione: in quegli anni anche lui era impegnato nella produzione di un film sulla Shoah, che poi non si è più concretizzato proprio a causa dell'entrata in produzione di "Schindler's List"; l'obiezione di Kubrick è fondata e veritiera e il film spesso compie scelte semplicistiche o addirittura sbagliate; basti vedere quell'ormai famoso finale, che Spielberg sovraccarica di pathos sino a farlo sfociare in una sorta di soap-opera su pellicola; o anche, più in generale, alla descrizione della figura di Oskar Schindler, genuinamente idealizzata, che da imprenditore umano ma attento ai propri interessi diviene vero e proprio filantropo; all'immagine della bambina vestita di rosso, quasi ricattatoria verso i sentimenti dello spettatore; o ancora, più in particolare, all'esecuzione della scena delle docce, costruita come un thriller al quale il climax catartico del massacro viene negato, trasformando il dramma umano in una sorta di giocattolo della tensione totalmente avulso dal resto del film.
Critiche sempre veritiere, sempre fondate; d'altro canto, la mancanza di polso e di tatto è sempre stato il difetto cardine di molto cinema di Spielberg: è forse impossibile per lui misurarsi, contenersi all'interno di limiti stabiliti, sia etici che drammaturgici. Ma si tratta al contempo di critiche che spariscono totalmente innanzi alla forza del resto del film.
Le immagini dei rastrellamenti, delle fughe dei bambini, nascosti nel fango o schiacciati a morte dai materassi nei letti dei campi di prigionia, sono incommentabili, eseguite in modo talmente eccelso da essere pura catarsi visiva, in un misto riuscitissimo di estetica (la fotografia di Janusz Kamiski, all'epoca ancora lontano dai riconoscimenti, è semplicemente perfetta in tutti i contesti) e brutale verosomiglianza, ammantate da una crudezza silente, dove il bellissimo score di John Williams sparisce, si ammutolisce dinanzi all'orrore di ciò che viene mostrato. Al pari di quelle più commoventi, anche le immagini più orrorifiche creano una perfetta catarsi: la sequenza del massacro "per noia" di Goeth è condotta con una freddezza agghiacciante, che restituisce magistralemente il punto di vista e lo stato mentale di quell'umanità disumanizzata rappresentata dai gerarchi nazisti.
Ma anche al di là della pura rappresentazione del vero, "Schindler's List" funziona eccelsamente anche sul piano strettamente narrativo; si è genuinamente coinvolti dalle vicissitudini di Schindler, dalla sua volontà di salvare il maggior numero di vite possibili, anche grazie al magnetismo di un ottimo Liam Neeson. Così come si è affascinati dalla figura di quell'Amon Goeth che Fieness impersona con trasposto strasberghiano (all'epoca non era ancora caduto nelle trappole del "non-stile" british), un mostro che non cede al risentimento neanche dinanzi all'eros e al thanatos.
E' quindi facile etichettarlo come un "capolavoro"; ed è al contempo riduttivo, poichè la genuina forza che Spielberg riesce ad imprimere a questa sua opera totale è semplicemente trascendente: va oltre la semplice narrazione per divenire testamento morale oltre che storico, monito sempiterno di un orrore passato pronto costantemente a riesplodere; documento perfetto nella sua brutalità, esempio di cinema che si fa memoria totale, catarsi definitiva ed irrinunciabile.
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