mercoledì 23 giugno 2021

Diabel

di Andrzej Zulawski.

con: Leszek Teleszynski, Malgoratza Braunek, Wojciech Pszoniac, Iga Mayr, Anna Parzonka, Michal Grudzinski, Monica Niemczyc.

Drammatico/Horror

Polonia 1972















L'istinto distruttivo dell'uomo è una forma "accettabile" di follia? Un quesito di difficile soluzione, cui Zulawski tenta di dare una risposta con "Diabel", una delle sue pellicole più sovversive e astratte.


Nella Polonia del XVIII Secolo, il giovane Jakub (Leszek Teleszynski), imprigionato a causa di un fallito attentato contro il sovrano, ritrova la libertà grazie all'intevento di uno strano figuro di nero vestito (Wojciech Pszoniac). Accompagnato da una suora (Monica Niemczyc), il giovane inizia così un viaggio di ritorno verso casa, solo per scoprire come l'intero mondo sia cambiato.


L'atto di ribellione è, in questo caso, la molla che fa scattare la follia, la "mutazione" umana e percettiva di Jakub, il quale diviene divorato, un po' alla volta e definitivamente, dalla sete di sangue. Due le forze che lo guidano: da un lato il Male, che prende le forme di uno strano diavolo dai modi teatrali, un arlecchino che lo sprona nei suoi intenti violenti e dissacratori. Dall'altro la monaca, figura religiosa che assiste passivamente agli eventi; non un "Bene" nel senso stretto del termine, quanto l'insieme di quelle qualità umanitarie e morali che accompagnano l'essere umano, una forma di super-io il quale viene sovente ignorato.
Il cammino di Jakub non è redenzione in senso stretto, non viene intrapreso per purgare sé stessi, quanto per assistere e ovviare alle storture che lo circondano: la morte del padre, il ritorno della madre, scomparsa, ora affermatasi socialmente grazie al meretricio e il tradimento della promessa sposa con il suo migliore amico. Jakub è, in tal senso, una forza disgregatrice che distrugge tutto ciò che tocca, che uccide deliberatamente qualsiasi persona gli sia vicino e dissacra tutto ciò che gli si para innanzi. Da qui anche l'uso dell'incesto come metafora della distruzione del valore famigliare, dell'avvelenamento dei rapporti un tempo genuini.


Se Jakub è ferocia, non meno feroce di lui è il mondo che lo circonda, quasi un inferno in terra dove tutto sembra essere stato assimilato al male, ritorto in una forma grottesca e maligna, i cui spasmi di follia non sono diversi da quelli del protagonista.
La violenza diviene così forza plasmatrice che, distruggendo, fa a pezzi un ordine percepito come malsano, da cui il tema dell'anarchia, dell'attentato all'ordine costituito per ricrearlo in una forma più giusta. Ma al male non segue giustizia e quello che dovrebbe essere nuovo equilibrio è altresì puro caos che finisce per consumare tutto, persino l'agente provocatore che lo usa come affermazione di sé.



Ogni elemento sociale in "Diabel" è corrotto. La famiglia diviene luogo di incesto, dove fratelli ritrovati si appropriano della casa paterna e del corpo della sorella. La figura paterna, in primis, è assente, presentata come un cadavere, quasi un doppio di quel sovrano che si voleva distruggere e la cui assenza è forse essa stessa causa della rovina. La figura materna, d'altro canto, è corrotta, trasformata da forza creatrice ad ammasso di carne per il sollazzo del corpo, con l'incesto che diviene il doppio malato dell'affetto, oramai corroso dal male. Le figure dei saltimbanchi sono quasi dei doppi della stessa società, ridotta ad un'ombra, ad un gruppo di figuranti impegnati nella ripetizione di gesti ormai vuoti e fini a sé stessi. E se il nucleo famigliare primigeneo è un cadavere in decomposizione, la famiglia che il protagonista avrebbe dovuto costituire con la sua fidanzata è ora un corpo estraneo, dove la nascita di un figlio torna ad essere momento orribile, che coincide con la morte piuttosto che con la generazione della vita.


Il caos è il padrone delle vite, la violenza mezzo di creazione, corruzione e distruzione. Eppure, in un finale sorprendente, Zulawski afferma come in realtà la soluzione al male sia a portata di mano, in quei valori che, bene o male, accompagnano l'uomo nella sua vita e che sono in grado di distruggere la sua parte più bestiale; benché questa presa di posizione arrivi tardi, quando oramai tutto è perduto per Jakub e per coloro che ha distrutto, è comunque una forma di salvezza, la quale non porta frutti solo perché ignorata, data per scontata e mai seguita.


Lo stile dell'autore si fa ora più preciso. La camera a mano riesce a creare immagini al solito ipnotiche, ma anche estremamente pittoriche, ricercate nella loro forma solo apparentemente casuale, dove ogni movimento dei corpi e del corpo della macchina da presa stesso è in realtà premeditato al centimetro. L'uso del colore si fa ora più marcato, con tonalità fredde che privano i corpi della loro umanità per trasformarli in cadaveri semventi, ombre di un'umanità al collasso.
E "Diabel" conferma la grandezza del suo autore, un proseguo decisamente più cupo e disperato del suo esordio, che riesce ad ammaliare e sconvolgere.

Nessun commento:

Posta un commento