martedì 1 giugno 2021

La Terza Parte della Notte

Trzecia czesc nocy

di Andrzej Zulawski.

con: Malgorzata Braunek, Leszek Teleszynski, Jan Nowicki, Jerzy Golinski, Anna Milewska, Michal Grundziski, Marek Walcewski, Hanna Stankòwna.

Polonia 1971












E' difficile rendere giustizia al cinema di Zulawski con le parole. Il suo è un mondo febbricitante, fatto di emozioni urlate e stranianti, dinamico sino allo spasmodico, perso in elucubrazioni che si fanno visioni al contempo mistiche e inconsce. Un mondo fatto di doppi, di orrori striscianti sotto una superficie di normalità la quale viene piegata, contaminata dal bizzarro che custodisce sino a deformarsi in una para-realtà lontana dalla verosomiglianza, per questo incredibilmente espressiva, cinta nel monocroma grigio-azzuro e al contempo libera grazie ad una mdp che non è sguardo, ma corpo che si muove alla ricerca di personaggi, intenta in azioni tanto dinamiche quanto le loro.


Figlio di due intellettuali polacchi rifugiatisi in Francia, Zulawski si forma artisticamente presso Andrzej Wajda e arriva al lungometraggio nel 1971 con "La Terza Parte della Notte", classico esempio di esordio che custodisce in nuce tutta la filosofia e la potenza del suo autore. Ispirandosi alla giovinezza del padre, attivo nella resistenza polacca durante l'occupazione nazista, crea un bizzarro ritratto di una crisi interiore che si scontra con il caos della guerra, dove la frammentazione identitaria si fonde con la paura della violenza, creando un vero e proprio thriller surreale magnifico nella sua messa in scena.


Durante un soggiorno in campagna, la famiglia di Michal (Leszek Teleszynski) viene sterminata. Tornato in città, il giovane si unisce alla resistenza contro l'occupazione tedesca. Durante una fuga, incappa in una giovane donna, Marta (Malgorzata Braunek), sosia della defunta moglie. Scioccato per l'accaduto, decide di intrecciare con lei una strana relazione umana, mentre, su istruzione dei suoi superiori, si affida ad una clinica dove il vaccino contro il tifo viene sperimentato per il tramite dei pidocchi, che gli garantirebbe entrate stabili e, soprattutto, i documenti necessari per muoversi liberamente per le strade.


C'è la morte, alla base e all'incipit di tutto, così come alla fine. La prima e l'ultima sequenza si incontrano, idealmente, in una congiunzione data sia dalla morte dei personaggi, sia e soprattutto da quella universale, con i versi dell'apocalisse che accompagnano le immagini. La morte è intesa sia come cessata vita, sia come perdita di un affetto e, ancora più in profondità, di una parte di sé: Michal ha perso moglie, madre e figlio, ossia tre dei pilastri della sua esistenza, idealmente il suo passato, il suo presente ed il suo futuro.


La realtà comincia a ripiegare su sé stessa, con il passato che ritorna e il presente che si infrange in una infinità di riflessi. Il riflesso di sè stesso, trovato nel compagno Jan, con la paura di un fallimento; il riflesso della propria identità di amante, trasfigurato nel fantasma del primo compagno della moglie, che ritorna letteralmente dai morti; il riflesso dell'amore in sé, dato dal ritorno di Marta. L'identità sembra così esistere solo in relazione ad altri soggetti, ad altre persone che limitano il sé delineandone i contorni, senza i quali esso potrebbe divenire indefinito, dunque inesistente.
La crisi interiore va di pari passo con quella esteriore: i pidocchi altro non sono che gli occupanti, che succhiano il sangue dei polacchi in cambio di pochi beni, mentre l'idea del peccato che porta con sé una catastrofe si fa sovente concreta. Esiste una dimensione più grande rispetto a quella interiore di Michal, che prende le forme di una visione ultraterrena marchiata con il simbolo dell'occhio nel triangolo; ma, anzicchè portare certezza nella spasmodica corsa del protagonista, finisce per creare un caos ulteriore e ultraterreno, che si comma a quello interno.


A differenza di altri cineasti che hanno toccato tematiche simili (si pensi, su tutti, al coevo Rainer Werner Fassbinder), Zulawski non trova nel suo personaggio una chiusura ideale, un'identità parallela o altra pronta a surrogare quella persa; oltre l'io c'è solo il caos, che prende le forme di una messa in scena anarchica, dove la macchina da presa, rigorosamente a mano, infrange l'unità di visione e l'oggettività per divenire occhio che insegue e al contempo mente che elabora il protagonista e le sue azioni.
Nella sua instancabile rincorsa, la visione è l'unica certezza che viene data al personaggio e allo spettatore: la realtà è a pezzi, l'io cosciente altrettanto, si può solo assistere al dipanarsi degli eventi allucinanti che scorrono dinanzi ai nostri e ai suoi occhi per i 100 minuti di durata, sino ad arrivare ad un'unica concretezza, quella di un ulteriore doppio, il quale fa calare ulteriori misteri su cosa sia successo.


L'unica certezza, in sostanza, è l'incertezza, la coscienza che ci sia qualcosa di sbagliato dentro e fuori di noi, un parassita che succhia il sangue e vomita malattia, pronto a divorare ogni cosa. E in questa sua fluidità di significato, Zulawski riesce a convincere proprio grazie all'estrema libertà narrativa, estetica e stilistica. E questo non è che il primo tassello di una filmografia sfavillante.

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