di Ken Russell.
con: Richard Chamberlain, Glenda Jackson, Max Adrian, Christopher Gable, Kenneth Colley, Izabella Telezynska, Bruce Robinson, Sabina Maydelle.
Biografico/Drammatico
Inghilterra 1971
Il biopic d'autore è un filone molto frequentato dal cinema di Ken Russell. Basti pensare al Franz Liszt di "Lisztomania" (1975), al Rodolfo Valentino dell'omonimo "Valentino" (1977), al Mahler de "La Perdizione" (1974) o al Brzeska di "Messia Selvaggio" (1972). L'amore di Russell per l'arte, in special modo per la musica, sboccia già nei primi anni della sua carriera, quando la BBC lo incarica di dirigere una serie di special sui grandi maestri della classica. Già in questa occasione, il grande regista elabora uno stile moderno, quasi pop, con il quale porta in immagini la musica classica, una sperimentazione che trova pieno compimento nel 1971, anno in cui firma "The Music Lovers", biografia di Piotr Tchaikovsky (1840-1893) strutturata come un dramma e condotta come un musical vero e proprio, ricamato sulle note immortali dell'artista, in un biopic ancora oggi moderno, ritmato ed espressivo.
La figura di Tchaikovsky veniva evocata già nell'ultimo atto di "Donne in Amore", dove il dramma derivante dalla sua omosessualità veniva sbeffeggiato dai protagonisti. Ed è proprio questo dramma, con i suoi personaggi e le relative conseguenze, che Russell porta ora in scena. Piotr Tchaikovsky trova un perfetto interprete in Richard Chamberlain, che ben ne fa trasparire i turbamenti: impegnato in una relazione omosessuale con il conte Chiluvsky (Christopher Gable), il grande compositore teme lo scandalo e decide così di sposarsi con la spasimante Nina (Glenda Jackson), meretrice e ninfomane. Ma il vero dramma deve ancora aver luogo: il matrimonio tra i due non viene consumato, il che li porta ad una forte crisi interiore ed esteriore. Nel frattempo, Piotr trova una mecenate nella nobile von Meck (Izabella Telezynska), perdutamente attratta dalla sua arte.
Il dramma poggia così su quattro figure cardine: il compositore, la moglie, la mecenate e il di lui amante. Un ruolo minore ma essenziale ha, almeno nella prima parte, il personaggio di Sasha (Sabina Maydelle), sorella di Tchaikovsky e da lui vista come compagna ideale. La tensione tra i personaggi è palpabile: Tchaikovsky teme per la propria reputazione, ma non riesce a scrollarsi di dosso l'attrazione maschile, né a trovare una forma di comunione con la compagna, né sul piano fisico, nè su quello spirituale, sul quale, anzi, riesce a trovare un intesa con la von Meck, la quale idealizza la sua figura ammaliata dalla sua musica e diventa un oggetto del desiderio etereo, una musa evanescente ma al contempo sempre presente.
Il turbamento interiore trova forma nella bellissima scena del treno, dove la mancata consumazione dell'atto amoroso si tinge di un'atmosfera orrorifica, basata sui contrasti luce/ombra, sul disagio del protagonista e sull'estasi monca della donna.
Allo stesso modo, la relazione intricata tra i personaggi viene portata in scena tramite i movimenti di macchina nella bellissima scena d'apertura, il concerto nel quale si formano le attrazioni.
La classicità solitamente ancorata alla messa in scena della musica operistica viene letteralmente gettata dalla finestra; da sempre accusato di adoperare uno stile eccessivo e barocco, Russell porta in scena il biopic a modo suo; e per essere chiari, i termini "eccessivo" e "barocco" sono calzanti, ma non nella loro accezione negativa.
Russell fonde storia, personaggi, umori e sensazioni con la musica, che diviene essenza stessa del racconto; da qui la struttura quasi da musical dal film, il quale usa le parti in prosa come trait d'union con le sequenze in cui è la classica a divenire mezzo narrativo, sulla quale viene adagiato il dramma. Le sequenze dell'incontro al concerto, della lettera, della prima notte di nozze, del tradimento e del trionfo sono così ancorate alla partitura originale dei concerti e delle opere, in un'opera non di affiancamento, ma di totale fusione che, pur non raggiungendo uno stato di perfezione, riesce ugualmente ad ammaliare.
Ma il linguaggio di Russell non si ferma alla mera unione di immagini e musica, ridefinendo il modo di inquadrare l'esecuzione delle opere. Al bando la staticità propria del classicismo "da salotto", la regia fa un gran uso di camera a mano per inseguire le note suonate dal protagonista, quando non segue direttamente i personaggi in un percorso di messa in scena dinamico e tridimensionale. Russell trova poi un'inedita pittoricità nelle sequenze oniriche, volutamente artefatte, patinate e rarefatte, visioni di una perfezione talmente alta da risaltare subito come fasulla.
"The Music Lovers" trova così una dimensione perfetta nel modo in cui restituisce la grandezza della musica di Tchaikovsky su Grande Schermo, con uno stile ipercinetico e talmente moderno da spiazzare e convincere ancora oggi.
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